Lessico

sm. [sec XIII; dal latino matrimoníum].

1) Accordo tra un uomo e una donna stipulato alla presenza di un ufficiale di Stato Civile (matrimonio civile) o di un ministro del culto (matrimonio religioso), per cui i due contraenti si uniscono in comunanza di vita spirituale e materiale con l'assunzione di reciproci obblighi: matrimonio d'amore, d'interesse; contrarre matrimonio, congiungersi in matrimonio, sposarsi; matrimonio di coscienza; fare un buon matrimonio, sposare una persona abbiente. Per estensione, il vincolo permanente che si stabilisce fra i coniugi; la vita coniugale: il matrimonio le ha fatto bene; sono al loro decimo anno di matrimonio.

2) Il rito, la cerimonia con cui l'uomo e la donna vengono uniti: celebrare il matrimonio; essere invitato a un matrimonio; matrimonio elegante, sfarzoso.

3) Gioco d'azzardo con le carte: le combinazioni vincenti (matrimonio: re-regina; intrigo: regina-fante; confederazione: re-fante; coppia: due carte uguali; la migliore: asso di quadri), tratte da un mazzo di 52 carte, vengono disposte scoperte sul tavolo e il banchiere assegna a ciascuna di esse una posta alla quale i giocatori risponderanno con un ugual numero di fiches meno una; distribuite le carte (2 a testa), quello, o quelli, tra i giocatori che avrà realizzato una delle combinazioni vincerà la posta corrispondente. In alcuni giochi di carte (bazzica, guimbarda), combinazione, di punteggio determinato, formata da re e donna dello stesso seme.

Diritto: norme generali

Secondo il diritto civile il matrimonio è un contratto con il quale si costituisce una società coniugale volta a realizzare una comunione materiale e spirituale tra i coniugi. Il matrimonio è un contratto consensuale e per la sua validità sono necessari: la capacità dei due soggetti a contrarre matrimonio; l'assenza di impedimenti previsti dalla legge; il consenso libero e manifestato; la forma. La “promessa di matrimonio” non obbliga le parti a contrarre lo stesso né a eseguire ciò che si fosse convenuto per il caso di non adempimento. Il matrimonio celebrato davanti a un ministro del culto cattolico è regolato in conformità del Concordato con la Santa Sede e delle leggi speciali in materia (legge 27 maggio 1929, n. 810, che rende esecutivo il Concordato, e legge 27 maggio 1929, n. 847); per quanto riguarda il matrimonio celebrato davanti a ministri dei culti ammessi nello Stato, esso è regolato dalla legge 24 giugno 1929, n. 1159, nonché dalla legge 8 luglio 1938, n. 1415. L'età minima per accedere al matrimonio è per entrambi gli sposi di anni 18: per gravi motivi possono essere ammessi al matrimonio i minori che hanno compiuto i 16 anni, con decreto del Tribunale dei minori, dopo che sia stata accertata la loro maturità psico-fisica e la fondatezza dei motivi. Devono essere sentiti dal Tribunale, prima dell'emissione del decreto in Camera di Consiglio, i genitori o il tutore e il Pubblico Ministero. La donna divorziata può accedere a nuove nozze dopo 300 giorni dallo scioglimento o dalla cessazione dei diritti del matrimonio precedente. Le ipotesi che rendono impossibile contrarre matrimonio sono: l'interdizione per infermità di mente, il vincolo matrimoniale precedente e ancora esistente, la consanguineità, l'affinità in linea retta, l'affinità in linea collaterale in secondo grado, il rapporto di adozione. Non possono inoltre contrarre matrimonio fra loro le persone delle quali l'una è stata condannata per omicidio tentato o consumato sul coniuge dell'altra. In seguito alla riforma del diritto di famiglia la legge 19 maggio 1975, n. 151 ha inciso sui vizi del consenso ampliandone la portata e stabilendo dei termini meno brevi per l'esercizio dell'azione di annullamento. La celebrazione del matrimonio deve essere preceduta dalla “pubblicazione”, consistente nell'affissione alla porta della Casa Comunale di un atto dove si indica il nome, il cognome, la professione, il luogo di nascita e la residenza degli sposi, nonché il luogo ove intendono celebrare il matrimonio. L'atto di pubblicazione resta affisso alla Casa Comunale almeno per 8 giorni comprendenti 2 domeniche successive e la richiesta di questa pubblicazione deve farsi da entrambi gli sposi o da persona che ne ha ricevuto da essi incarico speciale. La ragione delle pubblicazioni è di consentire alle persone che ne hanno interesse di fare opposizione. La celebrazione del matrimonio è anch'essa un atto pubblico nel senso che il matrimonio deve essere celebrato pubblicamente nella Casa Comunale e davanti all'ufficiale dello Stato Civile al quale fu fatta la richiesta di pubblicazione, oppure davanti a un ministro del culto cattolico, o di altro culto ammesso nello Stato. La forma della celebrazione è stabilita tassativamente dalla legge: nel giorno indicato dalle parti, l'ufficiale dello Stato Civile alla presenza di due testimoni, anche se parenti, dà lettura agli sposi degli articoli del Codice Civile che stabiliscono i diritti e i doveri che nascono dal matrimonio (art. 143 e seguenti), riceve da ciascuna delle parti personalmente, l'una dopo l'altra, la dichiarazione che esse si vogliono prendere rispettivamente in marito e in moglie e in seguito dichiara che esse sono unite in matrimonio. L'atto deve essere compilato immediatamente dopo la celebrazione. Tutte queste disposizioni che sono state qui succintamente rammentate trovano una precisa e puntuale disposizione in varie norme del Codice Civile che prevedono, per esempio, la nullità del matrimonio (art. 117 e seguenti), le prove della celebrazione del matrimonio (art. 130 e seguenti), nonché varie disposizioni penali per omissione o violazione delle precedenti norme (art. 134 e seguenti). In base al nuovo diritto di famiglia ciascuno dei coniugi ha diritto a fissare il proprio domicilio “nel luogo in cui ha stabilito la sede principale dei propri affari o interessi”. I coniugi fissano, in accordo, la residenza della famiglia e concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare.

