Lessico

sf. [sec. XIV; latino voluntastis, da volo, ind. pr. di velle, volere].

1) La capacità di volere; qualità dell'animo umano che, presupponendo la coscienza ma non identificandovisi, persegue con fermezza i fini che il soggetto si è proposti e accompagna la ragione nella decisione e nella scelta dei mezzi e dei metodi atti al loro raggiungimento. Così intesa, la volontà si esplica particolarmente là dove limitazioni o costrizioni esterne si oppongono al perseguimento dei fini, o, ancora di più, là dove si frappongono ostacoli interni e debolezze che vanno vinte. La capacità di opporre una ferma volontà a questi ostacoli è precisamente quello che viene definito il carattere: volontà inflessibile, ferrea; volontà debole, incerta; esser privo di volontà; volontà divina.

2) Ogni atto in cui tale facoltà si esprime: rispettare, forzare la volontà di qualcuno; agiremo secondo la tua volontà; è riuscito a imporre la sua volontà; di mia, tua. volontà, volontariamente, secondo una libera scelta; a volontà, a piacere, quanto si vuole. Concr., ciò che si vuole: accettare la volontà di Dio; dettare le ultime volontà, le disposizioni testamentarie.

3) Disposizione a fare qualche cosa, voglia, desiderio (ma con idea di consapevolezza): volontà di studiare, di lavorare; non ho alcuna volontà di scherzare; buona volontà, v. buono (aggettivo). Ant., passione, concupiscenza.

Diritto

La volontà entra come componente essenziale dell'atto giuridico: per essa infatti il soggetto esplica in piena autonomia i suoi diritti, naturalmente commisurati alla loro capacità ed estensione.

Psicologia

Nella storia della psicologia il termine è stato utilizzato per designare concetti abbastanza differenti e in questo secolo è caduto dal punto di vista scientifico in disuso, proprio per la difficoltà di darne una definizione univoca. Nel suo uso più largo, esso designa la facoltà di controllare i propri impulsi e di indirizzare il proprio comportamento secondo mete prefissate razionalmente. In generale, comunque, in ogni definizione di volontà è presente l'aspetto di controllo cosciente del comportamento e spesso quello di “sforzo” e di “aspirazione”.

Scienze politiche

Nel Contratto sociale, J.-J. Rousseau usò l'espressione volontà generale per indicare la volontà collettiva promanante dalla comunità unitasi con il patto sociale. A essa deve essere subordinata la volontà del singolo e anche la somma delle singole volontà, dato che nell'aderire al patto il singolo ha rinunciato alla sua libertà individuale per riceverne un'altra, superiore, dalla società.

Filosofia: generalità

I filosofi, nelle loro analisi morali, hanno sempre incontrato il problema di definire e di comprendere questa funzione primaria della coscienza e di evidenziarne la natura. Ma poiché la volontà non si identifica direttamente con la coscienza, e meno che mai con l'intelletto o con la ragione, si sono avute diverse risposte, che hanno ora svalutato ora esaltato l'uno o l'altro termine. Nel pensiero greco, soprattutto, la volontà appare in second'ordine rispetto all'intelletto e l'etica, da Socrate ad Aristotele, è sempre di natura razionale, un intellettualismo etico che riduce la volontà a un momento inessenziale. Il primato greco del sapere e del conoscere tende a risolvere la volontà nella sapienza, cui automaticamente seguono il raggiungimento dei fini e il bene morale. Nel pensiero cristiano, accanto all'aristotelismo tomista che riprende e rielabora queste tesi, si fa però strada, a iniziare da S. Agostino, un diverso concetto di volontà, ispirato a un diverso ideale di Dio e dell'uomo: il Dio padre e creatore è primariamente amore e volontà, tutta la ragione umana non può uguagliare l'atto di volontà con cui l'anima aderisce a lui. Soprattutto la scuola francescana, da Bonaventura da Bagnoregio a Giovanni Duns Scoto, afferma, in Dio come nell'uomo, il primato della volontà sull'intelletto, intendendo così preservare la libertà umana dai pericoli del determinismo razionalistico presenti soprattutto nell'aristotelismo arabo. Nella filosofia seguente, l'idea di una volontà che segue o si identifica con la ragione si ripresentò nel sistema di Spinoza, che dissolse la volontà nell'ordine necessario del mondo, in Kant con la sua etica formale e, in forma ben diversa, con l'idealismo assoluto, che in Hegel dissolse il “dover essere” nell'equazione totale tra ragione ed essere, escludendo la stessa etica dalla filosofia. D'altra parte, il primato della volontà, nel pensiero contemporaneo, assunse forme estreme in chiaro e stridente contrasto con la soluzione idealista; mentre ancora, nella tradizione agostiniana, tutte le dottrine spiritualiste dell'Ottocento e del Novecento, attente al problema della libertà, vedevano nella volontà la forma dell'autorealizzazione del soggetto e quindi della manifestazione di tale libertà. L'opposizione alle concezioni idealistiche trovò i suoi rappresentanti soprattutto in Schopenhauer e in Nietzsche. Per il primo la volontà di vita è l'essenza della realtà in tutte le sue forme ed è quindi un vero e proprio concetto metafisico; per Nietzsche la volontà è essenzialmente una volontà di potenza, cardine di tutta la realtà e personificata dal superuomo con il rovesciamento dei valori morali. Tra i pensatori spiritualisti che maggiormente diedero rilievo nelle loro opere al problema della volontà vanno ricordati soprattutto quelli della scuola francese, dal Maine de Biran al Ravaisson e al Renouvier, che scorgono tutti in un atto di volontà la fonte originaria e prima tanto della coscienza quanto della conoscenza. A questa concezione si può ancora ricollegare l'idea della volontà creatrice, nelle differenti elaborazioni che essa ricevette nel pensiero di Bergson e di Blondel. Per il Fouillée la volontà di coscienza significa l'onnipresenza nel mondo del volere, che in noi diviene cosciente e si esprime in idee-forza, tendenze della coscienza-volontà all'autorealizzazione; volontà di credere è per W. James la volontà di accettare credenze non dimostrabili, ma utili all'azione.

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