Lessico

agg. e sm. [sec. XIX; da tessere].

1) Agg., relativo all'arte del tessere, alla tessitura: artigianato tessile; prodotti tessili; industria tessile. Per estensione, che serve a tessere: fibre tessili; piante tessili, che forniscono materiale alla tessitura. Come sm., con valore neutro, prodotto che si ricava dalla tessitura: fiera del tessile; laboratorio di tessili.

2) Sm. o f., lavoratore dipendente o imprenditore nel settore della tessitura: uno sciopero dei tessili.

Industria tessile: generalità

Le origini dell'industria tessile risalgono agli inizi della civiltà, dall'esigenza di soddisfare il bisogno primario di coprirsi. Da millenni vengono lavorate, con metodi artigianali, fibre di origine animale o vegetale, con larga prevalenza del cotone e della lana. L'industria tessile fu tra le protagoniste della rivoluzione industriale in seguito all'introduzione di macchine capaci d'incrementare rapidamente la produzione. Si verificarono ulteriori mutamenti con l'utilizzazione di nuove materie prime (le fibre chimiche, artificiali e sintetiche) e nuovi processi produttivi. Tutti i Paesi, anche scarsamente industrializzati, dispongono di un settore tessile di rilevanti dimensioni per reddito e manodopera occupata. Si è fatta sempre più forte la concorrenza dei Paesi emergenti, avvantaggiati dai bassi costi e anche da cospicui investimenti da parte di operatori dei Paesi industrializzati; in questi ultimi si registra una diminuzione degli addetti, ma, contrariamente all'orientamento invalso in anni precedenti, si assiste a una ripresa degli investimenti, approfittando dei progressi fatti nel campo dell'automazione dei procedimenti tessili, grazie ai quali, per certi tipi di lavorazione, si possono compensare gli svantaggi degli alti costi di manodopera. Così nei Paesi emergenti la produzione tessile è orientata verso gli articoli greggi, con basso valore aggiunto, mentre in quelli industrializzati si punta sugli articoli di qualità. Per quanto riguarda le fibre chimiche, la loro lavorazione avviene prevalentemente nei Paesi industrializzati. Tra le fibre tessili maggiormente utilizzate nel mondo, dopo il cotone, che ha il primato assoluto, e la lana, si può citare il lino, in decadenza, così come la canapa. Numerose sono le fibre vegetali di origine tropicale; tra di esse prevale la iuta, ma sono largamente utilizzate anche varie specie di agave. La seta mantiene una posizione marginale, ma importante per i prodotti di pregio. Il sec. XX ha visto l'affermazione delle fibre artificiali (ottenute dalla lavorazione di sostanze naturali come il legno, il mais, le caseine) e successivamente di quelle sintetiche (ottenute da sottoprodotti della lavorazione del petrolio e del carbone). Fra le prime rivestono particolare importanza le fibre cellulosiche (rayon, acetati) ottenute dalla pasta di legno, fra le seconde il nylon, il poliestere, le fibre acriliche e le fibre polipropileniche. Negli anni Sessanta del Novecento si verificò una crescita massiccia delle fibre sintetiche, nonché un rapido sviluppo di tecniche di formazione di tessuti alternative alla tessitura tradizionale, come la tessitura a maglia (tra le prime a utilizzare i benefici dell'elettronica) e la produzione di non tessuti. Lo sviluppo delle fibre chimiche in generale e di quelle sintetiche in particolare, nonché l'aumento della popolazione mondiale hanno determinato una netta evoluzione dei consumi di fibre. Connessa con la produzione dei tessuti è l'industria dell'abbigliamento, rimasta a lungo su livelli artigianali; uno dei primi tentativi di produrre abiti a macchina fu compiuto da un sarto francese nel 1830, ma l'iniziativa fallì. Un passo decisivo fu compiuto nel 1851 da Isaac Merrit Singer, che negli Stati Uniti lanciò la sua macchina per cucire, utilizzabile a domicilio e in fabbrica. Altre nuove macchine (come la tagliatrice dell'inglese J. Barran di Leeds) avviarono il settore verso una produzione di massa. L'industria e il suo mercato presentano alcuni aspetti particolari: la domanda di abbigliamento sale col crescere del livello di vita, dapprima rapidamente e poi più lentamente; è soggetta a fluttuazioni stagionali e, in vari settori, all'influsso e al variare della moda. L'industria dell'abbigliamento è diffusa soprattutto nell'Europa occidentale, in quella orientale, in Russia e negli Stati Uniti; questi ultimi rappresentano il più grande mercato di consumo. Il commercio è molto attivo ed è caratterizzato da alcuni grandi importatori (USA, Germania), da Paesi esportatori e importatori (Italia, Francia, Regno Unito, Giappone), mentre una serie di esportatori si è affermata in tempi recenti: Hong Kong, Taiwan, Corea, Filippine che si aggiungono a India, Pakistan, Messico. Nel settore delle confezioni si vanno affermando come esportatori di abiti in serie alcuni Paesi dell'Europa orientale. In Italia l'industria tessile riveste una notevole importanza sia per numero di addetti sia per volume e valore della produzione, quest'ultima di qualità medio-alta, con alto contenuto di moda, quali la maglieria, gli stampati, il vestiario, i tessuti di fibre nobili. Ciò ha comportato anche una diversa organizzazione produttiva, non più basata su grandi complessi integrati, ma sul decentramento in piccole unità molto flessibili nell'adattamento alle mutevoli situazioni di mercato.