Diritto: la potestà dei genitori e il regime patrimoniale

Secondo il nuovo diritto di famiglia sono parificati i diritti e i doveri reciproci dei coniugi e nei confronti della prole: ambedue i coniugi esercitano in comune accordo la potestà loro riconosciuta sui figli, che non è più denominata “patria potestà” ma “potestà dei genitori”, e hanno l'obbligo di mantenere, educare e istruire la prole. Ciò è affermato anche dall'art. 30 della Costituzione, che stabilisce che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori dal matrimonio. Inoltre il regime giuridico del matrimonio è stato modificato sia dalla possibilità di riconoscimento dei figli adulterini (che prima era preclusa), sia dall'aver ammesso anche la madre e il figlio all'esercizio dell'azione di disconoscimento della paternità, prima attribuita solo al padre. Importanti innovazioni riguardano il regime patrimoniale tra i coniugi. È stato abolito l'anacronistico istituto della dote ed è stato introdotto come regime normale quello della comunione legale che comprende gli acquisti compiuti insieme o separatamente durante il matrimonio, i frutti dei beni e i proventi delle rispettive attività. Di conseguenza decisioni e scelte su tutto il patrimonio familiare o su parte di esso spettano a entrambi. Le scelte sono individuali solo per i beni personali e per quelli posseduti dal coniuge prima del matrimonio; la loro amministrazione spetta come diritto tanto all'uno quanto all'altro coniuge. La “comunione dei beni” cessa per morte presunta di uno dei coniugi, per annullamento o per scioglimento del matrimonio, per separazione personale, per separazione giudiziale dei beni, per fallimento di uno solo dei coniugi. Apposite convenzioni possono essere rivolte alla costituzione di regimi diversi, quali il “fondo patrimoniale”, la “comunione convenzionale” e il “regime di separazione dei beni”. Particolari disposizioni riguardano poi la costituzione dell'impresa familiare. Attualmente il coniuge concorre alla successione dell'altro coniuge con diritto a una parte del patrimonio in proprietà (e non solo in usufrutto come nel regime precedente).

Diritto: reati contro il matrimonio

Reati contro il matrimonio sono: la bigamia e l'induzione al matrimonio mediante l'inganno. Non costituiscono più reato l'adulterio e il concubinato. È stato modificato il regime di separazione dei coniugi, principalmente con l'abolizione della separazione per colpa e l'ammissibilità della richiesta di separazione semplicemente quando si verifichino “fatti tali da rendere intollerabile la convivenza o da recare grave pregiudizio all'educazione della prole”, art. 151 Codice Civile. Lo scioglimento del matrimonio può avvenire con la morte di uno dei coniugi o, in seguito alla legge 1º dicembre 1970, n. 898, “disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”, quando ricorra uno dei casi specificamente previsti (vedi divorzio).

