Spaghetti Western, il volto italiano del Far West

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Le cose da sapere su un sottogenere cinematrografico che ha riscosso grandissimo successo tra gli Anni ‘60 e ‘70, per poi sparire ed essere rivalutato in epoca recente.

Spaghetti Western. Tutti ne hanno sentito parlare, tantissimi li hanno visti. E amati. C’è poi chi, seppur non avendoli mai guardati, ne conosce le atmosfere grazie alle inconfondibili colonne sonore. Il 23 dicembre 1966 usciva nelle sale Il buono il brutto e il cattivo, film che completò la trilogia del dollaro di Sergio Leone e pietra miliare del cinema internazionale: tutto quello che c’è da sapere su questo sottogenere che ha riscosso un enorme successo di pubblico a cavallo tra gli Anni ‘60 e ‘70, per poi sparire ed essere rivalutato in epoca recente.

Spaghetti Western: le origini

L’espressione “spaghetti western” è nata negli Stati Uniti. All’inizio aveva una connotazione negativa e stava a indicare dei film girati in italiano, con budget ridotti, secondo gli stilemi dei western hollywoodiani, come quelli targati Ford-Wayne. Nonostante un'iniziale diffidenza, il genere si andò sempre più imponendo presso il grande pubblico, raccogliendo in alcuni casi anche il plauso della critica. Il primo western italiano fu Una signora dell'Ovest, girato nel 1942 e da altri film-parodia. Con “spaghetti western” si intendono però quelli girati a partire dal 1964, anno in cui uscì Per un pugno di dollari di Sergio Leone, adattamento in chiave “Far West” del giapponese La sfida del samurai, girato da Akira Korusawa nel 1961.

Le differenze con il western americano

Gli spaghetti western hanno evidenti caratteristiche diverse rispetto agli “omologhi” americani. Sono più orientati all’azione e hanno dialoghi molto scarni. Forse perché i protagonisti non devono spiegare il perché delle loro azioni: a muoverli è sempre l’interesse, in particolare di denaro. Messo da parte l’idealismo, difatti, nei western all'italiana il protagonista non è quasi mai un eroe, bensì un antieroe. Protagonisti cinici, senza scrupoli, dotati di una sottile e a volte macabra ironia, che non si fanno certo problemi a sparare, anzi: gli spaghetti western sono più crudi dei film americani. Manca però il tema ricorrente oltreoceano della guerra ai pellerossa: più probabile che i banditi siano rumorosi e spietati messicani. A caratterizzare i western all’italiana è l’uso della musica, vero e proprio ingrediente della narrazione. E poi, anche se sul grande schermo questo non è esplicito, la differente location dei set: i “nostri” western venivano girati in Andalusia oppure nel centro-sud d’Italia.

Gli esponenti e gli stili

Il prolifico filone del western all’italiana è durato circa un quindicennio. Se il regista più noto di questo sottogenere cinematografico è senza dubbio Sergio Leone, sono anche altri i cineasti che hanno riscosso successo in Italia e all’estero. Ognuno con il suo stile.

Sergio Leone

Sono cinque gli spaghetti western girati da Leone. I primi tre compongono la celeberrima trilogia del dollaro, che ha come protagonista l’enigmatica figura dell'uomo senza nome, interpretata da Clint Eastwood, sempre con gli stessi abiti e l’inconfondibile mimica: Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più (1965) e Il buono, il brutto, il cattivo (1966). A legare il tutto, le indimenticabili colonne sonore firmate Ennio Morricone. A questa trilogia, Leone aggiunse C’era una volta il West (1968), a sua volta parte della cosiddetta trilogia del tempo insieme a Giù la testa (1971), altro western all’italiana (ambientato in Messico durante la rivoluzione) e C’era una volta in America.

Duccio Tessari e Sergio Corbucci

Co-sceneggiatore di Per un pugno di dollari, Duccio Tesari diede il via alla popolare serie di Ringo con il film Una pistola per Ringo (1965), in cui lanciò Giuliano Gemma. Suoi anche Il ritorno di Ringo (non è un vero seguito, fu girato addirittura prima) e Vivi o preferibilmente morti, con il suo attore feticcio, a cui si aggiunge Viva la muerte… tua! con Franco Nero, interprete che invece legò indissolubilmente il suo nome a quello di Sergio Corbucci grazie a Django (1966). Un western lugubre, crudo, violento, non a caso amatissimo da Quentin Tarantino. Prima aveva girato Massacro al Grande Canyon, dopo avrebbe diretto l’altra pietra miliare Il grande silenzio. Di Corbucci anche il cult Navajo Joe, uno dei pochissimi western dalla parte degli indiani.

