mutazionismo

sm. [sec. XX; da mutazione]. Teoria della mutazione sostenuta specialmente dal botanico olandese H. de Vries all'inizio del Novecento per spiegare il processo dell'evoluzione biologica. Tale teoria si basava sulle mutazioni, cioè sulla comparsa improvvisa e brusca di individui con caratteri nuovi e stabili che potevano divenire capostipiti di nuove razze. Le variazioni improvvise e discontinue, studiate a lungo da de Vries specialmente nella pianta Oenothera lamarckiana, erano note anche a Darwin che le ritenne tuttavia di scarsa importanza nell'evoluzione, realizzantesi, a suo avviso, mediante lente e continue variazioni. Secondo il mutazionismo le specie sarebbero normalmente fisse e stabili e solo in alcuni momenti critici esploderebbero nuovi e vistosi caratteri senza un evidente legame con le circostanze esterne. Il mutazionismo intendeva riportare lo studio dell'evoluzione in un ambito sperimentale oltre che dare risposta all'obiezione rivolta a Darwin secondo cui le variazioni lente e continue per produrre l'evoluzione richiederebbero un tempo geologico troppo lungo rispetto a quello della vita sulla Terra. La genetica ha successivamente riconosciuto l'importanza delle mutazioni, considerandole tuttavia un evento tendenzialmente graduale e non limitato a un periodo ristretto della vita della specie.

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