Manzoni 150: 10 espressioni manzoniane nella lingua italiana

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Alessandro Manzoni ha scritto i Promessi sposi e altre celebri opere conscio del contributo decisivo all'unificazione linguistica in Italia. Avrebbe mai immaginato che alcune espressioni sarebbero rimaste tali ed efficaci anche ai giorni nostri?

A chi spetta il riconoscimento per aver unito in una lingua le parlate dei tanti "abitanti d'Italia"? Non vi è dubbio che in Dante Alighieri il dono non consiste soltanto in un codice condiviso, ma in una funzione della lingua prima inespressa. Ad Alessandro Manzoni, invece, riconosciamo il merito di aver portato l'italiano contemporaneo con l'edizione della Quarantana dei Promessi Sposi (ovvero la seconda, quella definitiva). 

Questa versione segue la celebre decisione dell'autore di "risciacquare i panni nell'Arno", essendo Manzoni insoddisfatto dal punto di vista linguistico della prima edizione de I Promessi sposi, la cosiddetta Ventisettana. Frutto del suo trasferimento a Firenze con la propria famiglia per studiare la lingua locale, Manzoni ha potuto così correggere il suo romanzo in fiorentino,

L'importanza che lo scrittore ebbe per la nostra lingua è dimostrata dal fatto che a 150 anni dalla morte di Manzoni (22 maggio 1873) ancora oggi sono d'uso comune alcune espressioni che troviamo nell'opera omnia dello scrittore milanese.

10 espressioni tratte dai Promessi sposi di Manzoni oggi in uso nella lingua italiane

Non soltanto modi di dire, addirittura alcuni personaggi de I Promessi sposi sono diventati antonomasie, come perpetua, carneade e azzeccagarbugli.

Perpetua

La perpetua è l'assistente di Don Abbondio, che compare per la prima volta nel secondo capitolo del romanzo: “Non si lasci scappar parola... altrimenti... ehm!” aveva detto un di que’ bravi; e, al sentirsi rimbombar quell’ehm! nella mente, don Abbondio, non che pensare a trasgredire una tal legge, si pentiva anche dell’aver ciarlato con Perpetua. Fuggire? Dove? E poi! Quant’impicci, e quanti conti da rendere! A ogni partito che rifiutava, il pover’uomo si rivoltava nel letto”.

Carneade

Manzoni risvegliò, inoltre, la fama su Carneade di Cirene, filosofo scettico dell'antica Grecia, che è rispolverato da Manzoni e sottovalutato ad antonomasia per indicare una persona mai sentita nominare. Ancora una volta la colpa è del curato don Abbondio colto, nell'incipit dell'VIII capitolo, mentre legge un panegirico in onore di San Carlo Borromeo, all'interno del quale è menzionato il filosofo greco. È a questo punto che esclama tra sé e sé la lapidaria battuta, destinata a diventare celebre e a condizionare molte biografie di personaggi considerati, appunto, dei carneadi per antonomasia: “Carneade! Chi era costui?”.

Azzeccagarbugli

Azzeccagarbugli è il soprannome dell'avvocato di Lecco che Agnese suggerisce a Renzo come problem-solver, è il Mr Wolf di Pulp fiction. E nonostante l'inciso della madre di Lucia “(badate bene di non chiamarlo così!)”, oggi prima dell'anglismo problem solver, qualunque “impacciato” in un guaio vorrebbe un azzeccagarbugli a sbrogliarlo.

Grilli per la testa

“Grilli per la testa”: Don Abbondio è protagonista di un'altra espressione manzoniana entrata nella lingua italiana. Nel secondo capitolo de I promessi sposi in una concitata conversazione tra don Abbondio e Renzo, quando quest'ultimo chiede al suo curato come abbia fatto don Rodrigo a intralciare le nozze con Lucia, il parroco esclama: “Come, eh? Vorrei che la fosse toccata a voi, come è toccata a me, che non c’entro per nulla; che certamente non vi sarebber rimasti tanti grilli in capo”, espressione qui usata con amara ironia e rimasta fino a oggi proverbiale.

Mettere gli occhi addosso

Mettere gli occhi addosso a qualcuno nell'accezione figurata di desiderare ardentemente qualcuno viene da quella reazione appassionata che Renzo ebbe alla prima vista di Lucia, che tanto lo sconvolse da fargli trovare l'occupazione stabile di massaio per poi presentarsi con sicumera da Don Abbondio a farsi coniugare con la sposa promessa. Tuttavia, in epoca contemporanea, caratterizzata dall'opposizione a molestie e violenze sulla donna, l'espressione assume una valenza più negativa, che potremmo far appartenere all'atteggiamento dell'Innominato perché oggi l'espressione originaria manzoniana si scontra con una società maschilista cui contestare l’oggettificazione della donna come una concezione da superare, da combattere addirittura, da estirpare dalla nostra cultura.

Acqua cheta

Renzo ha messo gli occhi addosso a un'acqua cheta – come, nel capitolo 38, Don Abbondio definisce la promessa sposa “quest'acqua cheta, questa santerella, questa madonnina infilzata, che si sarebbe creduto far peccato a guardarsene”.

Come il diavolo con l'acqua santa

A colloquio con la Monaca di Monza, Agnese utilizza un'altra similitudine che farà fatica a scomparire dopo che Manzoni la scrive nel IX capitolo del suo romanzo, riferendosi al rapporto tra Lucia e Don Rodrigo: “questa mia figlia aveva in odio quel cavaliere, come il diavolo l’acqua santa: voglio dire, il diavolo era lui”.

Un altro paio di maniche

Un altro paio di maniche compare nel XXVII capitolo, quando Renzo, scappato dai tumulti milanesi comincia a mandare delle lettere a Lucia e ad Agnese, motivo per cui l’autore ci tiene a spiegare che, nonostante le sue origini, il protagonista riusciva a leggere (pur con qualche difficoltà) senza però riuscire a scrivere. Infatti precisa poi: “Lo stampato lo sapeva leggere, mettendoci il suo tempo; lo scritto è un altro par di maniche”.

Il sugo della storia

Il sugo della storia che traggono i due Promessi Sposi nelle ultime righe del romanzo “che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia”, ossia il senso che dà sapore e significato all'intera vicenda.

Ai posteri l'ardua sentenza

Fu vera gloria” per i modi di dire manzoniani? “Ai posteri l'ardua sentenza”, che ardua non pare, come invece Manzoni insinua per la gloria di Napoleone Bonaparte nell'ode Cinque maggio. L'opera dello scrittore milanese ebbe, infatti, un influsso evidente sulla lingua italiana, letteraria e non letteraria.

Laura Cusmà Piccione