Diritto internazionale privato

Il matrimonio tra cittadini di diversa nazionalità presenta una casistica diversa secondo che prevalga l'una o l'altra legislazione degli Stati di appartenenza dei futuri coniugi: per la capacità a contrarre il matrimonio la legge italiana si richiama alla disciplina vigente nei singoli Paesi dei nubendi; l'impedimento per cause razziali e/o di religione non ha nessun riconoscimento in Italia; gli impedimenti per vizio di consenso, per infermità mentale, consanguineità, affinità, ecc. sono sottoposti alla legislazione di entrambi i Paesi a cui i nubendi appartengono. Sposando uno straniero la donna italiana conserva i diritti di cittadina italiana, salvo rinuncia. La stessa cosa si verifica nel caso in cui il marito (italiano) cambia nazionalità.

Diritto canonico: generalità

Per la Chiesa cattolica il matrimonio è un rapporto naturale di unione, unica e indissolubile, tra uomo e donna elevato da Cristo “alla dignità di sacramento” (Codice di diritto canonico, can. 1055). Sue “proprietà” sono l'unicità e l'indissolubilità, enunciate nell'Antico Testamento (Genesi, 2,18-24) e nel Vangelo (Matteo 19,3-10). Nell'insegnamento di San Paolo il matrimonio è considerato un rimedio al fomite delle passioni: “È meglio sposarsi che ardere di passione” (I Corinti 7,9). Di conseguenza il matrimonio fu finalizzato unicamente alla procreazione dei figli (Clemente di Alessandria, m. 215), solo in rapporto alla quale la moglie era considerata tale (Atenagora, m. 215). In una luce più positiva il matrimonio fu visto da Sant'Agostino (m. 430) e, nel Medioevo, da Ugo da San Vittore (m. 1141) e da San Bonaventura (m. 1274), mentre in genere si continuò a considerarlo un “male minore”, di cui il fine primario era la procreazione e il secondario il “rimedio della concupiscenza” (San Tommaso d'Aquino, m. 1274); a questi scopi il diritto canonico (can. 1013,1) e Pio XI (Casti connubii, 1930) aggiunsero il “mutuo aiuto” dei coniugi. Il Concilio Vaticano II (Gaudium et Spes, 1965), pur evitando controversie in materia, si è orientato nella concezione del matrimonio come “comunità di vita e di amore” (cardinale Leger), valutando la sessualità e l'amore umano come vero fine del matrimonio, “dotato di molteplici valori”, cui necessita una responsabilizzazione sulla procreazione.

Diritto canonico: validità e annullamento del matrimonio

Il matrimonio è un contratto consensuale, poiché si perfeziona con lo scambio dei consensi delle parti, e formale in quanto il can. 1108 Codice di diritto canonico statuisce che sono validi soltanto i matrimoni celebrati davanti al parroco, o all'ordinario del luogo, o al sacerdote delegato da uno di essi, e ad almeno due testimoni, salvo le eccezioni previste per causa gravissima e urgentissima, e in articulo mortis. Requisiti per la validità del matrimonio sono, quindi: due soggetti capaci, o comunque non impediti a contrarre per una delle cause previste dalla legge canonica; il consenso libero e manifestato; la forma. Ne consegue che le cause di nullità del matrimonio si possono raggruppare in tre diverse categorie: le nullità per mancanza o vizio del consenso; infermità psichica, ignorantia circa essentialia matrimonii; discordanza voluta o non voluta fra la volontà interna e quella manifestata; intentio o condicio contra matrimoni substantiam; vizio di errore o di violenza morale; circostanze che per legge – divina o umana – ostano a che il vincolo coniugale sia validamente contratto. Il principio dell'indissolubilità del matrimonio è assoluto nel caso di matrimonio rato e consumato, cioè nel matrimonio valido tra battezzati che sia stato completato con l'atto coniugale. Quando, invece, manchi l'elemento della sacramentalità (matrimonio contratto da infedeli), oppure si tratti di matrimonio rato, che non sia stato completato con la consumazione, il matrimonio, pur essendo fondamentalmente indissolubile, può essere sciolto dal romano pontefice in virtù della sua potestà vicaria in materia di diritto divino. Con il Concordato Lateranense dell'11 febbraio 1929, vennero riconosciuti al sacramento del matrimonio, disciplinato dal diritto canonico, gli effetti civili: ai tribunali e dicasteri ecclesiastici fu riservata la competenza a decidere le cause di nullità dei matrimoni canonici civilmente riconosciuti, nonché a pronunciare lo scioglimento dei matrimoni rati e non consumati; mentre venne riservata ai tribunali civili la competenza circa le cause di separazione personale dei coniugi, anche se uniti da matrimonio canonico riconosciuto valido agli effetti civili.

