Descrizione generale

sm. [da confuciano]. Complesso di dottrine morali, sociali e politiche sorte dall'insegnamento di Confucio nella Cina del sec. V a. C. in risposta a un'esigenza d'ordine, particolarmente sentita in quel periodo di confusione e incertezza per una grave crisi politico-sociale. L'idea base era d'inserire il sistema politico-sociale cinese nell'ordine cosmico, rendendolo così “assoluto” e capace di offrire all'individuo sicurezza e garanzia di salvezza. La realizzazione dell'idea richiedeva: la ricerca dei legami tra nazione cinese e cosmo; l'organizzazione della nazione cinese modellata sulle strutture cosmiche; la codificazione di norme di comportamento a cui attenersi per partecipare vantaggiosamente all'ordine ristabilito e per contribuire alla sua stessa edificazione. Cercare i legami della nazione cinese con il cosmo significava studiarne la storia, le tradizioni, gli antichi usi e costumi. Questo fu lo studio iniziato da Confucio e da lui raccomandato ai suoi discepoli. Furono raccolti in libri canonici (ching) antichi testi e documenti concernenti resoconti annalistici, riti, miti, poesie, ecc. Tutto il materiale fu vagliato ed elaborato in funzione del disegno ordinatore di base. Lo studio dei ching, divenuto nel confucianesimo una vera e propria pratica religiosa, forniva il modello di un regno ideale – quello che secondo Confucio sarebbe stato dei primi re cinesi – governato con saggezza e con giustizia. Nell'edificazione di un regno simile si può dire che consista il fine ultimo del confucianesimo. Al punto che con il “regno” finisce per identificarsi lo stesso cosmo e i legami cosmici a cui lo si voleva ancorare perdono la loro realtà metafisica e si trasformano in immagini. Per esempio: “Chi governa mediante la propria virtù è come la stella polare che è fissa al suo posto e tutte le stelle la onorano” (dai Dialoghi di Confucio, II, 1). L'unico elemento cosmico divinizzato (e dunque considerato come realtà metafisica) che il confucianesimo accoglie dalla più antica religione cinese è il Cielo (T'ien), sentito come una suprema autorità e fonte dell'autorità terrena del sovrano. A questi fa capo l'organizzazione confuciana della nazione cinese, che è poi la teorizzazione in chiave religiosa del feudalesimo già esistente: una società rigidamente gerarchizzata a forma di piramide con l'imperatore al vertice. In questo sistema le norme di comportamento codificate dal confucianesimo (li) assumono il significato di riti o azioni cultuali, in quanto è per loro mezzo che si realizzano l'integrazione dell'individuo al sistema e il riconoscimento dei valori gerarchici che lo sostengono. L'osservanza del li equivale all'osservanza delle leggi cosmiche e pertanto garantisce dall'arbitrario, dal fortuito, dal casuale, che in ogni religione è sentito come un pericolo, il rischio di vivere nella storia. I riti divinatori, anch'essi considerati dal confucianesimo, contribuiscono per la loro parte all'eliminazione della rischiosa “casualità”, secondo teorie mantiche e pratiche che risalgono alla più antica religione cinese. A questa ancora risale il culto degli antenati che il confucianesimo organizza e incoraggia, quasi che la figura della nazione cinese si realizzi appieno come comunità dei morti e dei viventi: le generazioni si susseguono, mentre l'Impero rimane; nell'Impero è dunque la salvezza delle generazioni, nell'Impero è la garanzia che di esse se ne conserverà memoria.

Filosofia: un sistema politico-filosofico

L'immagine del confucianesimo che risulta dalla sua traduzione nei termini della nostra cultura può essere quella di un sistema politico-filosofico più che religioso, ma le realtà cinesi sono per lo più intraducibili e comunque difficilmente contenibili nei nostri concetti di politica, di filosofia e di religione. Valga da esempio ciò che viene solitamente tradotto come “virtù umanitaria” o “umanità” (jen). È qualcosa che rende “umano” il rapporto tra gli uomini e che il confucianesimo sembra considerare soltanto in vista di quella realtà superumana che era l'Impero. Ma se talvolta jen può essere inteso come “amore” per gli uomini, altre volte appare piuttosto una pratica utilitaristica (“Non fare agli altri quel che non vuoi sia fatto a te stesso”, Confucio, Dialoghi, XII, 2) o addirittura “rispetto umano”. L'amore per gli uomini diventa poi amore di giustizia, per cui può significare persino “odio” per gli uomini malvagi: “Soltanto chi possiede jen è capace di amare e di odiare la gente” (Confucio, Dialoghi, IV, 3). § Il modello di ricerca di un collegamento tra nazione cinese e cosmo si svolse successivamente anche nella ricerca di un collegamento tra uomo (cinese) e natura umana. Tale ricerca portò a sopravvalutare la natura umana come orientamento per l'uomo culturale cinese: Mencio, asserendo la bontà innata nell'uomo, aprì il confucianesimo a prospettive universalistiche. Ma in realtà esso rimase la religione del sistema cinese. Anche a prescindere dalle reazioni all'apertura di Mencio – per esempio quella del maestro Hsün-tze, per il quale la natura umana è cattiva e deve essere modificata dalla cultura e i cui principi informarono la successiva scuola legalistica (Fa Chia), il confucianesimo rimase sostanzialmente chiuso entro i limiti dell'edificazione dell'Impero cinese. Condannato durante la dinastia Ch'in (editto del 213 a. C.: distruzione dei libri), tornò subito dopo in auge con la dinastia Han, durante la quale si formarono l'ortodossia confuciana e il canone dei libri. Arricchitosi d'implicazioni metafisiche (dinastia Sung, sec. X-XIII: neoconfucianesimo) grazie anche all'influsso di religioni concorrenti quali il buddhismo e il taoismo, restò tuttavia valido per la sua originaria ed essenziale funzione di sistema ordinatore della cultura nazionale cinese. Sui testi confuciani si preparava la classe dirigente cinese e pertanto dal confucianesimo fu condizionato, si può dire fino ai giorni odierni, ogni sviluppo della civiltà della Cina.

A. Waley, Three Ways of Thought in Ancient China, Londra, 1939; A. Rygaloff, Confucius, Parigi, 1946; Eul Sou Youn, Confucius, sa vie, son œuvre, sa doctrine, Parigi, 1948; Wu-Chi, La philosophie de Confucius, Parigi, 1963; R. Dawson, Confucio, Milano, 1983.

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