plàstico (aggettivo)

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Lessico

agg. (pl. m. -ci) [sec. XVI; dal latino plastícus, che risale al greco plastikós, da plássō, formare, modellare].

1) Di materia malleabile, che può essere facilmente plasmata e modellata mediante semplice pressione: la cera e l'argilla sono sostanze plastiche In particolare: materie plastiche, sostanze sintetiche, dette anche plastomeri, costituite da una struttura polimerica e caratterizzate da proprietà di comportamento prevalentemente plastico analogo a quello di molte sostanze naturali quali la cellulosa, la caseina, ecc.

2) Esplosivo plastico, esplosivo con elevato potere dirompente costituito da un impasto di ciclonite o pentrite con paraffina o con altri idrocarburi liquidi. Di consistenza plastico-oleosa, può essere modellato intorno all'oggetto da dirompere.

3) In geologia, coltre plastica, falda di ricoprimento di tipo gravitativo originatasi in ambiente sottomarino per scivolamento lungo un pendio di materiale eterogeneo, costituito da sedimenti non ancora completamente litificati e da lembi di formazioni rocciose più antiche strappati al substrato durante il movimento. Il colamento procede per lunghi periodi di tempo e comporta non solo una complessa deformazione plastica con strutture caotiche dei terreni coinvolti, ma anche, in seguito alla traslazione, il ricoprimento da parte della massa alloctona della coltre plastica di altri materiali già deposti.

4) Che plasma, che è atto a dare una forma: arti plastiche, la scultura, la ceramica e le arti figurative in genere; chirurgia plastica, vedi chirurgia.

5) Che rappresenta qualche cosa in rilievo: rappresentazione plastica di un edificio, di una zona della superficie terrestre. Fig., che crea o sottolinea effetti di rilievo, che suggerisce l'illusione del rilievo mediante particolari tecniche: il contrasto dei colori crea un'immagine plastica; anche che è degno di una statua, statuario: assumere una posa plastica; che rappresenta in modo netto e marcato, che è molto efficace, vigoroso: un poeta che si esprime con immagini plastiche.