Diritto canonico: la dottrina del consenso, celebrazione e benedizione

La celebrazione cristiana del matrimonio è stata influenzata fin dalle origini dagli usi familiari dei vari Paesi. In essi s'inserì la Chiesa per affermare la dignità sacramentale del matrimonio tra i cristiani e invocare su essi la benedizione di Dio. L'elemento essenziale del rito matrimoniale è la manifestazione del consenso davanti alla Chiesa e la benedizione. La dottrina del consenso ha subito nel sec. XII una decisiva elaborazione a opera di Pier Lombardo (Sententiarum libri, IV, dist. 26-42), prevalendo sull'altra dottrina che dava rilievo al momento della “copula” e che tendeva a fare del matrimonio un contratto reale (di tale dottrina resta una significativa traccia nella possibile dispensa pontificia del matrimonio rato e non consumato). Quanto alla celebrazione in faciem ecclesiae e alla benedizione, esse, già presenti da secoli, sono entrate definitivamente nel rito, come momento essenziale atto a evitare tra l'altro i cosiddetti matrimoni clandestini, con il Concilio di Trento (sessione XXIV, decreto Tametsi). Ora la celebrazione del matrimonio può essere fatta durante la Messa. Dopo l'ingresso solenne in chiesa, gli sposi ascoltano la parola di Dio, manifestano la volontà di contrarre il matrimonio, si scambiano il consenso, promettendosi fedeltà per tutta la vita. Quindi si consegnano a vicenda l'anello. Il sacerdote, nella benedizione solenne, chiede a Dio che il matrimonio contratto assomigli al modello che è l'unione di Cristo con la Chiesa.

