monocròmo

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(anche monòcromo), agg. e sm. [sec. XVI; dal greco monóchrōmos, da mónos, uno solo, e chroma, colore].

1) Agg., di un solo colore, che presenta una sola tonalità prevalente: pannello monocromo.

2) Tecnica pittorica basata sull'uso di un solo colore, utilizzato, al fine di ottenere effetti di rilievo e chiaroscuro, nell'intera gamma delle sue tonalità. Pitture a un solo colore furono note in Grecia e a Roma, e dei monocromi a fondo bianco di Zeusi sono forse un riflesso alcuni quadretti su marmo da Ercolano e Pompei (tra cui Le giocatrici di astragali). Esempi di monocromi sono il fregio giallo della Casa di Livia sul Palatino (30-25 a. C.), la decorazione di alcune pareti della contemporanea Casa della Farnesina e alcune pitture pompeiane. Larga applicazione (nella decorazione parietale a fresco; nella pittura a tempera, a olio, su tela, tavola, vetro; negli smalti, ecc.) ebbe il monocromo nell'arte di ogni tempo e in particolare nell'arte gotica, rinascimentale e settecentesca, sia in opere isolate sia in più vasti complessi decorativi applicati all'architettura come imitazione della scultura e del rilievo (vedi trompe-l'œil). Particolarmente diffuso il monocromo basato sui toni grigi, detto anche grisaille, con termine originariamente applicato a un procedimento di pittura su vetro e su smalto (smalti di Limoges), e il camaïeu che si distingue dal primo in quanto l'immagine a monocromo si staglia su fondo unito di colore diverso con effetto di cammeo.

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