Fernanda Wittgens, l'Allodola dell'arte italiana

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Vulcanica e geniale, Fernanda Wittgens, fu la prima donna a capo di un museo prestigioso, la Pinacoteca di Brera, nel pieno della seconda guerra mondiale. Oggi, il libro L'Allodola di Giovanna Ginex e Rosangela Percoco celebra quella donna che non solo mise in salvo i capolavori a lei affidati, ma aiutò anche molti ebrei a fuggire.

Fernanda Wittgens era conosciuta come "l'allodola", un soprannome che rendeva omaggio alla sua grandezza discreta, visibile solo quando questo uccello spicca il volo. Pur compiendo imprese titaniche, lei ha sempre evitato la ribalta delle cronache, preferendo lavorare al servizio dell'arte della bellezza e della libertà. Nel libro L'allodola (Salani), la storica dell'arte Giovanna Ginex e la scrittrice Rosangela Percoco cercano di ricostruire la sua vita in un romanzo. 

Chi era Fernanda Wittgens

Nata a Milano nel 1903, Fernanda Wittgens cresce in una famiglia di origine austro-ungherese molto unita. Vive con i suoi sei fratelli. È molto legata al piccolo Pietro che proteggerà per tutta la vita. Papà Adolfo Wittgens di domenica li porta tutti e sette a visitare musei e a prendere confidenza con le più belle opere d'arte, coltivando in loro l'amore per il bello. Il padre muore nel 1910, quando Fernanda aveva solo sette anni. 

«Era il 1910, era estate e io avevo solo sette anni, ma gli somigliavo già così tanto, nell’aspetto quanto nelle inclinazioni, che quel legame fra noi non si è mai più spezzato. [...] Ogni volta che ho sentito di valere qualcosa è stato come un tributo a lui, come un restituirgli quelle domeniche mattina quando, mano nella mano, ci incamminavamo da casa, in via della Spiga, verso Brera.».

Dentro la Pinacoteca di Brera

Fernanda muove i primi passi come insegnante di storia dell'arte presso il Liceo Parini. Ma fiorisce davvero quando il 30 gennaio 1928 riceve la lettera di Ettore Modigliani, allora direttore della Pinacoteca di Brera, che le dice di poterla assumere come un'operaia avventizia. «In quel momento a vincere erano la soddisfazione di essere stata scelta insieme alla sensazione di essere privilegiata, ma non mi ci volle molto tempo per capire che Brera aveva bisogno di qualcuno che lavorasse duramente, senza mai risparmiarsi, e per dare quindi a quel privilegio i giusti connotati», si legge nel romanzo, dove sono pubblicate anche le immagini del contratto firmato da Fernanda.

Ma la sua fedeltà all'attività museale e la sua dedizione all'arte le permettono prima di diventare ispettrice (nel 1933) e poi  assistente del direttore Ettore Modigliani. In questa posizione il suo lavoro cambia in modo determinante la crescita del museo. È lui a soprannominarla Allodola. «Somiglia all’arte, - scrivono le autrici del romanzo - sublime in quanto giunge appena sotto la soglia più elevata. Possente nei voli, ma capace di muoversi agilmente a terra».

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La prima direttrice

Nel 1938 l'Italia fa entrare in vigore le leggi razziali. Ettore Modigliani, essendo ebreo, viene revocato da ogni incarico, mandato al confino e perseguitato. Fernanda Wittgens prende il suo posto, continuando l'opera del suo mentore e diventando la prima donna a ricoprire un ruolo così importante nella Pinacoteca. Nel 1940 per Ulrico Hoepli Editore Milano esce Mentore, opera del perseguitato Modigliani firmata, come prestanome, da Fernanda Wittgens, che nel frattempo aveva iniziato un'attività saggistica "solista". Nello stesso anno Fernanda vince il concorso indetto dalla Pinacoteca e diventa direttrice: è la prima donna a ricoprire questa carica in una galleria o museo importante.

