Lessico

sm. [sec. XIII; dal latino ritus].

1) Il modo con cui è ordinato l'insieme delle celebrazioni sacre (svolgimento, cerimonie, feste) di una Chiesa e di una famiglia religiosa: rito romano; rito domenicano; cerimonia conforme al rito; le particolarità del rito ambrosiano. Per estensione, cerimonia religiosa: celebrazione solenne del rito nuziale.

2) Per analogia, insieme di regole tradizionali da rispettare in qualsiasi genere di rapporto sociale; usanza, procedura: esser di rito, esser d'obbligo, conforme alla prassi consueta; piatto di rito, pietanza tradizionale quasi obbligatoria in particolari circostanze quali feste, ricorrenze e simili. In particolare, in psicologia, ogni comportamento stereotipato derivante da norme trasmesse per tradizione all'interno del gruppo. Il termine è a volte usato come sinonimo di rituale.

Religione: generalità

Il rito è l'azione sacrale compiuta secondo moduli fissi. La sua funzione, quale componente essenziale di ogni religione, è di fornire uno schema di comportamento o un simbolo d'azione, quando la contingenza storica si presenta nella forma angosciosa e paralizzante di una crisi. La crisi si delinea come incapacità di agire, per paura o per incertezza, e pertanto il rito, quale azione simbolica, certa in ogni dettaglio e sacralmente sottratta a ogni rischio, rompe l'“inazione” e avvia all'azione propriamente storica. Le crisi si presentano come occasionali o periodiche, così che occasionali o periodici possono essere definiti i riti chiamati a risolverle. Crisi occasionale è quella determinata da malattie, siccità, disgrazie, ecc., cioè da eventi imprevisti che sconvolgono l'ordinato andamento delle cose e privano l'uomo del suo orientamento abituale. Crisi periodica è quella determinata da ricorrenze astronomiche, stagionali, agricole, ecc., cioè da eventi previsti ma che, proprio perché tali, ripartiscono in cicli l'andamento delle cose e fanno sentire come momento critico la fine-inizio di ogni ciclo, quando non si è più nello schema del vecchio ciclo né ancora in quello del nuovo. In entrambi i tipi di crisi, ciò che si richiede al rito è di ridare ordine, vuoi perché esso è stato sconvolto da una causa improvvisa, vuoi perché esso è cessato con la fine di un ciclo. “Dare ordine” significa ridurre nei termini di una cultura umana, ossia in un determinato sistema di valori, quanto si vuole sottrarre alla natura intesa come casualità e arbitrio. In questa funzione ordinatrice, qualificante e, in ultima analisi, “oggettivante”, il rito si esprime in alternativa al mito: mentre il mito oggettiva quella zona della realtà che non si ritiene passibile d'intervento umano e pertanto l'attribuisce a un “soggetto” mitico, il rito oggettiva la zona della realtà ritenuta passibile d'intervento umano e quindi offre all'uomo la possibilità di farsi lui stesso “soggetto” attuale. Quanto più vasto è il campo d'azione rituale (a spese del campo d'azione mitico), tanto più l'uomo si rende soggetto di storia; ma non si dimentichi che il rito resta sempre un diaframma tra l'uomo e la storia, per la sua costituzionale “sacralità” che rimanda in ogni caso al “metastorico”. D'altra parte è proprio questa “sacralità”, o questa dimensione metastorica (o comunque sottratta alla storia), che garantisce il valore del rito quale che sia la contingenza che ne richieda l'uso. La sacralità del rito si desume: dalla sua invariabilità, dalla qualifica dell'operatore e, quando esso ha un destinatario, dalla qualifica del destinatario. L'invariabilità è funzionale in quanto, essendo il rito rivolto al variabile per definizione (la contingenza storica), esso stesso non ne può rimanere coinvolto e deve acquistare i caratteri di necessità. La qualifica dell'operatore prolunga e perfeziona l'efficacia del rito nel senso della sua sottrazione alla contingenza storica: l'operatore non è infatti una persona qualsiasi come “qualsiasi” (indifferenziato) è l'evento su cui dovrà agire, ma è un capo, un re, uno sciamano, un sacerdote, uno stregone, ecc., ossia un personaggio istituzionalizzato e pertanto sottratto alla storia. Il rito, poi, non agisce sempre direttamente; serve a volte a chiamare in azione un'entità extraumana (dio, spirito, antenato, ecc.) e cioè un soggetto metastorico in senso assoluto. La richiesta di un simile intervento non muta la sostanza del rito; esso resta sempre un “simbolo d'azione” e non un'azione effettiva correlata alla circostanza. Perciò si fa inutile la definizione di “magici” data a quei riti che non hanno un destinatario, contrapponendola a quella di riti “religiosi” se hanno un destinatario. La definizione del “magico” in contrapposizione al “religioso” è sempre equivoca. Si può tutt'al più distinguere tra riti autonomi e riti cultuali, nel senso che questi ultimi, oltre alla funzione propria di ogni rito, contribuiscono all'edificazione degli esseri istituzionalmente venerati presso una data popolazione (vedi culto e, in ambito storico, Questione dei Riti). Riguardo ai principali riti culturali, vedi preghiera, sacrificio; per i riti autonomi, vedi passaggio.

