Lessico

Sm. [sec. XIII; dal latino advocātus, propr. pp. di advocāre, chiamare a sé].

1) Il professionista che in giudizio assiste le parti, illustrandone per iscritto e oralmente le ragioni.

2) Per estensione, protettore, difensore: avvocato delle cause perse, che difende cause disperate, o più in genere di scarsa abilità, incapace; parlare come un avvocato, essere dotato di grande eloquenza e capacità di convinzione. Avvocato del diavolo è detto popolarmente il “promotore della fede” che nei processi di canonizzazione presenta tutte le possibili eccezioni contro la santità del soggetto perché siano osservate le norme procedurali, quasi fosse dalla parte del diavolo; quindi, fig., chi contrasta polemicamente opinioni e teorie comunemente accettate.

3) Nel linguaggio giuridico il termine si usa anche per indicare donne che esercitano l'avvocatura; il f. avvocatéssa ha per lo più tono scherzoso o può indicare per estensione una donna loquace e battagliera; la forma avvocata si usa come attributo di sante o della Madonna, nel senso di protettrice che intercede presso Dio a favore degli uomini.

Cenni storici

Nella Grecia antica si ha notizia di logografi che stendevano per iscritto, dietro compenso, i discorsi, che poi le parti avrebbero recitato in tribunale; nel mondo ellenistico era invece il retore a sostenere le ragioni delle parti; a Roma i patroni od oratores avevano la funzione di esercitare pressioni di varia natura sulle giurie, mentre gli advocati o iurisconsulti soccorrevano le parti con una vera consulenza giuridica; in epoca bizantina, in Oriente erano avvocati soltanto coloro che avevano frequentato una scuola di diritto, mentre in Occidente solo il ritorno alla pratica del diritto romano riportò l'avvocato alla sua funzione di rappresentante delle parti in giudizio. Si formò allora una classe di causidici, che adempivano alla duplice funzione di consiglieri e di rappresentanti delle parti. Situazione che però non durò a lungo, perché ben presto le due funzioni furono separate e ai causidici rimase quella di consiglieri, mentre gli avvocati esercitarono la rappresentanza delle parti. In processo di tempo la rappresentanza in giudizio delle parti fu affidata a un procuratore, mentre all'avvocato rimase la difesa. La Rivoluzione francese diede a questi professionisti i mezzi per meglio tutelare gli interessi propri, della giustizia e della clientela. In Italia, fin dal 1874 la legge sancì la distinzione delle professioni di avvocato e di procuratore, obbligò all'iscrizione nell'albo, ecc.

L'organizzazione professionale forense

La struttura dell'organizzazione professionale forense è regolata in Italia dal decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 382, il quale prevede l'esistenza, presso ogni sede di tribunale, di un'organizzazione denominata ordine degli avvocati e procuratori (la legge 24 febbraio 1997, n. 27, che ha soppresso l'albo dei procuratori legali, ha stabilito che il termine procuratore legale deve intendersi sostituito da quello di avvocato). Suo organo esecutivo è il Consiglio, al quale competono la tenuta degli albi, l'esercizio del potere disciplinare sugli iscritti, l'emissione di pareri sulla liquidazione degli onorari, la conciliazione di vertenze fra professionisti e clienti. Inoltre, presso il Ministero della Giustizia è costituito il Consiglio nazionale forense, composto da avvocati scelti fra patrocinanti in Cassazione e con il compito di decidere sui ricorsi avanzati contro le deliberazioni dei consigli dell'ordine, di dirimere i conflitti di competenza fra gli stessi consigli, di esercitare il potere disciplinare verso i propri membri e di decidere sul reclamo del praticante contro il diniego del rilascio di certificato di compiuta pratica. § L'ordinamento della professione di avvocato è andato, con il passare del tempo, evolvendosi, rispondendo a volte in parte, a volte dopo notevoli resistenze, da parte anche degli organismi interni all'avvocatura stessa, alle mutate condizioni sociali. Tra le novità introdotte negli ultimi anni meritano di essere segnalate: la concessione della facoltà, anche per gli stessi avvocati, di notificazione di atti civili, amministrativi e stragiudiziali ai sensi della legge 21 gennaio 1994, n. 53, nonché la possibilità di dare informazioni sulla propria attività professionale, attraverso opuscoli, repertori e reti telematiche (per esempio tramite Internet). Tale novità, introdotta dal Consiglio nazionale forense il 16 ottobre 1999, fa cadere, per gli avvocati, il divieto di fare, in qualsiasi forma, pubblicità, fermi restando gli obblighi su cui è fondata la professione, cioè correttezza e verità, riservatezza e segretezza. Si tratta comunque di un'apertura parziale, restando esclusi veicoli pubblicitari quali i giornali o la tv. La modifica al codice deontologico non parla a ogni buon conto di "pubblicità" in modo esplicito; i riformatori hanno infatti preferito usare il termine "informazione", senza perdere di vista la necessità di non svilire la professione in semplice mercantilismo. Di notevole importanza tra le norme di rango comunitario è da segnalare la direttiva 98/5/CE del Consiglio dell'Unione europea del 16 febbraio 1998, diretta a facilitare l'effettivo esercizio della “libertà di stabilimento” da parte degli avvocati cittadini degli Stati facenti parte dell'Unione europea. La “libertà di stabilimento” comporta la libertà di prestazione di servizi da parte dell'avvocato nel territorio di un altro stato membro. La direttiva in questione è stata recepita nell'ordinamento nazionale con il decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96, con il quale è stato inoltre disciplinato lo svolgimento della professione in forma societaria. La società tra avvocati, costituita secondo il tipo della società tra professionisti, con atto pubblico o scrittura privata autenticata, deve essere iscritta in una sezione speciale dell'albo degli avvocati e avere come oggetto esclusivo l'esercizio in comune della professione dei propri soci. I soci stessi sono personalmente responsabili per l'attività professionale svolta in esecuzione degli incarichi ricevuti mentre la società risponde con il suo patrimonio.

