ostracismo

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sm. [sec. XVI; dal greco ostrakismós, da ostrakízō, ostracizzare, da óstrakon.

1) Antica istituzione giuridica dell'Attica e di altre città del mondo greco che ne imitavano la costituzione (Argo, Mileto, Megara e Siracusa, dove era chiamato “petalismo” perché si scriveva su foglie di olivo). Creato da Clistene, secondo la tradizione di Aristotele nel 510 o, molto più probabilmente, da più tardi fautori della sua riforma, per colpire coloro che aspiravano alla tirannide, non era considerato una pena infamante, ma una misura di polizia: l'ostracizzato (il cui nome veniva scritto sugli óstraca) doveva abbandonare la città entro 10 giorni e restarne lontano per un certo periodo (10 o forse 5 anni) ma non subiva la confisca dei beni. Perché la votazione dell'ostracismo (che avveniva durante l'ottava pritania) fosse valida, occorreva che a essa fossero presenti almeno 6000 cittadini. Fu applicato per la prima volta a Ipparco di Carmo nel 488-487; l'ultimo a esserne colpito fu invece Iperbolo nel 417. Tra gli ateniesi più famosi colpiti da ostracismo si ricordano Temistocle, Aristide, Cimone e Pericle.

2) Per estensione, esclusione di una persona o di una cosa da un determinato ambiente: l'ostracismo che colpisce certe pubblicazioni straniere nei regimi totalitari; dare l'ostracismo a una persona, a una moda, metterle al bando perché ritenute nocive o pericolose.

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