Religione: cristianesimo

Due sono le divisioni fondamentali tra i riti: il rito orientale e quello occidentale (o latino), all'interno dei quali vi sono poi altre suddivisioni. Il rito romano è attualmente quello di quasi tutta la cristianità latina. In origine era la liturgia di Roma, organizzata dai papi, ben presto accolta dalle altre Chiese d'Italia e dell'Europa, con varianti locali che talvolta finirono per influenzare ed entrare nel rito romano stesso. La riforma nata dal Concilio di Trento ha annullato praticamente le differenze, essendo stata imposta a tutte le Chiese dell'Occidente, eccezion fatta per quelle che avevano una propria tradizione di almeno duecento anni. Si salvò solo il rito ambrosiano, rimasero alcune particolarità dei riti lionese e bracarense (diocesi di Braga in Portogallo), mentre il rito mozarabico fu limitato a una cappella della cattedrale di Toledo. Rimasero alcuni riti monastici: domenicano, cistercense, certosino, carmelitano. Con il Concilio Vaticano II anche queste famiglie religiose hanno accolto il rito romano, per la difficoltà di stampare libri liturgici propri in diverse lingue e soprattutto perché la riforma ha accolto gli elementi validi di tutte le tradizioni, dando una struttura fondamentale, nella quale si possono inserire particolarità conservate dalle varie assemblee dei fedeli. In senso più limitato, il rito indica anche le norme con cui una funzione sacra o una parte di essa si deve svolgere. In questa accezione, soprattutto nelle lingue parlate, si usa: rito della messa, rito del battesimo, della cresima, del matrimonio, ecc. I riti variano secondo la natura e il fine dell'azione sacra, arricchendosi di simboli tratti dalla vita umana (processioni), dalla natura (luce-tenebre) e specialmente dalla Sacra Scrittura (imposizione delle mani, unzioni). Si hanno così riti intesi a esprimere la lode (liturgia delle Ore nel breviario), a invocare la protezione di Dio sugli uomini e le cose (benedizioni, processioni, intercessioni), alla santificazione e consacrazione delle persone (sacramenti e sacramentali) o delle cose (dedicazione delle chiese e degli altari, benedizione del cimitero), alla celebrazione dei misteri di Cristo (anno liturgico, feste dei santi). Tutti hanno il loro culmine nella messa, che è il centro della vita della Chiesa e del cristiano. I riti liturgici sono quelli ufficialmente stabiliti dall'autorità ecclesiastica, nei quali Cristo continua a rendersi presente e a operare la salvezza dell'uomo. I riti extra-liturgici, o pii esercizi, sono devozioni particolari nate dalla tradizione religiosa dei fedeli, come la via Crucis, il rosario, le novene, ecc. Questi devono essere ordinati alla liturgiaome a loro fonte, perché hanno lo scopo di alimentare la fede e la conoscenza del mistero di Cristo, celebrato nella liturgia.

Quiz

Mettiti alla prova!

Testa la tua conoscenza e quella dei tuoi amici.

Fai il quiz ora