Etnologia

Istituto in uso presso tutti i popoli della Terra. Esso si manifesta come un rito di passaggio in più fasi, che iniziano col corteggiamento e terminano con la convivenza e la nascita del primo figlio, a conferma della sua validità. Il matrimonio è essenzialmente un atto pubblico, con regole precise dettate dalla struttura sociale vigente e raramente viene deciso solo dagli interessati. Esistono vari fattori per la scelta matrimoniale: in genere si tiene conto dell'età degli sposi, che molto spesso sono più o meno coetanei; oppure può essere determinante la ricchezza di una o di entrambe le parti contraenti, sia perché il compenso nuziale può essere versato subito, sia perché una fanciulla scelta da un uomo ricco rialza il suo prestigio e quello della sua famiglia. Rispetto al numero dei contraenti il matrimonio può essere monogamico o poligamico; è primario se entrambi gli sposi si sposano per la prima volta; secondario se uno o entrambi sono vedovi o divorziati; infine il matrimonio è condizionato anche dalla scelta della residenza postnuziale, che può essere determinata dal sistema di discendenza vigente o essere del tutto libera; per esempio, presso le genti a organizzazione matrilineare la residenza è generalmente matrilocale o avuncololocale, mentre in quelle patrilineari è di norma patrilocale. La monogamia è assente tra i popoli d'interesse etnologico come norma restrittiva, con la sola eccezione degli Hopi dell'Arizona e i Canella del Brasile, e coesiste con gli altri tipi di matrimonio; le unioni poligamiche sono più spesso poliginiche, o solo in pochi luoghi sono poliandriche. L'uso della poliginia può essere stato causato dal fatto che durante la gravidanza o l'allattamento c'è il tabù dei rapporti sessuali; oppure si può considerare il fatto che più donne significano più braccia da lavoro e più figli, e conseguentemente più prestigio sociale. A volte esiste una moglie principale, in genere la prima moglie, e in questo caso si tratta di poliginia “disparata”, in quanto le mogli hanno un diverso status sociale. Si ha inoltre un tipo di poliginia, detta “sororale”, nel caso che le mogli di un individuo siano sorelle. La poliandria in genere coesiste con la monogamia e la poliginia, e può essere determinata da fattori economici o dalla pratica dell'infanticidio femminile. Comunque, quali che siano i tipi di matrimonio, nelle nozze primarie il giovane deve compensare la famiglia della futura sposa per la perdita di un membro attivo; senza questo compenso molte culture non considerano valido il matrimonio. La forma più antica di compenso nuziale sembra essere quella del “doppio scambio” di donne, che si osserva presso culture venatorie (Pigmei, Australiani), agricoltori inferiori (Mao, alcuni Papua), alcune tribù evolute di Sumatra e tra i contadini arabi della Palestina. Altra forma arcaica è quella detta “per servizi” (il genero lavora per la famiglia della ragazza per un certo periodo, e vive presso la famiglia della ragazza), molto diffusa, specie fra i gruppi della Siberia nordorientale, nell'Asia sudorientale e in Indocina, in varie zone dell'Africa (specie occidentale) e in America Meridionale. Esiste ancora una forma “per ratto”, che ha valore effettivo solo nei confronti di donne appartenenti a tribù nemiche; negli altri casi il ratto ha solo valore temporaneo, non essendo lo sposo in grado di fornire il compenso, ma l'unione sarà considerata socialmente valida solo dopo il versamento del compenso; infine il ratto può essere simulato, e questo può essere un atto simbolico, per porre in risalto la separazione della ragazza dalla sua famiglia. Però la forma più frequente di transazione nuziale è quella per compenso in derrate, bestiame, manufatti o danaro. L'ammontare o la natura del compenso variano da cultura a cultura, secondo il tipo di economia prevalente, del censo e del rango degli sposi. In sostanza, le diverse forme di compenso tendono a garantire la stabilità e la legalità dell'unione, e soprattutto lo status sociale dei figli nati dalla coppia. Infine l'accordo fra le parti, il pagamento del compenso pattuito o “il fatto compiuto” sono sufficienti a rendere valida un'unione. In Occidente nel secolo XXI la natura, lo scopo del matrimonio e della famiglia sono cambiate e stanno ancora mutando. A differenza di quanto avveniva in passato il matrimonio non è più una tappa obbligata nella vita dell'individuo. L'istituto legale del divorzio consente di sciogliere il vincolo matrimoniale. I gruppi di sostegno dei diritti degli omosessuali, infine, appoggiano l'apertura del matrimonio alle coppie dello stesso sesso. Dalla seconda guerra mondiale nel mondo occidentale il matrimonio ha seguito un'evoluzione: da un patto a vita che può essere rotto solamente per colpa o morte, a un contratto che può essere interrotto da ogni parte su richiesta. Tra le altre variazioni avvenute nel matrimonio: entrambi i coniugi hanno il dovere formale di sostegno al coniuge (non più solo il marito); i figli nati fuori dal matrimonio hanno gli stessi diritti di sostegno dei figli legittimi; il marito non può più punire fisicamente la propria moglie; le proprietà acquisite dopo il matrimonio non appartengono al solo titolare, ma sono considerate coniugali e devono essere condivise dai coniugi secondo la legge della comproprietà o un'equa distribuzione giudiziale. § Per il mondo islamico il matrimonio non ha carattere religioso e si limita a un contratto civile, che si sostanzia e si perfeziona nel mutuo consenso delle parti. Essenziale alla validità del contratto è la donazione nuziale del marito alla moglie. Mentre l'impedimento per consanguineità inizia solo dal cugino primo (escluso), rigida è invece la proibizione di matrimonio tra gli affini; persone di religione diversa possono sposarsi purché entrambi credenti in religioni rivelate (Islam, cristianesimo, ebraismo); se entrambi sono musulmani è concesso anche il matrimonio tra un libero e una schiava. È ammessa la poligamia fino a un massimo di quattro mogli contemporaneamente; illimitato è invece il numero delle concubine, i cui figli sono legittimi al pari di quelli delle mogli. Lo scioglimento del matrimonio avviene: per ripudio della donna (verbale o scritto), che può essere revocabile o irrevocabile; per rinnegamento, ossia per divorzio; per separazione pronunciata dal giudice su richiesta di uno degli sposi; per apostasia dalla religione, che agisce ipso iure ed è automatica una volta avvenuta l'apostasia. Il matrimonio tra schiavi aveva gli stessi effetti di quello tra liberi.

