Definizione

sf. [sec. XIX; farmaco+-logia]. Scienza biologica che studia le leggi naturali e i meccanismi che regolano i rapporti tra farmaci e organismi viventi e le condizioni che possono influenzare detti rapporti.

Cenni storici: dalla preistoria a Roma

Fin da epoche preistoriche l'uomo sperimentò e fu in grado di adoperare sostanze sia tossiche sia medicamentose, come documentano alcuni reperti cavernicoli e palafitticoli. Con il costituirsi delle prime civiltà, accanto a un filone popolare (che perdura ancor oggi con la farmacologia omeopatica), la conoscenza dei farmaci divenne dominio delle classi sacerdotali che ne circondarono l'uso di mistero, trasmettendo il proprio sapere oralmente oppure attraverso scritture gelosamente custodite. I più antichi documenti scritti relativi all'uso e alle proprietà dei medicamenti e dei veleni appartengono alla civiltà cinese: tra questi è assai noto l'Erbario di Shên Nung (ca. 2700 a. C.), che annovera 360 droghe; altri importanti documenti sono i papiri egiziani di Ebers e di Smith (ca. 1600 a. C.) che descrivono 160 droghe e piante medicamentose tra cui l'oppio, il giusquiamo e il ricino; i libri sacri della civiltà indiana (1000-800 a. C.), che elencano oltre 800 droghe medicinali; alcune tavolette cuneiformi della civiltà assiro-babilonese, tra cui quella di Assurbanipal che menziona la belladonna, la canapa indiana, la coloquintide, l'oppio, la cassia, ecc. Le prime opere con carattere di veri trattati di farmacognosia e di farmacoterapia compaiono in epoca romana; in esse i farmaci non sono più riportati sotto forma di semplici elenchi o in appendice alle malattie, come negli scritti di Ippocrate (370 a. C.), ma secondo criteri sistematici e descrittivi riferentisi all'uso, agli effetti utili o dannosi, al dosaggio, alle modalità di somministrazione, ecc. Tra le più significative opere di quest'epoca vanno ricordate il De medicina di Celso (18 d. C.), alcuni capitoli della Naturalis historia di Plinio (23-79) e soprattutto il De materia medica di Dioscoride Pedanio (sec. I d. C.), testo fondamentale in campo farmacologico fino in epoca moderna, e il Methodus medendi di Galeno di Pergamo (129-201), il cui nome resta ancor oggi legato ai preparati galenici. Nei secoli successivi la farmacologia, come tutta la medicina, subì una lunga stasi.

Cenni storici: il Medioevo

Le conoscenze degli antichi vennero raccolte e trasmesse sia attraverso la medicina monastica e conventuale (codici di Cassino, Scuola di Tours) sia da alcuni autori arabi che seppero talora arricchirle con le esperienze della terapia medicamentosa orientale. Scaturiscono da questo orientamento alcune opere complesse e organiche, anche se scarsamente innovatrici, come il Libro degli alimenti e dei rimedi semplici di Isacco Giudeo (850-950 ca.), in cui vengono descritti gli aspetti pratici e applicativi dei medicamenti e dei veleni conosciuti, e il famoso Canone di Avicenna (980-1037). Agli Arabi va pure il merito di aver avviata con l'alchimia la ricerca dei principi attivi delle droghe. I complessi metodi di preparazione e i procedimenti estrattivi messi a punto avevano bisogno, però, di una tecnica particolare, non più di competenza del medico, che fino a quel momento aveva preparato e dispensato direttamente i farmaci. Comparvero così i farmacisti e le prime farmacie, inizialmente a carattere privato (nelle corti principesche o nei chioschi delle confraternite), poi pubblico.

