Lessico

sm. [sec. XIX; da anti-2+semita]. Atteggiamento di ostilità nei confronti della razza ebraica, avente carattere di pregiudizio, accompagnato da manifestazioni di intolleranza e di persecuzione. L'antisemitismo, che si è sempre alimentato di tutte le tensioni sociali, viene quindi interpretato come un fenomeno irrazionale che emerge quale risultante di latenti contraddizioni interne.

Storia: le origini

L'antisemitismo ha trovato sul finire del sec. XIX una pretesa giustificazione teorica, legata a pseudoconcetti razziali, sviluppandosi sino ad assumere espressione politica attraverso movimenti ideologici e formazioni partitiche. Come generico sentimento l'antisemitismo ha origini antiche, collegandosi alla diaspora, che formò all'interno dei diversi Paesi dei nuclei ebraici chiusi, non assimilabili al resto della popolazione e gelosi della rigida difesa delle proprie peculiarità religiose, etniche e linguistiche. Le prime manifestazioni sistematiche di ostilità antisemita sono riconducibili al periodo di formazione e consolidamento dell'impero di Alessandro Magno e dei suoi successori (sec. IV a. C.), quando cioè l'espansione della civiltà greca urtò contro la cultura ebraica refrattaria a modificazioni imposte dall'esterno. L'avvento del dominio romano, accompagnandosi a un più giusto ed equilibrato sistema di leggi, migliorò la situazione delle comunità ebraiche, anche se non cessarono i contrasti con gli altri popoli, sfocianti sovente in disordini violenti (soprattutto ad Alessandria, Tiro, Gadara e Cesarea), che finirono per creare un certo attrito tra gli Ebrei e la classe dirigente romana, infastidita dal loro esclusivismo religioso. Non si arrivò però a persecuzioni organizzate e anche gli accenni ostili agli Ebrei, rintracciabili nelle opere dei massimi poeti del periodo imperiale, da Orazio a Tacito a Giovenale, non sono indice di vero antisemitismo, quanto di generica avversione verso una delle civiltà orientali, alle quali si imputava la decadenza della società romana. L'affermarsi del cristianesimo, con il suo tenace sforzo di differenziazione dalla primitiva matrice ideale, rinfocolò le latenti forme di antisemitismo, ammantandole di una giustificazione religiosa. Le monarchie barbariche cattoliche, prive del robusto senso del diritto dei Romani, manifestarono il loro ardore di neofiti, facendo proprio il compito di perseguitare gli Ebrei. Si giunse, come nella Spagna visigota del sec. VII, a pretendere conversioni forzate e a togliere i figli alle famiglie ebraiche, perché fossero educati nel cristianesimo. Durante il Medioevo la diffidenza verso gli Ebrei da parte di tutti i popoli europei si arricchì di motivazioni economiche, in quanto questi, esclusi dalla vita politica e tenuti lontani dalle corporazioni, si videro indirettamente favoriti dalle preclusioni della Chiesa verso l'attività creditizia, riuscendo così a raggiungere posizioni di preminenza nel commercio del denaro.

Storia: l'antisemitismo come movimento organizzato

Attenuatosi col diffondersi dell'egualitarismo razionalista, l'antisemitismo rifiorì in Germania all'inizio dell'Ottocento in concomitanza al manifestarsi del nazionalismo tedesco contro Napoleone. Tutto il processo unitario che, diretto alla costruzione di uno Stato nazionale etico, deciso a escludere dal proprio organismo tutti i gruppi estranei o di difficile integrazione, portò al sorgere del secondo Reich, ebbe nell'antisemitismo un indispensabile corollario. Uguali conseguenze ebbe nell'Europa orientale (soprattutto in Russia) il sorgere del panslavismo, con un antisemitismo ben presto degenerato in terribili massacri (pogrom). Si vennero così elaborando le basi scientifiche del moderno antisemitismo, centrate sulla pretesa superiorità della razza ariano-germanica, che non doveva essere contaminata dal contatto con gli Ebrei, una razza ritenuta intellettualmente, fisicamente e moralmente inferiore. Sostenitori di simili teorie furono L. Jahn e H. St. Chamberlain, che trovarono un terreno culturale ricettivo in un'Europa ormai avviata verso l'accentuarsi dell'egoismo nazionalistico. Trasferitosi sul piano dell'azione politica, l'antisemitismo finì per diventare una copertura ideologica a favore di gruppi precostituiti di interessi. In Germania esso fu il programma dei partiti legati alle forze agrarie e all'industria pesante, che contendevano ai banchieri ebrei il monopolio dei capitali. Nel clima di reazione al Kulturkampf, verso il 1880, i gruppi conservatori si rafforzarono e proclamarono la loro insofferenza per uno sviluppo economico liberista, identificato con la subordinazione alle esigenze del capitalismo ebraico. Il pastore luterano A. Stöcker fondò il partito cristiano-sociale con un esplicito programma antisemita, che alimentò in tutto l'impero sommosse popolari, sfocianti nella presentazione al cancelliere della “petizione antisemita”, alla quale fecero seguito misure limitative nei confronti degli Ebrei. Nell'Europa orientale l'antisemitismo fornì a classi dirigenti sempre più impotenti un abile diversivo verso cui indirizzare il crescente malcontento delle masse. Così, mentre in Romania gli Ebrei erano dichiarati stranieri ed esclusi dalla vita pubblica, in Russia, nel 1881, si tentò di addossare a Ebrei la responsabilità dell'assassinio dello zar Alessandro II. Si crearono in tal modo i presupposti per la promulgazione delle “leggi di maggio” (1882), che obbligavano tra l'altro gli Ebrei a risiedere in città, negando loro la possibilità di acquistare immobili nei distretti rurali, e che vietavano ogni pratica commerciale la domenica e le feste cristiane (vedi anche pogrom). In Francia l'odio antiebraico fu sfruttato dai settori clericali e monarchici nella lotta contro la Terza Repubblica fino al caso Dreyfus.