Industria tessile: le applicazioni tecnologiche

L'industria mondiale per la produzione dei tessuti per abbigliamento e per altri impieghi ha innovato, nell'ultimo decennio del Novecento, non solo i processi di fabbricazione, ma soprattutto i materiali, che vanno da nuove combinazioni di prodotti naturali a quelli sintetici sperimentali che possono cambiare colore, autolavarsi e perfino autorammendarsi. Tra i nuovi materiali messi a punto, alcuni sono del tutto originali come il “cashgora” (lana mista cachemire-angora), il Lyocell (fibra di cellulosa rigenerata, ottenuta con procedimento di dissoluzione e di filatura in solvente organico, senza formazione di derivati), il Poli-immide (fibra costituita di macromolecole lineari sintetiche aventi nella catena motivi immidici ricorrenti). Si tratta di tessuti che hanno ottenuto un riconoscimento ufficiale con una direttiva europea e che quindi compaiono nelle etichette sotto queste dizioni. Altri tessuti adottano nella trama materiali come l'alluminio, che permette di trattenere il calore, o frammenti di ceramica, che mantengono la temperatura corporea più bassa di 4-5 °C e respingono i raggi ultravioletti. Con una tessitura di fibre ottiche è stato ricavato un tessuto che protegge dal fuoco fino a 1500 °C e che pesa 400 g/m² contro i 600 dei filati con resine ignifughe. Per quanto attiene alla produzione di abiti, un metodo che si avvale di saldature laser in sostituzione delle tradizionali cuciture è stato messo a punto in Gran Bretagna, dall'Istituto nazionale per le saldature (TWI): la tecnologia consiste nell'impiego di un laser a basso potenziale, che riscalda una sostanza incolore e sensibile all'infrarosso con cui viene bagnata la stoffa. Diversamente da alcune tecniche di saldatura sperimentate precedentemente, che funzionano fondendo la stoffa in corrispondenza dei bordi da unire (con la conseguenza di ottenere giunture molto rigide e fragili), il sistema fonde invece soltanto la sostanza con cui viene bagnata la stoffa. Questa caratteristica permette di utilizzarlo anche per saldare stoffe impermeabili, con cuciture a prova di infiltrazione per abiti da lavoro e contenitori a prova d'acqua. Gli abiti saldati permettono giunzioni curve, molto più flessibili e morbide rispetto a quelle realizzate con la tradizionali macchine per cucire e possono essere prodotti in tempi molto più brevi e a costi inferiori. Secondo alcuni specialisti, l'industria tessile è inoltre destinata a essere profondamente modificata dall'informatica; integrati nei tessuti degli abiti, sono stati già sperimentati circuiti elettronici flessibili che nulla tolgono alla morbidezza e alla confortevolezza, ma che permetteranno di disporre di un computer “indossabile”. Quest'ultimo permetterà le funzioni tipiche, come la ricezione della posta elettronica, ma potrà essere impiegato anche come dispensatore di farmaci o come controllore dello stato di salute della persona che lo indossa. Il vestito diventerà come una seconda pelle, non solo telematica, ma anche sanitaria. Oltre a possedere microscopici ed efficientissimi termoregolatori, i tessuti potranno dosare la somministrazione di vitamine e medicine da assorbire attraverso la cute. Secondo gli ingegneri specializzati nella chimica dei nuovi materiali, i computer potranno entrare nelle fibre tessili grazie alla nanotecnologia. Ogni abito potrà essere dotato di sensori in grado di percepire una lacerazione del tessuto e di far attivare in quel punto una riparazione automatica. Ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (USA) hanno messo a punto schede flessibili da integrare nei tessuti: i vestiti potranno illuminarsi, cambiare colore o adornarsi di scritte e disegni a piacimento. Tra le prime applicazioni delle nuove tecnologie, un tessuto messo a punto in Finlandia per tute da neve, ideato per affrontare condizioni climatiche avverse: esso integra dispositivi elettronici in grado di regolare la temperatura a seconda delle condizioni esterne e delle esigenze di chi la indossa, nonché di lanciare un allarme in caso di emergenza. La tuta è dotata di sensori di controllo delle funzioni vitali, a cominciare dal ritmo cardiaco: in caso di malore o incidente una microtrasmittente lancia una richiesta automatica di soccorso che contiene anche le coordinate esatte della persona, continuamente aggiornate tramite un sistema GPS di localizzazione via satellite. Alla termoregolazione provvedono minuscole capsule che cambiano stato: se fa troppo caldo lo assorbono liquefacendosi, mentre si solidificano in caso di freddo eccessivo. In caso di una diminuzione di temperatura molto rapida interviene una rete di fibre che si riscalda elettricamente con una batteria di 50 g dotata di oltre 24 ore di autonomia. Sono inoltre allo studio tessuti in grado di autopulirsi con ultrasuoni o con microciglia mobili per espellere lo sporco. Altre ricerche mirano a rendere le fibre sempre profumate o insettifughe, tramite microcapsule con particolari sostanze. Se trattato con composti del cloro (le N-alogeno ammine), il tessuto diventa sterile e batteri come l'Escherichia coli, la salmonella, lo Staphylococcus aureus e alcuni virus a contatto con esso muoiono in circa due minuti, contro i 30 di altre metodiche. Il cotone trattato al cloro ha impieghi in campo sanitario per indumenti di medici, infermieri e pazienti e per la biancheria degli ospedali, spesso veicolo di infezioni. I tessuti così trattati si mantengono sterili fino a cinque anni e le loro proprietà possono essere ripristinate con un lavaggio a base di cloro. Nel settore dei tessuti ad alta tecnologia già entrati in produzione industriale vi sono quelli che, pur non avendone l'aspetto, hanno proprietà antiproiettile e che, a parità di peso, assicurano una resistenza cinque volte superiore a quella dell'acciaio. Uno di questi tessuti, a base di poliparafenilene, è all'apparenza del tutto simile al cachemire; brevettato in Italia, può essere prodotto in qualsiasi gamma di colore, è anallergico e resistente alle fonti termiche e può essere impiegato sia come tessuto per abiti sia per le fodere degli stessi.