Sergio Sollima e Damiano Damiani

Se i western di Tessari e Corbucci sono più crudi e violenti, quelli girati da Sergio Sollima e Damiano Damiani possono essere ritenuti “politici”, ambientati tra rivoluzionari alla ricerca di libertà e giustizia. Tra il 1966 e il 1968, prima di passare ai pirati e in particolare a Sandokan, Sollima firmò La resa dei conti, Faccia a faccia e Corri uomo corri, tre western con il cubano Tomas Milian nel ruolo del messicano “Cuchillo”. Damiani si cimentò la prima volta nel western con Quién sabe? (1966), ambientato durante la rivoluzione messicana e con un cast pazzesco: Gian Maria Volonté, Lou Castel, Klaus Kinski. Tornò poi nel 1975 con Un genio, due compari, un pollo.

Giuseppe Colizzi e E.B. Clucher (Enzo Barboni)

Un genio, due compari, un pollo, con Terence Hill, porta al western più leggero tipico di E.B. Clucher, pseudonimo di Enzo Barboni: ovvero, il regista di Lo chiamavano Trinità… (1970) e del seguito ...continuavano a chiamarlo Trinità (1971). Clucher “subentrò” a Giuseppe Colizzi, che aveva già diretto la coppia Bud Spencer-Terence Hill in una triilogia western (più seria) formata da Dio perdona... io no! (1967), I quattro dell'Ave Maria (1968) e La collina degli stivali (1969).

Altre icone

Oltre ai già citati Morricone, Nero, Gemma e Eastwood, che dopo aver preso parte alla trilogia del dollaro raggiunse lo status di star, tra le altre icone degli spaghetti western non si può non citare Lee Van Cleff l' indimenticabile cacciatore di taglie "Sentenza" dei film di Sergio Leone, nonché protagonista di molti altri western famosi. Merita poi di essere menzionato anche Gianni Garko, che ha vestito i panni dello spettrale pistolero "Sartana", al centro di numerosi lungometraggi di genere western, diretti in quattro casi da Giuliano Carnimeo, alias Antony Ascot.

Spaghetti Western: 5 film da non perdere

Ecco cinque film spaghetti western da vedere assolutamente.

Per un pugno di dollari

Per un pugno di dollari reinventò il genere western, ormai in declino, ridefinendone gli archetipi. Anche grazie al fortunato casting di Clint Eastwood, che costava meno di James Coburn. Ma tra le pellicole di Leone, quella da vedere assolutamente è Il buono, il brutto, il cattivo. E non solo per la celebrrima scena del triello: è la quintessenza degli spaghetti western.

Una pistola per Ringo

Il film che ha lanciato “faccia d’angelo” Gemma come grande star del western nostrano, ma anche il primo di una serie di pellicole con al centro un personaggio di nome Ringo (nessuna davvero un sequel): un’icona del far west all’italiana, nata agli albori del filone.

Quién sabe?

Un sicario americano (Castel), che si unisce sotto mentite spoglie alla banda del rivoluzionario messicano Chuncho (Volontè) del fratello El Santo (Kinski), con l’obiettivo di uccidere il generale Elias. Il western politico per eccellenza firmato Damiani, uscito cinque anni prima di Giù la testa di Leone.

Django

Adorato da Quentin Tarantino, interpretato da Nero, diretto da Corbucci e musicato da Luis Bacalov, Django inizia con il protagonista che cammina trascinandosi dietro una cassa da morto. E prosegue con scene estremamente violente, che mai si erano viste nel nostro cinema.

Lo chiamavano Trinità…

Dagli spaghetti ai fagioli-western, dalle sparatorie alle scazzottate, vero e proprio marchio di fabbrica della coppia formata da Bud Spencer e Terence Hill: già presenti in tre western più seri, nel 1970 diventarono protagonisti di questo film cult capace di unire alla perfezione Far West e commedia.

Matteo Innocenti