Cenni storici: generalità

Come istituto religioso il matrimonio consegue due scopi originari: uno sociale e uno individuale. Il primo tende a promuovere e sostenere le relazioni di parentela che s'instaurano tra due o più gruppi mediante lo scambio di donne; il secondo si propone di introdurre la donna (ma a volte anche l'uomo) mediante un rito iniziatico alla condizione di adulta; anche in tal caso, comunque, il fine ultimo è quello sociale, in quanto il matrimonio rappresenta la via per cui la donna viene integrata, come adulta, nella società. Ai fini delle relazioni di parentela il matrimonio è difeso dal tabù d'incesto, ossia dal divieto di scegliere il coniuge in un gruppo consanguineo. Talvolta il tabù d'incesto, universalmente diffuso, ha delle eccezioni: il matrimonio tra consanguinei (fratello e sorella) è imposto per dinastie regnanti che salvaguardano la loro “sacralità” di sangue proprio evitando l'apparentamento con altri gruppi (antico Egitto, Persia, Perú incaico, ecc.). Quanto all'Egitto, con la XXVI dinastia (sec. VI a. C.) si hanno notizie anche sulla poligamia, che tuttavia trovava applicazione solo alla corte faraonica e nei ceti più ricchi. Dai documenti di questo periodo è comprovata anche l'esistenza del divorzio.

Cenni storici: il matrimonio presso gli assiro-babilonesi

Per gli assiro-babilonesi il matrimonio era essenzialmente un contratto ed era preceduto dagli sponsali, atto in cui avveniva la vendita simbolica della sposa. Il prezzo (tirkhatu) era pagato in danaro, in schiavi, beni mobili e immobili. Da quel momento la sposa diventava moglie dell'uomo e poteva essere punita per infedeltà. In Assiria la donna rimasta vedova doveva sposare un fratello dello sposo. L'entrata della sposa nella casa del marito perfezionava la forma del matrimonio; la dote della sposa era solo amministrata dal marito e in caso di sua morte la moglie ne poteva disporre a sua volontà. All'atto della conclusione del contratto matrimoniale il marito costituiva per la sposa un appannaggio vedovile, di cui la donna acquistava la proprietà e questa si estendeva anche ad altri eventuali doni del marito. In Assiria si aveva anche il matrimonio per usucapione e a questo scopo bastava che la donna coabitasse con il futuro marito nella stessa casa per almeno due anni; per il matrimonio con la propria concubina bastava che il marito ne facesse pubblica dichiarazione davanti a 5 o 6 testimoni. Dopo il parto di un figlio la donna diventava la moglie principale; la donna sterile poteva dare al marito la propria serva; per sterilità o grave malattia della moglie il marito poteva prendere una seconda moglie. Impedimento al matrimonio era la parentela diretta; il matrimonio era proibito anche alle donne pubbliche e a quelle consacrate a un dio. Il ripudio della moglie avveniva per sterilità, adulterio, trascuranza colpevole e leggerezza di condotta; la donna poteva ripudiare il marito per trascuratezza e abbandono del tetto coniugale. Il dominio del marito sulla moglie giungeva fino a punirla con la morte. A Babilonia la donna godeva di maggiore libertà: fungeva da testimonio in tribunale e poteva introdurre cause in nome proprio; era proprietaria del patrimonio familiare e aveva il condominio dei beni acquisiti dopo il matrimonio; morto il marito, essa poteva rimanere nella sua casa ma le era proibita ogni alienazione del patrimonio familiare.

Cenni storici: il matrimonio presso gli antichi Ebrei

Presso gli antichi Ebrei il matrimonio era poligamico e divenne monogamico solo verso l'inizio dell'era volgare. Dal Libro di Tobia (8,24) si ha notizia di un documento scritto che accompagnava l'atto matrimoniale; da questo appare che il contratto di matrimonio avveniva fra i genitori degli sposi, ai quali non era concesso in via di diritto di manifestare la propria volontà. Per ottenere la sposa, il padre dello sposo doveva sborsare una somma in danaro o il suo equivalente in natura al padre della sposa. La dote portata dalla sposa rimaneva di sua proprietà. Condizione indispensabile al matrimonio era lo stato verginale della sposa. Impedimenti al matrimonio erano la parentela e la nazionalità diversa. Per la parentela esisteva l'eccezione della vedova che doveva sposare il fratello del marito morto per perpetuarne il seme. Nei tempi più antichi meno rigorosa era la proibizione di matrimonio con stranieri. Particolare severità era usata nel controllo della vita morale di una sposa per sacerdoti. La donna divorziata e passata a nuove nozze non poteva rinnovare il vincolo matrimoniale con il primo marito. Pene severissime colpivano gli adulteri, specie la donna, che veniva lapidata. Numerosi testi esaltano la fedeltà della donna come qualifica della moglie ideale.

