dilavaménto

sm. [sec. XIV; da dilavare]. Processo che si esplica attraverso l'azione erosiva delle acque piovane e di quelle selvagge sul suolo vegetale, sulla coltre d'alterazione delle rocce e talora direttamente anche sulla porzione corticale di queste ultime. Tipico delle regioni a clima umido, il dilavamento è controllato da fattori di diversa natura. Svolgono ruolo primario l'intensità delle piogge, l'acclività e l'impermeabilità del suolo, che favoriscono l'accumulo e il deflusso superficiale della maggior parte delle acque piovane. Nel loro movimento superficiale le acque selvagge esercitano poi un'attiva erosione sui suoli e sulle rocce incoerenti, costituiti da particelle minute. I fenomeni di gelo e disgelo, le contrazioni per essiccazione (dei terreni argillosi), le locali coltivazioni agrarie e l'attività umana provvedono a rigenerare la coltre detritica negli intervalli fra i periodi di massima intensità delle piogge, per cui il dilavamento procede in continuità e interessa terreni via via più profondi. Il dilavamento coinvolge vaste aree e anche ingenti quantitativi di materiale che vengono sottratti all'utilizzazione agraria e che vanno invece a incrementare la portata solida dei corsi d'acqua in occasione delle piene. Per attenuare gli effetti del dilavamento si usa ripristinare o impiantare ex novo una copertura vegetale e terrazzare i versanti troppo acclivi.

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