Gli albi professionali

Requisito fondamentale per assumere il titolo ed esercitare le funzioni di avvocato è l'iscrizione all'albo professionale (legge 27 novembre 1933, n. 1578). Gli albi sono due: degli avvocati e dei professionisti abilitati a patrocinare davanti alla Corte di Cassazione e alle altre giurisdizioni superiori. La legge 24 febbraio 1997, n. 27, ha infatti soppresso l'albo dei procuratori legali unificando due figure professionali che, dopo l'entrata in vigore della legge 24 luglio 1985, n. 406, erano oramai quasi del tutto identiche, salvo alcune differenze. Gli abilitati al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori sono avvocati che, dopo otto anni d'iscrizione all'albo, vengono autorizzati a svolgere funzioni di difesa innanzi alla Corte di Cassazione, al Consiglio di Stato e alla Corte dei Conti in sede giurisdizionale, al Tribunale supremo militare, al Tribunale superiore delle acque pubbliche, alla Commissione centrale delle imposte, alla Corte Costituzionale. Accanto agli albi sopra menzionati esiste anche un registro speciale, tenuto da ogni Consiglio dell'ordine, cui vengono iscritti i laureati in giurisprudenza che svolgono la pratica professionale presso uno studio legale. I praticanti avvocati, dopo un anno dalla iscrizione nel registro di cui sopra, sono ammessi, a domanda, a esercitare il patrocinio davanti ai tribunali del distretto nel quale è compreso l'ordine circondariale che cura la tenuta del registro suddetto, nelle cause di competenza del giudice di pace e dinanzi al tribunale in composizione monocratica, limitatamente, negli affari civili, alle cause, anche se relative a beni immobili, di valore non superiore a lire cinquanta milioni; alle cause per le azioni possessorie e per le denunce di nuova opera e di danno temuto, salvo alcuni casi previsti dalla legge; alle cause relative a rapporti di locazione e di comodato di immobili urbani e a quelle di affitto di azienda, in quanto non siano di competenza delle sezioni specializzate agrarie; negli affari penali, alle cause per contravvenzioni o per delitti puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni o con la multa, sola o congiunta alla predetta pena detentiva (legge 16 dicembre 1999, n. 479).

Incompatibilità di esercizio della professione

In Italia l'esercizio delle professioni di avvocato è incompatibile, a differenza di ciò che avviene in altri Paesi, con l'esercizio della professione di notaio, con l'esercizio del commercio in nome proprio o altrui, con la qualità di ministro di qualunque culto avente giurisdizione e cura di anime, di giornalista professionista, di direttore di banca, di agente di cambio, di sensale, di ricevitore del lotto, di appaltatore di un pubblico servizio o di pubblica fornitura, di esattore di pubblici tributi o incaricato di gestioni esattoriali, di mediatore professionale. È altresì incompatibile con qualsiasi impiego o ufficio retribuito con stipendio gravante sul bilancio dello Stato, delle province, delle regioni e dei comuni e in genere di qualsiasi altra amministrazione soggetta a tutela o vigilanza dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni. La distinzione fra avvocato e procuratore esiste ancora in Belgio e in Gran Bretagna; è assente invece in Svizzera, Germania, Danimarca, Svezia, Norvegia, Austria, Paesi Bassi, Stati Uniti. Nei Paesi a regime socialista, infine, non è consentito l'esercizio della libera professione. Funzionari statali ricoprono il ruolo di "ausiliari della giustizia".

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