Descrizione generale

Sm. [sec. XX; tedesco Gen, dal greco génos, genere]. Unità ereditaria, che occupa un locus determinato del cromosoma, responsabile della manifestazione dei caratteri fenotipici specifici e capace di mutazioni. In genetica molecolare è una sequenza di nucleotidi che contiene l'informazione per la sintesi di un RNA messaggero, il quale indurrà la sintesi di una catena polipeptidica. Nei Procarioti i geni sono riuniti in gruppi funzionali, cosicché tutti gli enzimi necessari per una particolare via metabolica sono rappresentati da geni adiacenti gli uni agli altri, permettendo così una regolazione coordinata dell'espressione di tutti i geni componenti l'unità operativa. Nella maggior parte delle cellule eucariote, invece, si osservano i cosiddetti geni discontinui, formati da segmenti di DNA (esoni) che si trascrivono sul RNA codificando amminoacidi, intervallati da sequenze non codificanti (introni). La ragione di questa disposizione non è stata ancora chiarita. Comunque è noto che l'introne di un certo gene può essere l'esone di un altro.

Sviluppo degli studi: concetto e struttura di gene

La prima formulazione del concetto di gene è ricavabile direttamente dai lavori di G. Mendel e indica i fattori ereditari che determinano le caratteristiche specifiche, mentre il termine gene è stato introdotto da W. Johannsen nel 1909. Il gene, in quel periodo, veniva considerato una particella ereditaria unitaria e definito come unità di ricombinazione, di funzione o di mutazione, secondo che se ne considerassero i vari aspetti. Unità di ricombinazione in quanto i geni si possono ricombinare in vario modo tra di loro; unità di funzione fisiologica o di espressione per il fatto che il gene comanda la formazione dei vari caratteri; unità di mutazione in quanto i geni possono presentarsi sotto diversi stati alternativi, possono cioè mutare. Parecchi dati sperimentali, ottenuti negli ultimi decenni, non sono però del tutto conciliabili con la triplice definizione del gene. Così M. Demerec nei Batteri e S. Benzer nei virus batteriofagi hanno dimostrato che i geni non sono unità indivisibili, ma contengono numerosissimi “siti” mutabili e ricombinabili. Ogni gene corrisponde, quindi, a un più breve segmento di DNA che codifica una singola proteina. Un lieve cambiamento in un nucleotide produce una mutazione genetica in quanto viene alterato un codone il quale porta alla sostituzione di un amminoacido in un enzima o comunque in una proteina funzionale. Questi principi sono stati ben dimostrati da C. Yanofsky che, studiando vari mutanti per l'enzima triptofano-sintetasi in Escherichia coli, ha potuto dimostrare che a una sequenza di mutazioni lungo il cromosoma corrisponde una sequenza di amminoacidi sostituiti lungo la catena proteica. Esiste, cioè, un parallelismo tra il gene e la catena polipeptidica da esso prodotta, nel senso che l'ordine e la posizione relativa delle mutazioni nel gene sono in diretto rapporto alle sostituzioni di amminoacidi nella catena polipeptidica. J. D. Watson definisce il gene “una regione cromosomica discreta che è responsabile di un prodotto cellulare specifico ed è formata da una serie lineare di unità potenzialmente mutabili (siti mutabili), ognuna delle quali può esistere in più forme alternative e fra cui può avvenire lo scambio genetico (crossing-over)”. Una ricombinazione all'interno di un gene è un evento estremamente raro, dato che i punti di rottura sono molto vicini. La genetica batterica diede a questo proposito un grande contributo; S. Benzer, infatti, scoprì la ricombinazione all'interno di un gene (RII) nel virus batterico T4 e, con tecniche particolari, poté poi “mappare” il gene stesso (cioè localizzarlo sul cromosoma). Esistono vari termini indicanti le varie peculiarità e parti del gene che è bene tener presenti; Benzer chiama cistrone (termine derivato dal test cis-trans) l'equivalente, in termini operativi, del gene, e chiama recone il sito. Altri autori chiamano locus o unità funzionale quello che la maggior parte dei genetisti, con Watson, intende per gene. Un accordo quasi generale esiste, comunque, sul criterio di definizione del gene che, come ha suggerito G. Pontecorvo, è un criterio funzionale e non strutturale come proposto da E. B. Lewis.