«All’orgoglio che non intendo negare, me lo meritavo vivaddio, si univa la consapevolezza di avere aperto una strada. Non che mi sentissi la pioniera di tutto il genere femminile, intendiamoci, ma una donna che aveva dimostrato di poter assumere un ruolo direttivo in un tempo e in un luogo in cui quel ruolo era inderogabilmente maschile, questo sì. E non si trattava certo di una promozione piovuta dal cielo, avevo dovuto conquistarmelo a suon di studi e di lavoro quel posto e, come fin troppe volte ho visto succedere alle donne, i compiti legati a quel ruolo in fondo io li svolgevo da diverso tempo, semplicemente senza alcun riconoscimento».

La guerra e il coraggio dell'Allodola

Nel 1940 Fernanda partecipa al trasloco delle opere della Pinacoteca di Brera nel sotterraneo blindato del Palazzo delle Colonne, in via Verdi, sede della Cassa di risparmio delle Province Lombarde. Quindici casse contenenti parte del patrimonio artistico del museo milanese lasciano le sale il 24 luglio 1940. Secondo il ministero dell'Educazione Nazionale, gli ispettori e i responsabili del museo dovevano ispezionare personalmente le opere, periodicamente. Il che significava fare pericolosi viaggi fuori regione. «Con le opere sotto la nostra responsabilità, noi funzionari delle belle arti abbiamo fatto la guerra da civili».

Nel 1942 Milano viene bombardata, si impegna anima e corpo a salvare le opere che le sono affidate e, con esse, la vita di tanti ebrei. Viene arrestata per antifascismo e condannata a quattro anni di carcere. Ma questa "battuta d'arresto" non ne placa il coraggio. Per lei, che sente di essere nel giusto, è «una tappa di perfezionamento», «una specie di… esame di laurea». La famiglia riesce a produrre un finto certificato di tisi e la fa scarcerare nel febbraio del 1945.

Nuove energie per l'arte

Di nuovo libera, viene nominata pro-direttore e commissario per l'Accademia delle Belle Arti di Brera. La Pinacoteca era stata distrutta in 26 sale su 34 dai bombardamenti. Ma grazie alla sua lungimiranza, le opere sono salve. Concentra dunque i suoi sforzi per convincere le autorità ad assumersi l'impegno per una totale ricostruzione. Il suo obiettivo è renderla un "museo vivente", che possa attirare su di sé gli sguardi di tutto il mondo. Nel 1946 torna anche Ettore Modigliani e lei lo affianca. Muore l'anno dopo e Fernanda diventa anche Sovrintendente.

La ricostruzione di Brera viene portata a termine nel giugno 1950. Il giorno 9, durante l'inaugurazione davanti alle massime autorità dello Stato, tiene un discorso breve e coinvolto sul miracolo compiuto in quattro anni dal cantiere braidense. Nello stesso anno progetta un piano regolatore per la "grande Brera", che prevede un collegamento tra la Pinacoteca, l'Accademia di Belle Arti, la Biblioteca, l'Osservatorio Astronomico e l'Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. 

Sempre nello stesso anno, senza abbandonare Brera, viene nominata soprintendente alle Gallerie della Lombardia; in questo ruolo si occupa della ricostruzione del Museo teatrale alla Scala e del Poldi Pezzoli, oltre che del restauro del Cenacolo di Leonardo. Nel 1952 riesce a portare a Milano la Pietà Rondanini di Michelangelo Buonarroti, messa all'asta. Nel 1955 riceve una medaglia d'oro da parte dell'Unione delle comunità israelitiche, per l'opera di soccorso nei confronti degli ebrei perseguitati.

Libertà, coraggio e passione

Invitata a candidarsi da Ferruccio Parri, Fernanda dice: «Ora io non mi sento, come artista, di entrare nel binario dei partiti perché la mia libertà è condizione assoluta per la vita stessa del mio essere». Fernanda Wittgens muore prematuramente l'11 luglio 1957. Migliaia di persone si riuniscono per renderle omaggio. 

«Da bambina, non conoscevo ancora la parola per definirle e quelle persone già mi piacevano. Da ragazza ho capito che la parola era ‘disinteressate’, e che le persone erano quelle a cui avrei voluto assomigliare di più.» Fernanda Wittgens era una donna vulcanica, ostinata, controcorrente, una vera combattente, un simbolo che non appartiene al passato ma al futuro. Oggi un albero a cippo, piantato nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo a Milano e il Bar Fernanda della Pinacoteca di Brera le rendono omaggio.

 

Stefania Leo