Industria tessile: i tessuti ecologici

Una innovativa classe di tessuti è quella definita “ecologica”, che deve rispettare determinati requisiti per avere la relativa certificazione prevista dalla Commissione Europea (decreto del 4 maggio 2001). Filati, tessuti per abbigliamento e arredamento devono avere almeno il 90% del loro peso costituito da fibre tessili naturali, artificiali, sintetiche, o anche in vetro, metallo e altri materiali inorganici. Le norme comunitarie prevedono concentrazioni massime ammissibili per taluni composti residui, in particolare acrilonitrile, antimonio, pigmenti al piombo, rame, zinco e zolfo e – per il cotone, il lino e la canapa – di numerosi insetticidi. Anche per le fibre animali sono definite le concentrazioni massime di composti indesiderati. Per detergenti e candeggianti impiegati nei processi di produzione è definita una serie di soglie massime di residui accettabili nel prodotto finito. La variazione dimensionale dei tessuti non deve superare il 6% (lunghezza e larghezza) per gli articoli di maglieria, l'8% per la biancheria per la casa in spugna e il 4% per gli altri tessuti, salvo per i prodotti marcati “lavare solo a secco”. Vengono anche definiti i criteri minimi di resistenza delle tinte allo sfregamento e alla luce, con valori specifici per tessuti d'arredamento. Alle industrie che richiedono il marchio è anche chiesto, su base volontaria, di indicare informazioni dettagliate sul consumo di acqua ed energia nei siti di produzione.

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