utopìa

sf. [dal greco ou, non+tópos, luogo]. Il ricorso all'utopia come rappresentazione immaginaria del perfetto ordine politico deriva dal nome assegnato da Tommaso Moro all'isola fantastica cui è dedicata la sua opera maggiore (Utopia, 1516). L'utopismo rinascimentale – di cui T. Moro è uno degli esponenti, insieme a T. Campanella o F. Bacone – costituisce perciò un ideale propriamente riformistico: attraverso il vagheggiamento di ordinamenti ideali si intende perseguire un concreto programma di razionalizzazione della vita sociale. L'utopia rinascimentale si differenzia così dalle suggestioni utopiche presenti nel pensiero filosofico classico (per esempio nel Platone della Repubblica o delle Leggi), più sensibili alla costruzione di una modellistica teorica, a sfondo epistemologico. E si differenzia anche dalla nozione riduttiva e sostanzialmente dispregiativa con cui il concetto di utopia è assunto nella dialettica politica contemporanea, come sinonimo di aspirazione astratta, empiricamente inverificabile e distruttivamente estremistica. Lo stesso K. Marx, d'altronde, distingueva nettamente il suo socialismoscientifico dal socialismo utopistico dei critici sociali suoi contemporanei. Comune a T. Moro, a J. J. Rousseau del Contratto sociale – e più tardi a un sociologo del Novecento come K. Mannheim – è invece l'idea di utopia come concetto limite, utile a orientare un sistema di valori e di azione, ma assolutamente privo di referenti storici concreti. In questo senso, Mannheim può parlare di funzione sociale dell'utopia, tema presente anche in pensatori come E. Bloch e H. Marcuse. Questo approccio (utopismo positivo) è speculare e opposto a quello adottato tre secoli prima da T. Hobbes, che nel Leviatano (1651) immagina una indimostrabile condizione originaria di selvaggia competizione fra gli uomini per ricavarne la necessità di ordinamenti istituzionali autoritari e centralistici. Fra alcuni politologi e scrittori contemporanei – da A. Huxley (Il mondo nuovo) a G. Orwell (1984; La fattoria degli animali) a tutto un filone della fantascienza apocalittica – si è invece venuta affermando una corrente di utopismo pessimistico ribattezzato distopico e centrato sull'analisi del collasso della civilizzazione (da crescita incontrollata, da degrado ambientale irreversibile, da tendenze alla disintegrazione dell'ordine politico). Nel secolo XXI il pensiero utopistico si esprime anche nella teorizzazione che accompagna i movimenti collettivi: le lotte di liberazione che hanno luogo soprattutto nel Terzo mondo, i movimenti pacifisti o ecologisti occidentali, le organizzazioni in difesa dei diritti dell'uomo, dei rifugiati e degli immigrati.

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