infàmia

sf. [sec. XIII; dal latino infamía]. Cattiva fama; disonore gravissimo e notorio, pubblico biasimo derivato da un'azione ignominiosa: macchiarsi, coprirsi d'infamia. In particolare, marchio d'infamia, marchio che un tempo veniva impresso a fuoco sul corpo di chi si era macchiato di certi delitti; fig., grave disonore, segno di pubblico disprezzo: bollare qualcuno d'un marchio d'infamia. Per estensione, azione o parola turpe, spregevole: è un'infamia tradire gli amici; dire infamie contro qualcuno; anche cosa o persona che è causa di disonore, di vergogna: è l'infamia della famiglia. Scherzosamente, cosa pessima, lavoro eseguito male: il tuo compito è un'infamia. § Nel diritto romano, diminuzione dell'onore e della capacità giuridica del cittadino romano sui iuris, per avere commesso determinati atti riprovevoli o per essere stato condannato in alcuni giudizi civili o criminali, o per violazioni del diritto familiare (per esempio bigamia). Conseguenze dell'infamia erano l'esclusione dai diritti politici, le limitazioni patrimoniali, soprattutto in materia successoria, il divieto disposto dal pretore di rappresentare altri in giudizio o di esercitare la tutela. Nell'epoca imperiale l'infamia diventò pena accessoria della condanna per determinati reati. § Nel diritto canonico, pena canonica vendicativa, pronunciata dalla legge, quando questa stabilisce che i colpevoli di certi delitti debbano perdere la loro reputazione. Vi è pure un'infamia di fatto, che non ha una base legale ma è pronunciata dall'opinione pubblica, quando questa rifiuta la sua considerazione a coloro che hanno commesso certi delitti o che sono additati alla pubblica disistima per i loro cattivi costumi.

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