disgèlo

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Lessico

sm. [sec. XX; da disgelare]. Lo sciogliersi della neve e del ghiaccio in seguito ad aumento di temperatura in regioni caratterizzate dall'alternanza di stagioni fredde e calde. Fig., inizio di migliori rapporti, improntati a minore freddezza, tra persone o tra nazioni: politica del disgelo, della distensione.

Letteratura

Con letteratura del disgelo è stato definito il nuovo corso della letteratura sovietica seguito alla morte di Stalin (1953). “Disgelo” è, nel campo letterario, termine quasi corrispondente a destalinizzazione in politica interna e significò un periodo di relativa liberalizzazione anche nelle arti. Prese il nome dal romanzo di I. ErenburgIl disgelo, di cui la prima parte venne pubblicata nel 1954, ed è legato all'apparizione quasi contemporanea di altre opere, come Nella città natale di V. Nekrasov. Il mito di un nuovo corso suscitò polemiche intorno a tutto ciò che si andava pubblicando negli anni dal 1954 al 1962, sia in Unione Sovietica sia all'estero, per quelle opere che, inedite in patria, come Il dottor Živago di B. Pasternak (pubblicato in Italia nel 1957) trovavano più vasti consensi e ancor più severe accuse di deviazionismo dalla politica culturale del partito. La stessa pubblicazione dei due almanacchi Mosca letteraria del 1956 e Non si vive di solo pane di V. Dudincev, edito nello stesso anno, si scontrò con le tesi del partito e di Chruščëv che non intendevano ammettere deviazioni dal realismo socialista. Ancora più aspra si fece la polemica con l'apparizione di Una giornata di Ivan Denisovič (1962) di A. I. Solženicyn, che per la prima volta osava parlare dei campi di lavoro staliniani. Ma fu questo il culmine del tentativo di sottrarre le arti alla direzione del partito, da parte di quegli scrittori e poeti – e citiamo, fra gli altri, J. P. Kazakov, G. J. Baklanov, J. V. Bondarev, V. P. Aksënov, E. Evtušenko, S. I. Kirsanov, B. A. Slučkij, R. I. Roždestvenskij – che non aderirono alle tesi dei congressi degli scrittori (1956 e 1959) e cercarono una libertà di espressione che la linea ufficiale non volle condividere.

Cinema

Anticipato dall'ultima opera di V. Pudovkin, Il ritorno di Vasilij Bortnikov (1953), il cinema del disgelo si caratterizzò anzitutto per la rivalutazione del passato. Si ristudiarono i formalisti e gli sperimentalisti di un tempo (Ejzenštejn, D. Vertov), furono abbandonati il trionfalismo e la verniciatura della realtà, ci si ispirò ai classici (anche letterari) e il cinema sovietico, che aumentava la produzione e confrontava varie tendenze, riprese ad affermarsi ai festival occidentali (La cicala di S. Samsonov, 1955, a Venezia; Quando volano le cicogne di M. Kalatozov, 1957, a Cannes). E mentre risorgevano dal letargo le cinematografie di diverse nazionalità e firme illustri come G. Kozincev o J. Chejfic offrivano controprove mirabili della loro maturità stilistica (rispettivamente Don Chisciotte, 1957, e La signora dal cagnolino, 1960), si affermarono nuove voci di registi: G. Čuchraj (Il quarantunesimo, 1956; Ballata di un soldato, 1959), M. Chuciev (Ho vent'anni, 1962-64), A. Tarkovskij (L'infanzia di Ivan, 1962), ecc., accanto a quella dell'anziano M. Romm che acquistava un nuovo magistero (Nove giorni di un anno, 1961). Ma appena si toccarono troppo da vicino i problemi dello stalinismo (Cieli puliti, 1961, di Čuchraj) e i suoi riflessi sulla contemporaneità, il cinema del disgelo si spense.

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