insinuazióne

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sf. [sec. XIV; dal latino insinuatío-ōnis].

1) Atto, effetto dell'insinuare e dell'insinuarsi: insinuazione di un sospetto nell'animo di qualcuno. In particolare, accusa non provata, allusione con cui si pone in dubbio qualche cosa: una vile insinuazione.

2) Nel diritto contemporaneo, atto con cui il creditore di un fallito fa domanda di essere ammesso al passivo del fallimento. § L'atto di insinuazione deve contenere il cognome e il nome del creditore, l'indicazione della somma e del titolo da cui il credito deriva, le eventuali ragioni di “prelazione” e i documenti giustificativi prodotti. La richiesta di insinuazione va rivolta al tribunale che ha dichiarato il fallimento. Essa produce i medesimi effetti della domanda giudiziale e impedisce sia la prescrizione sia la decadenza dei termini per quegli atti che non possono essere compiuti durante il fallimento. Il termine per la presentazione della domanda d'insinuazione è quello indicato dal curatore nell'avviso inviato ai vari creditori. Tuttavia anche dopo tale termine, e finché sia stato ripartito l'attivo fallimentare, i creditori possono proporre domande (insinuazioni tardive) che vengono ammesse se non vi sono ragioni di opposizione da parte del curatore. Diversamente s'instaura un ordinario giudizio civile per l'accertamento del credito. § Nel diritto romano, forma di registrazione che si compiva presso la cancelleria dei vari funzionari imperiali (apud acta). I documenti registrati acquistavano una maggiore efficacia probatoria ai fini processuali. Si affermò nel sec. III d. C.

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