Sviluppo degli studi: funzioni e attività

Se tanto si è studiato e si studia sulla struttura del gene, altrettanto si è fatto e si fa sul funzionamento genico. Oggi si sa che il gene funziona trascrivendosi sull'RNA messaggero, il quale si associa ai ribosomi che eseguono la sintesi proteica. Quello che risultava meno chiaro era la modulazione dell'azione genica e cioè il funzionamento in tempi differenziati dei vari geni. Ora, grazie agli studi compiuti sull'induzione e repressione enzimatica nei Batteri, è possibile tracciare un quadro soddisfacente del fenomeno, e F. Jacob e J. Monod hanno proposto un modello, l'operone (geni adiacenti che funzionano in modo coordinato sotto il controllo combinato di un operatore e di un repressore), per spiegare tale regolazione. È noto da tempo che alcuni microrganismi sono capaci di modificare il loro corredo enzimatico sotto l'influenza di metaboliti specifici. Così Escherichia coli produce β-galattosidasi (un enzima che partecipa alla demolizione del galattosio) in presenza di galattosio (fenomeno detto di “induzione enzimatica”) mentre reprime la produzione di triptofano-sintetasi (enzima che partecipa alla sintesi di triptofano) in presenza di triptofano (fenomeno detto di “repressione enzimatica”). In questo esempio, il galattosio funge da induttore enzimatico mentre il triptofano da repressore. Jacob e Monod hanno proposto un modello di interpretazione di questi fenomeni di regolazione di attività genica che si può riassumere schematicamente nel seguente modo: nella repressione enzimatica il gene regolatore produce un repressore il quale, combinandosi con un co-repressore, blocca la trascrizione del DNA e impedisce la sintesi proteica; nell'induzione enzimatica, invece, il repressore si inattiva combinandosi con l'induttore, permettendo così il funzionamento dei geni dell'operone e quindi la traduzione in proteine e la trascrizione in RNA messaggero. Nell'induzione e repressione enzimatica sono, quindi, implicati più geni: un gene regolatore che produce il repressore, il quale regola l'attività dell'operone agendo sul gene operatore che è in stretta associazione con i geni strutturali, i quali codificano le varie proteine, permettendo o bloccando la trascrizione di questi in RNA messaggero. Nello studio della struttura e del funzionamento del gene è possibile notare come apporti sostanziali alla soluzione dei vari problemi siano venuti dalla genetica batterica, molecolare e biochimica.