Cenni storici: il matrimonio in Oriente

Norme precise e consuetudini generalmente accolte stavano a fondamento del matrimonio nell'antica Cina: l'esogamia, la monogamia teorica (in realtà accanto alla moglie principale convivevano dignitosamente anche diverse concubine); il divorzio per mutuo consenso o per adulterio della donna; la disapprovazione pubblica alla vedova che passava a nuove nozze. Il matrimonio era combinato dai parenti e presupposto al fidanzamento dei futuri sposi era il contratto stipulato dai loro genitori. La cerimonia centrale era il trasporto della sposa alla casa dello sposo su di una sedia adornata, seguita dal corteo dei parenti. In Giappone, nell'antichità, il matrimonio dipendeva dal capo-famiglia; la monogamia era solo formale, perché in realtà era molto esteso il fenomeno del concubinaggio (abolito solo nel 1882); diffuso anche il divorzio, ottenuto per mutuo consenso o in via giudiziaria. Molto limitata, tuttora, la capacità della moglie al possesso e all'eredità (solo per mancanza di figli o perdita colpevole dell'eredità paterna). La cerimonia è combinata da intermediari e avviene di notte, con lo scambio di nove coppe di vino. In India, in epoca antica, il matrimonio era indissolubile e monogamico (ma solo per le classi più umili). La scelta era lasciata agli sposi e l'uomo pagava il prezzo pattuito alla famiglia della sposa. Nella nuova casa la moglie era la vera padrona. In epoca postvedica il matrimonio divenne invece oggetto di contratto fra i genitori e come tale si è protratto fino ai nostri giorni. La sposa, promessa in età ancor tenera, entra nella casa dello sposo non appena raggiunta la pubertà. Questa forma rigida era talora mitigata dal consenso dei figli e talaltra sostituita da quella per acquisto. Rigida invece rimase (e tuttora attiva) la proibizione del matrimonio tra persone di caste diverse, mentre largamente diffusa era l'esogamia. Indissolubile per principio, il matrimonio indiano conosceva tuttavia alcuni casi di divorzio (principale l'adulterio). Diffusissimo era invece il concubinaggio. Fino alla metà del sec. XIX la vedova era bruciata sul rogo del marito; quando tale usanza decadde, rimase la difficoltà per la vedova di passare a nuove nozze. Ancora oggi la donna indiana ha capacità giuridiche fortemente limitate.

