decalcificazióne

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sf. [da decalcificare].

1) Tipo di alterazione chimica (disfacimento) delle rocce, che comporta la dissoluzione e la conseguente asportazione, a opera di acque ricche di biossido di carbonio, del carbonato di calcio contenuto nelle rocce medesime. Particolarmente sensibili a tale processo sono i ciottoli marnoso-calcarei e quelli arenacei a cemento calcareo dei depositi alluvionali e le masse calcaree fittamente fessurate.

2) In medicina, perdita di sali di calcio dall'organismo senza alterazioni macro- o microscopiche evidenti. Sono interessati dalla decalcificazione le ossa e i denti. Può essere localizzata o diffusa, fisiologica (gravidanza) o patologica. La patogenesi è legata a un deficit dell'osteogenesi o a eccessiva osteolisi. Decalcificazioni da deficit dell'osteogenesi sono responsabili di osteomalacia e osteoporosi e possono conseguire a patologie endocrine (osteoporosi post-menopausale, ipertiroidismo, eccetera), a deficit nutrizionali che riguardano il calcio o la vitamina D (osteomalacie nutrizionali, condizioni di malassorbimento intestinale), ad alterato metabolismo della vitamina D (osteomalacia da malattie croniche del fegato, insufficienza renale cronica, acidosi renale tubulare). La decalcificazione da disuso con osteoporosi può far seguito a lunghi periodi di immobilizzazione per paralisi o per applicazione di apparecchi gessati. È particolarmente evidente nei bambini, nei quali anche periodi brevi di immobilizzazione possono portare a gravi decalcificazioni con rischio di ipercalcemia, ipercalciuria, calcolosi renale. Anche l'immobilità prolungata (per esempio nei voli spaziali che durano più giorni) comporta la comparsa di decalcificazione.

3) Trattamento a cui vengono sottoposte le acque per diminuirne la durezza, detto più correttamente addolcimento (vedi anche depurazione).

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