Studi sulla Drosophila: generalità

Mentre negli organismi unicellulari le diverse funzioni sono espletate da organelli presenti nella stessa cellula, negli organismi pluricellulari funzioni diverse sono svolte da gruppi di cellule strutturalmente e funzionalmente omogenee, i tessuti, che hanno acquisito delle specificità permanenti. Dal punto di vista evolutivo il fenomeno del differenziamento riflette negli organismi superiori l'acquisizione di rapporti più perfezionati con l'ambiente; funzioni diversificate vengono svolte da gruppi di cellule differenziate morfologicamente e funzionalmente. All'inizio dello sviluppo embrionale le cellule sono totipotenti, cioè elementi indifferenziati in grado di dare origine a tutti i diversi tessuti presenti nell'adulto; durante i processi proliferativi che conducono alla formazione dell'organismo maturo, le cellule si differenziano progressivamente, per gruppi omogenei, quali costituenti dei vari tessuti; queste cellule sono ora unipotenti, cioè incapaci di diversificarsi ulteriormente. Il processo del differenziamento rappresenta la realizzazione di particolari programmi di sviluppo che sono già esistenti all'interno dell'uovo e che cominciano ad attuarsi dopo la fecondazione attraverso l'espressione ordinata dell'informazione genetica. Particolarmente utile per la comprensione dei sistemi che determinano il differenziamento è stato lo studio dell'embriogenesi del moscerino della frutta, Drosophila melanogaster. Dopo la fecondazione, l'uovo di questo insetto subisce una serie di divisioni che portano alla formazione di una struttura multicellulare in cui si è già verificata la maggior parte degli eventi di determinazione. In modo specifico, tutte le cellule che daranno origine alle strutture esterne dell'adulto si trovano già in regioni accuratamente definite, conosciute come dischi immaginali, in cui ogni cellula aspetta l'appropriata combinazione di ormoni, sostanze nutritive e altri fattori per dare inizio al pieno differenziamento. Tale situazione si può dimostrare prendendo delle cellule da un determinato disco immaginale e trapiantandole nell'addome di una larva prossima a subire la metamorfosi in un adulto. Esaminando le cellule trapiantate a metamorfosi completata, si riscontra che esse si sono differenziate nelle strutture previste: le regioni del disco della zampa, per esempio, producono principalmente tessuto della zampa dell'adulto. Questo fenomeno, che è stato chiamato transdeterminazione, fornisce una prova evidente del fatto che la determinazione, benché rappresenti un evento molto stabile, produce cambiamenti non irreversibili nell'insieme di informazioni di una cellula.

Studi sulla Drosophila: mutazioni omeotiche

Per la comprensione della morfogenesi sono stati di particolare importanza alcuni disturbi nello sviluppo di Drosophila. La trasformazione di una parte del corpo in un'altra viene chiamata omeosi, e le mutazioni che determinano tali fenomeni sono chiamate omeotiche. Queste mutazioni provocano la trasformazione di una parte del corpo dell'adulto in un'altra. La mutazione antennapedia (letteralmente antenna-piede), per esempio, altera la determinazione del disco immaginale che dovrebbe dare origine alle antenne, con il risultato che esso dà origine, invece che ad antenne, a una zampa perfetta, ma in posizione errata. Questa e altre simili mutazioni hanno permesso di evidenziare una classe di geni, detti omeotici, i cui prodotti funzionano nella selezione di un particolare programma di sviluppo. I geni omeotici agiscono nella determinazione delle strutture epidermiche, della muscolatura e del tessuto nervoso. Sono stati evidenziati due grandi gruppi di geni omeotici in Drosophila, noti come bithorax e antennapidia. Il complesso bithorax è costituito da tre geni strutturali il cui ordine sul cromosoma corrisponde all'ordine di espressione lungo l'asse antero-posteriore del corpo; questo complesso controlla lo sviluppo dei due segmenti toracici e di tutti gli otto segmenti addominali. Il complesso antennapidia, invece, è costituito da cinque geni diversi, e anche in questo caso il loro ordine sul cromosoma corrisponde all'ordine di espressione lungo lo stesso asse; questi geni controllano lo sviluppo della testa e dei tre segmenti toracici del moscerino. Mutazioni in questi geni omeotici causano generalmente difetti così gravi che il moscerino portatore muore durante l'embriogenesi; altre mutazioni, meno gravi, causano comunque anormalità evidenti. Parecchi geni di questo gruppo sono enormi se confrontati alla maggior parte dei geni del moscerino della frutta, e danno origine a un trascritto primario di dimensioni inconsuete, mentre gli RNA maturi che ne derivano sono molto più piccoli. Probabilmente queste lunghe unità trascrizionali possono subire processi alternativi di maturazione regolati secondo un programma di sviluppo. Tali schemi alternativi di maturazione del trascritto primario possono rappresentare un meccanismo con cui una struttura proteica di base si adatta, durante lo sviluppo, a compiti analoghi ma diversi. Le proprietà strutturali ed enzimatiche dei prodotti genici omeotici potrebbero venir modificate di volta in volta dall'aggiunta o dalla rimozione di domini proteici codificati da esoni opzionali regolati durante lo sviluppo, e le capacità di interazione di una proteina con altri componenti cellulari potrebbero cambiare con il procedere della morfogenesi. Il confronto fra le sequenze del DNA dei geni omeotici di Drosophila ha permesso di evidenziare delle regioni di omologia, dette omeobox. Le sequenze delle singole omeobox sono quasi identiche tra loro, e sequenze molto simili sono state recentemente evidenziate in molti altri organismi superiori quali il rospo, il topo e l'uomo. Questa evidenza suggerisce che parte degli stessi meccanismi molecolari che regolano la morfogenesi nel moscerino siano attivi anche nei vertebrati.