Cenni storici: il matrimonio dall'antichità classica al Medioevo

In Grecia, l'istituto matrimoniale era considerato propriamente un telos, ossia un'iniziazione. È il matrimonio iniziatico quello che prevede l'indissolubilità, in quanto questa non procede da astratti principi etici, ma dal fatto che il rito ha “trasformato” la sposa (o entrambi i coniugi). Quanto al fondamento giuridico del matrimonio nell'antica Grecia, secondo alcuni studiosi sarebbe stata la engyesis, solenne promessa dell'avente potestà sulla donna al futuro marito di questa; secondo altri la engyesis avrebbe preceduto la costituzione del vincolo legittimando la successiva convivenza dell'uomo e della donna; l'elemento costitutivo sarebbe stato rappresentato dalla reale coabitazione. Il vincolo costituito si manteneva finché durava la coabitazione; si scioglieva per morte, per ripudio del marito, per abbandono della casa coniugale, per adulterio della moglie, per sopraggiunto epiclerato (quando cioè la donna maritata, per la morte del padre, passava sotto la tutela del parente più prossimo, questi aveva il diritto di toglierla al marito, se non aveva figli). A Roma, secondo il diritto, il matrimonio era l'unione di un uomo e di una donna, puberi, che esprimevano la reciproca volontà di essere uniti nel rapporto coniugale. Questa volontà si manifestava nel consensus e nell'affectio maritalis. Gli effetti che ne seguivano erano l'honor matrimonii per la donna, cioè la sua partecipazione al rango sociale del marito e la legittimità dei figli nati nel connubium. Nei tempi più antichi il connubium era possibile solo fra persone dello stesso strato sociale (endogamia); in processo di tempo, per cause sociali, politiche e religiose, fu permesso tra patrizi e plebei, poi tra Romani e comunità latine e quindi italiche (esogamia). Gli impedimenti per parentela compaiono fin dall'origine, ma subirono mutazioni nel corso dei secoli; ignota la data d'introduzione del divieto di matrimonio tra affini. Il matrimonio come rapporto aveva inizio con la manifestazione del consenso da parte delle persone che vi erano tenute e continuava a esistere finché lo volevano i coniugi. La società aveva la prova dell'esistenza e del perdurare del vincolo matrimoniale attraverso l'honor e la dignitas con cui l'uomo trattava la donna. Il vincolo si scioglieva quando veniva meno l'affectio e quindi la volontà di uno dei due coniugi. A Roma non esistette mai la poligamia. Quando il cristianesimo divenne religione ufficiale dell'Impero romano venne via via acquistando importanza sempre maggiore la manifestazione iniziale di volontà che poneva in essere il matrimonio quale rapporto e furono posti ostacoli al suo scioglimento. L'istituto matrimoniale presso i popoli germanici venne a configurarsi come contratto “intergentilizio” e aveva come suo oggetto la donna. Questa infatti serviva nella nuova gens ad assicurare discendenti e dipendeva dal capofamiglia, che poteva essere persona diversa dal marito. Erano impediti i matrimoni tra fratelli e sorelle. L'età per il matrimonio era diversa da gente a gente, ma valeva per tutti l'aver raggiunto la pubertà. In Italia, fino al sec. XI, la donna era solo un soggetto passivo e andò acquistando capacità giuridica solo molto lentamente e con molta difficoltà. Necessario al matrimonio era il consenso del padre o di chi esercitava la patria potestas. Dopo il sec. XI prevalse invece il concetto di matrimonio valido solo con il consenso degli sposi.

Sociologia

I sociologi hanno a lungo privilegiato l'analisi del matrimonio come strumento di redistribuzione della ricchezza e occasione di mobilità sociale, per esempio indagando i processi di trasformazione e, insieme, le persistenze nella società industriale della vecchia etica del matrimonio di convenienza. L'influenza dei legami di sangue e delle alleanze familiari attraverso il matrimonio è analizzata da Ch. Wright Mills nel saggio The Power Elite (1956) nel quale è descritto il rilievo centrale che esso ha assunto nella scalata al successo in una società ipercompetitiva come quella statunitense. Ma già J. A. Schumpeter aveva colto la centralità dell'istituto matrimoniale nel processo di stratificazione e nell'ascesa degli individui-famiglie. Le classi superiori sembrano, insomma, tutelarsi attraverso l'endogamia dalla pressione degli strati sociali subalterni, anche in un sistema democratico, privo di caste e formalmente aperto. Interessi, costume e tradizione finiscono così per sottrarre un'istituzione sociale come il matrimonio ai valori acquisitivi della modernità: di fatto permane insomma una forte tendenza all'unione fra soggetti di pari o affine condizione sociale. Da questa evidenza empirica si sono sviluppate interessanti analisi estese alle cause della fragilità (o del declino) del matrimonio nei contesti sociali più dinamici e culturalmente differenziati. Problemi in larga misura riconducibili alla fine dell'etica consuetudinaria e dei legami di convivenza familiare che producevano una cultura dell'accettazione, e che si manifestano nell'obsolescenza di una serie di funzioni-base attribuite alla famiglia dalle società tradizionali. Un filone intellettualmente critico nei confronti del matrimonio come istituzione classica del controllo sociale si è sviluppato nel pensiero radicale e nella cultura del femminismo, producendo analisi centrate sulla nuova identità sociale delle donne, sul doppio ruolo (lavorativo e domestico) che ne caratterizza la condizione, sulle trasformazioni intercorse nelle relazioni di coppia e sul parziale depotenziamento di alcune sanzioni sociali e legali che sostenevano l'istituto del matrimonio tradizionale e la sua preservazione nel tempo.

Bibliografia

M. Miele, Scritti di diritto matrimoniale, Padova, 1964; G. Mantuano, Matrimonio canonico e matrimonio civile, Padova, 1971; H. Jedin, K. Reinhard, Il matrimonio. Una ricerca storica e teologica, Brescia, 1981; L. Chiappetta, Il matrimonio nella nuova legislazione canonica e concordataria, Roma, 1990.

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