Cenni storici: la farmacologia moderna

Nel Rinascimento la scoperta dell'America portò alla conoscenza e all'impiego di un gran numero di nuove droghe medicinali; da ciò la necessità di revisionare i vecchi trattati sui medicamenti e di sostituirli con nuove opere, ricettari, codici (farmacopee) farmaceutici. In quest'epoca si cominciò pure a regolamentare il commercio e l'uso delle droghe; nelle università si impartivano i primi insegnamenti pratici e dimostrativi, che costituirono il preludio della ricerca sperimentale farmacologica. Si comprese presto che non esistevano sostanziali differenze tra medicamenti e veleni e che mediante opportune estrazioni e lavorazioni delle droghe si potevano ottenere farmaci più attivi e talora con proprietà del tutto diverse da quelle della droga fornitrice. Nella prima metà dell'Ottocento vennero isolati numerosi principi attivi delle droghe e si fecero i primi tentativi di sintesi dei farmaci, mentre nascevano laboratori e officine farmaceutiche. All'inizio del sec. XX la scienza dei farmaci accentuò l'indirizzo sperimentale e si arricchì progressivamente di contenuti biologici dedicandosi allo studio delle leggi e dei fenomeni che sono alla base dell'attività biochimica dei farmaci. Da essa, in epoche più recenti, si distaccarono altre discipline complementari, quali la tossicologia, la farmacologia clinica e la tossicologia clinica. La farmacologia moderna ha tra i suoi obiettivi la ricerca di nuovi farmaci al fine di potenziare le capacità di difesa dell'uomo dalle malattie e la ricerca di criteri generali che consentano di prevedere il tipo di interazione tra farmaci e organismi. Si dedicano a questo orientamento di ricerca alcuni settori specialistici della farmacologia, quali la farmacocinesia, la farmacodinamia, la farmacogenetica. Comunque appare sempre più chiaro che uno dei più complessi problemi della farmacologia è quello connesso con la valutazione degli effetti terapeutici e della sicurezza dei nuovi farmaci. Gran parte dei farmaci in uso deriva direttamente o indirettamente da sostanze naturali, prodotte spesso da piante o microrganismi, ed eventualmente modificate chimicamente. Anche molti farmaci ottenuti per sintesi chimica riproducono sostanze naturali bioattive e la farmacopea tradizionale, basata su decotti ed estratti, rimane una grande fonte di ispirazione per la sintesi chimica. Questa tradizione è stata affiancata da una nuova tecnologia sintetica, definita sintesi combinatoria, di grandi potenzialità applicative. La sintesi combinatoria richiede che sia noto il sistema biologico bersaglio, fino a un livello di risoluzione atomica, ed è adatta, per esempio, per la progettazione e produzione di inibitori enzimatici. Il metodo richiede la disponibilità di composti che possano combinarsi mediante reazioni specifiche e che allo stesso tempo presentino una certa variabilità strutturale, capace di garantire la diversificazione dei prodotti sintetici ottenibili: un esempio è quello della reazione delle ammine con le aldeidi

R₁-CHO + R₂-NH₂ R₁-CH=N-R₂ + H₂O₁-CH=N-R₂ + H₂ R₁-CH₂-NH-R₂

Il prodotto della prima reazione, la base di Schiff, è instabile e può riconvertirsi nei reagenti, ma viene stabilizzato per aggiunta di un riducente (nella seconda reazione). Se si dispone di una varietà di ammine e aldeidi (differenti per i gruppi R₁ e R₂) si può facilmente realizzare un gran numero di composti puri. Poiché la stereochimica della base di Schiff è nota a priori, la struttura del prodotto di una sintesi combinatoria di questo tipo può essere predetta con grande accuratezza. Se è nota la struttura cristallografica della molecola bersaglio, è spesso possibile analizzarne, mediante tecniche di grafica molecolare, la complementarità stereochimica con le molecole che si possono produrre, e quindi progettare il farmaco a tavolino. Questa metodica consente la sintesi di un gran numero di composti con costi bassi ed è stata applicata nella ricerca di farmaci capaci di inibire la proteasi del virus dell'AIDS, gli enzimi della coagulazione, e vari recettori ormonali.

Bibliografia

P. Di Mattei, Farmacologia, farmacoterapia, tossicologia, Roma, 1956; C. D. Leake, The Scientific Status of Pharmacology, in “Science”, vol. 134, pagg. 2069-2079, 1961; B. Holmstedt, L. Liljestrand, Readings in Pharmacology, Oxford, 1963; G. E. Trease, Pharmacy in History, Londra, 1964; M. Aiazzi Mancini, L. Donatelli, Trattato di farmacologia, vol. I, Milano, 1969; H. P. Bogner, Terapia farmacologica, Bologna, 1990.

Trovi questo termine anche in:

Quiz

Mettiti alla prova!

Testa la tua conoscenza e quella dei tuoi amici.

Fai il quiz ora