Chimica: materie plastiche

Le catene polimeriche delle materie plastiche possono essere lineari, ossia indipendenti le une dalle altre, oppure essere collegate tra loro a formare un reticolo tridimensionale. Nel primo caso i polimeri, e quindi le materie plastiche da essi costituite, si dicono termoplastici e sono caratterizzati dalla proprietà di fondere a una determinata temperatura, riacquistando lo stato solido se riportati a temperatura più bassa del punto di fusione; nel secondo caso si dicono termoindurenti perché, sottoposti all'azione del calore, non fondono ma con il progressivo aumento della temperatura tendono a decomporsi. Spesso i polimeri lineari posseggono ramificazioni casuali, dovute a reticolazioni indesiderate che si attuano durante la polimerizzazione: ciò non influenza la loro termoplasticità, ma modifica le loro caratteristiche meccaniche, termiche ed elettriche; per prodotti di pregio, tuttavia, è possibile, con opportuni catalizzatori stereospecifici, ottenere polimeri perfettamente lineari. Questi ultimi presentano una distribuzione parallela delle catene, ma in certe zone si hanno organizzazioni geometriche di parallelismo visibili ai raggi X (zone cristalline o cristalliti), mentre in certe altre tale organizzazione è molto scarsa (zone amorfe). La preponderanza o meno di cristalli sull'amorfo dipende dal tipo di polimerizzazione, dai catalizzatori usati e dai monomeri stessi e comporta per il polimero caratteristiche meccaniche diverse: più precisamente un insieme monorientato sopporta un carico maggiore di uno disperso. A tale proposito si è notato che, stirando meccanicamente un polimero amorfo, si originano artificialmente cristalliti con il risultato di incrementare il carico di rottura diminuendo contemporaneamente l'allungamento; questo fenomeno viene utilizzato nella fabbricazione di fibre sintetiche. I polimeri termoindurenti, per contro, posseggono una reticolazione spaziale elevata e quindi elevata viscosità, il che spiega le loro caratteristiche di alta resistenza meccanica con bassi allungamenti, di insolubilità e di infusibilità. Rispetto ai metalli, il livello di temperatura al quale varia il comportamento plastico (divenendo elastico o viscoso) delle materie plastiche è molto basso; inoltre esse presentano un coefficiente di dilatazione termica molto elevato per cui hanno instabilità dimensionale al variare della temperatura. Tutte buone isolanti, presentano un carico di rottura generalmente pari a 1/10 rispetto a quello dei metalli salvo nelle fibre sottili e cristalline che possono raggiungere anche valori di 50 kg/mm², simile a quello dei metalli. Importante è la resistenza al calore, che nella maggior parte dei polimeri è inferiore ai 100 ºC, condizione essenziale perché un manufatto conservi le sue caratteristiche geometriche e quindi possa essere utilizzato praticamente. Il punto di fusione di una determinata materia plastica, detto punto di transizione del primo ordine, è definito solo per quei polimeri che presentano alto grado di cristallinità, i quali si comportano pertanto come le sostanze a basso peso molecolare; i polimeri amorfi per contro presentano un intervallo di fusione in cui le loro caratteristiche passano da uno stadio plastico a uno viscoso; oltre al punto di fusione, esiste anche un punto di transizione del secondo ordine, al di sotto del quale le materie plastiche presentano un comportamento vetroso, caratterizzato cioè da una brusca caduta dell'allungamento a rottura e dalla perdita di resilienza. Tale punto esiste per ogni polimero ed è definito in funzione della pressione esterna e del carico meccanico cui è sottoposto. La temperatura di transizione vetrosa può essere variata mediante la copolimerizzazione o per addizione di un plastificante che, deprimendo la viscosità tra le catene polimeriche, diminuisce la temperatura alla quale le catene stesse sono impedite a scorrere le une sulle altre. Per quanto riguarda la classificazione, appartengono alle materie plastiche termoindurenti i fenoplasti, gli amminoplasti, le resine epossidiche e i poliesteri insaturi; sono invece termoplastiche la celluloide, il polivinile, il polistirolo, le resine acriliche, le poliammidi, ecc. Il polimero tuttavia non è quasi mai impiegato da solo per essere trasformato in manufatti, ma è additivato con sostanze atte a impartirgli resistenza agli agenti esterni, modificazioni strutturali, colorazione, ecc. Le resine fenoliche (ora quasi totalmente sostituite da altre resine termoindurenti) venivano generalmente caricate con segatura di legno, tela di cotone o carta, fino al 50%, sia per migliorarne le caratteristiche meccaniche, sia per ridurre il costo del pezzo stampato. Si preferisce usare come carica, per tutti i materiali termoplastici e per alcuni termoindurenti (per esempio il poliestere), la fibra di vetro, in percentuale variabile