Ricerca sulle interrelazioni fra geni e tumori

La ricerca sui geni associati ai tumori ha compiuto notevoli passi avanti. Sono attualmente distinte in questo ambito tre classi di geni: gli oncogeni (che controllano e stimolano la divisione cellulare), i geni soppressori dei tumori (che bloccano la divisione cellulare) e i geni adibiti alla riparazione del DNA quando nella fase di divisione cellulare si verificano errori nella copiatura della molecola, o quando tali errori si verificano in seguito all'influenza di agenti esterni (radiazioni ionizzanti e altre cause). Erano 15, a fine 1996, i geni sicuramente implicati in una serie di tumori che vanno da quello della mammella a quello del colon al melanoma al nefroma. Ne è un esempio il gene p53, scoperto da B. Vogelstein dell'Univeristà John Hopkins di Baltimora. Esso, che codifica per la produzione dell'omonima proteina, si sta rivelando associato a un numero sempre maggiore di un tipo molto diffuso di tumori (i sarcomi) e certamente è uno dei fattori che predispongono al tumore ereditario della mammella. Nelle cellule normali il p53 funziona come un gene soppressore; agisce, cioè, bloccando la crescita cellulare o, in alcuni casi, lanciando alle cellule danneggiate un segnale perché si autodistruggano. Nella gran parte delle mutazioni del gene, che si ritrovano nella metà di tutti i malati di tumore, la proteina p53 modifica la struttura di un amminoacido, che conduce alla perdita dell'attività di soppressione tumorale. Lo spettro delle mutazioni della p53 ha un ruolo centrale nel rivelare informazioni fondamentali sulla cancerogenesi, sulla suscettibilità individuale ai tumori e sul rischio generale di cancro della popolazione. In particolare, a innescare il sistema di divisione e proliferazione incontrollata delle cellule che dà luogo ai tumori, sarebbe un difetto nell'interazione tra il p53 e un altro gene deputato, in condizioni normali, a rallentare la crescita cellulare. Il gene p53 si è inoltre rivelato implicato nella genesi di alcuni tumori del cervello. Da gene soppressore, si trasformerebbe in oncogene attivando un altro gene, il PGF (adibito alla crescita dei fibroblasti), responsabile della crescita dei vasi sanguigni cerebrali, che sotto questo influsso produrrebbe un numero di proteine maggiore di quanto richiesto. Il 60% dei pazienti con tumori maligni al cervello presenta anormalità nel gene p53. Per quanto riguarda i tumori infantili, nel 2000 sono stati scoperti sia la funzione determinante dell'HMG-I/Y, il gene considerato il “bersaglio genetico chiave” in uno dei tumori infantili più aggressivi come il linfoma di Burkitt, sia il gene che produce la proteina Id 2, deputata a far crescere le cellule celebrali, che, se presente in quantità superiori al normale, stimola la crescita cellulare in modo irreversibile.

Bibliografia

E. H. Davidson, Gene Activity in Early Development, New York, 1969; C. A. Thomas, The Theory of the Master Gene, in “Neurosciences II: a Study Program”, New York, 1970; P. E. Hartman, S. R. Suskind, L'azione del gene, Bologna, 1971; J. D. Watson, Biologia molecolare del gene, Bologna, 1972; F. J. Ayala, J. A. Kiger, Genetica moderna, Bologna, 1987.

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