Storia: lo sterminio di massa

La prima guerra mondiale e la successiva crisi economica esasperarono gli odi e i rancori connessi all'antisemitismo, tanto che questo si estese anche alla Gran Bretagna, dove l'opinione pubblica fu eccitata dalla diffusione dei Protocolli degli Anziani di Sion, un documento apocrifo, tradotto in tutte le lingue, contenente un piano che avrebbe dovuto portare a un dominio universale da parte degli Ebrei. Nell'agosto 1921 il Times dimostrò la falsità del documento. L'isolazionismo degli Stati Uniti favorì, anche in quel Paese, la diffusione dell'antisemitismo, di cui si fece violento interprete il Ku Klux Klan. Lo stesso H. Ford finanziò, fino al 1927, una campagna di stampa antisemita. L'ambiente ideologico e politico consentì quindi a Hitler di servirsi dell'antisemitismo per cementare il suo potere con i più logori richiami al predominio ariano. Le leggi razziali di Norimberga (1935) non furono un episodio isolato, ma il tragico sbocco di una logica che portò ufficialmente alla politica antisemitica e allo sterminio sistematico di milioni di Ebrei durante la seconda guerra mondiale. L'alleanza Hitler-Mussolini indusse anche l'Italia a far propria questa politica, inaugurata con il cosiddetto Manifesto degli scienziati razzisti, sottoscritto da 180 docenti universitari, che anticipava la Carta della razza approvata dal Gran Consiglio il 6 ottobre 1938, cui seguirono i provvedimenti di legge contro i cittadini ebrei e, nel 1939, l'istituzione del Tribunale della razza. La rivista La difesa della razza di T. Interlandi e G. Almirante si assunse il compito di pubblicizzare questi nuovi temi razziali.

Storia: la ripresa dell'antisemitismo

Nel dopoguerra ogni minaccia antiebraica sembrò destinata a scomparire con la costituzione dello Stato d'Israele (1948) che però, oltre a non por fine alla diaspora, ha dato l'avvio a una serie di conflitti, coinvolgendo i Paesi arabi del bacino del Mediterraneo. Pur non essendo spenti numerosi focolai di antisemitismo, una svolta importante si è avuta con la fine di ogni discriminazione verso gli Ebrei da parte della Chiesa cattolica. Il Concilio Vaticano II, nel nuovo spirito ecumenico, ha approvato un documento che condanna le persecuzioni contro gli Ebrei, liberandoli anche dall'accusa di deicidio, che per secoli ha avuto peso nel determinare atteggiamenti antisemiti. Nuove manifestazioni di antisemitismo hanno percorso la società contemporanea favorite anche dal proseguimento del lungo conflitto israelo-arabo-palestinese. Si è trattato di un fenomeno di radice politica oltre che razzista, manifestatosi anche in episodi particolarmente feroci, con il coinvolgimento in tutto il mondo di molti innocenti. Più inquietanti, per la loro evidente carica ideologica, i frequenti episodi di antisemitismo di cui si sono resi protagonisti gruppi di estrema destra in vari Paesi. Il fenomeno ha iniziato ad assumere caratteristiche vistose particolarmente nel mondo tedesco in concomitanza con il processo di disgregazione del comunismo; nella Germania orientale, per esempio, si sono messi in luce gruppi di neonazisti (naziskin) che non hanno fatto mistero del loro antisemitismo, colpendo obiettivi specifici e danneggiando cimiteri ebraici. Un esempio che è stato poi ripreso in varie altre nazioni, tra cui anche l'Italia.

Bibliografia

R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, 1961; I. Poliakov, Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, Torino, 1964; R. Piperno, L'antisemitismo moderno, Bologna, 1964; J. Isaac, Verità e mito. Il dramma ebraico al vaglio della storia, Roma, 1965; H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Milano, 1967; J. Barromi, L'antisemitismo moderno, Genova, 1988.

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