tra il 15 e il 50%. Si ottiene un notevole aumento della resistenza all'urto, e del carico di snervamento; il vantaggio maggiore è dato dall'aumento della rigidità, che rende alcuni materiali (poliammidi, polipropilene, ABS) adatti alla produzione di pezzi che prima erano esclusivamente realizzati in metallo, per esempio particolari tecnici di precisione, paraurti delle automobili. Altre sostanze, aggiunte in percentuale ridotta, rendono autoestinguenti i materiali plastici usati per l'arredamento o nelle apparecchiature elettriche. I plastificanti esterni facilitano la formatura del manufatto diminuendo l'attrito e la coesione tra le particelle, mentre i plastificanti interni rendono permanente la flessibilità delle catene polimeriche. I coloranti, per lo più organici, conferiscono proprietà estetiche; gli agenti reticolanti, usati sia per i termoindurenti sia per i termoplastici, realizzano la reticolazione durante lo stampaggio o l'estrusione (con polietilene reticolato si ottengono tubi resistenti a pressioni elevate, usati per la distribuzione dell'acqua); i lubrificanti impediscono l'adesione del pezzo stampato allo stampo durante la formatura; gli stabilizzanti alla luce e al calore impediscono la degradazione del polimero sottoposto a fonti energetiche esterne. La mutua proporzione dei componenti dipende dal tipo di polimero, ma soprattutto dall'applicazione e dalla tecnica di trasformazione. I principali tipi di lavorazione dei materiali plastici sono: lo stampaggio, l'estrusione (per la produzione di tubi fino a 1 m di diametro, e di profilati delle forme più varie), l'estrusione-soffiaggio per la formazione sia di recipienti e corpi cavi in genere, sia di film sottili. Con la calandratura si ottengono pellicole e lastre di vari spessori (anche inferiori a 1 mm), che possono venire poi trasformati, con lo stampaggio sotto vuoto (più noto con il nome inglese di vacuum forming), in oggetti dalle forme più disparate: tipici sono gli imballi per la frutta. Le lastre dello spessore di alcuni mm, piane o ondulate e spesso rinforzate con fibra di vetro e colorate, sono largamente utilizzate nell'edilizia, per coperture impermeabili e pavimenti resilienti. I materiali plastici sono utilizzati per la costruzione di automobili (nei modelli più recenti ne sono impiegati oltre 100 kg per vettura, con un incremento annuo superiore al 4%). Nelle macchine per ufficio e nei piccoli elettrodomestici tutte le “carrozzerie” sono in plastica; i giocattoli sono per il 99% di plastica; anche nelle apparecchiature elettromeccaniche di precisione l'uso di materiali speciali (tecnopolimeri) si va imponendo, soprattutto per la notevole riduzione dei costi di produzione. In genere, secondo lo spessore e la rigidità, le materie plastiche possono essere trattate come il legno, la carta, la stoffa; l'incollatura è, attualmente, adottata per ogni tipo di polimero utilizzando idonei solventi e collanti; le materie plastiche termoindurenti, tuttavia, possono essere saldate a caldo con opportuni accorgimenti. I termoplastici, invece, possono essere saldati, oltre che a caldo, per mezzo di ultrasuoni. Alcuni materiali (in particolare il polistirolo, i poliuretani, e, in minor misura, il polietilene) possono essere espansi; se ne ricavano manufatti largamente utilizzati come imballaggi, oppure lastre impiegate in edilizia per la coibentazione e l'insonorizzazione degli edifici e degli impianti. § La crescente diffusione delle materie plastiche rende sempre più necessario e urgente organizzarne il recupero dai rifiuti; nelle regioni più industrializzate costituiscono circa l'8,5% dei rifiuti solidi urbani e raggiungono anche i 25 kg all'anno per abitante. Poiché alcune di esse (per esempio il PVC) producono diossina quando vengono bruciate, non possono essere smaltite se non da inceneritori dotati di particolari apparecchiature; quasi tutte, poi, non essendo biodegradabili, restano inalterate per lunghissimo tempo nelle discariche. Il riciclaggio della plastica può avvenire in tre modi differenti: a livello meccanico, chimico o energetico. Nel primo caso si ottengono nuovi prodotti trasformando quelli non più utilizzati o utilizzabili; il procedimento chimico scompone il materiale plastico fino agli elementi di base, in genere idrocarburi o ossido di carbonio, che vengono poi reimpiegati; il riutilizzo dell'energia sfrutta direttamente i rifiuti, che producono bruciando un alto potere in calore.

Honeycutt, Manufacture of Plastics,New York, 1964; P. Meares, Polymers, Structure and Bulk Properties, Princeton (New Jersey), 1964; J. W. Schmitz, Testing of Polymers, New York, 1966; D. C. Miles, J. H. Briston, Polymer Technology, New York, 1967; R. B. Seymour, Polymer Science, New York, 1968; E. Maurini, A. Petrillo, Neolite. La metamorfosi delle plastiche, Milano, 1991.

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