Unità d'Italia e unificazione linguistica: nascita e diffusione dell'italiano

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Anno importante nella storia della nostra nazione, il 1861 è l'ideale linea di demarcazione tra una penisola composta da forze contrapposte a un'Italia unita sotto un'unica bandiera, simbolo della nuova unità nazionale.

Un avvenimento, quello dell'unità, che è necessario analizzare non solo dal punto di vista amministrativo e legislativo, ma anche e soprattutto dal punto di vista linguistico: in effetti sono proprio la lingua e la reciproca comprensione a dar vita a quella condivisione comunicativa che deve essere necessariamente alla base di uno stato.

Immediatamente dopo l'unificazione dell'Italia, la situazione dal punto di vista linguistico non era affatto positiva: l'italiano era in effetti appannaggio di una ristretta élite, composta esclusivamente da colti e letterati. La restate popolazione italiana, analfabeta, continuava ad utilizzare le diverse forme dialettali proprie delle differenti zone della penisola.

Un problema sentito, quello della divisione linguistica, tanto che lo stesso Alessandro Manzoni, già prima dell'unificazione e precisamente nel 1806, si riferì all'italiano come 'lingua morta', poiché non condivisa e, soprattutto, non parlata dalla moltitudine. Un problema che il letterato toccò con mano durante la stesura dei Promessi Sposi, quando si accorse dell'inadeguatezza della sua lingua, non codificata in modo univoco e, soprattutto, intrisa di francesismi, lombardismi e toscano colto. Fu però all'indomani dell'unità che Manzoni, vicino alle problematiche del suo tempo, propose la diffusione del solo fiorentino colto, al fine di ottenere la tanto agognata unità linguistica. 

Per farci un'idea dello stato in cui verteva la situazione linguistica italiana, basti pensare che secondo De Mauro, illustre linguista italiano, all'indomani dell'unificazione la percentuale degli italofoni si aggirava intorno al  solo 2,5% su 25milioni di abitanti, benché fosse più estesa la competenza passiva dell'italiano, ovvero la capacità di comprendere la lingua senza però saperla parlare.

Come fare, quindi, per innescare un processo capace di far abbandonare i vari dialetti a favore dell'Italiano? Il primo passo intrapreso fu quello di rendere più capillare l'istruzione e l'alfabetizzazione lungo la penisola. Un processo che fu certamente utile, ma che non eliminò completamente il problema ma lo disgregò in due diversi fenomeni, ovvero la formazione dei diversi italiani regionali (esistenti ancora oggi nelle diverse zone dell'Italia) e l'italianizzazione del dialetto. 

Altra spinta alla nascita dell'italiano come lingua condivisa furono sicuramente le migrazioni interne dalle campagne alla città e da nord a sud.

Ma a fare la differenza furono senz'altro la stampa e i mezzi di comunicazione di massa, allora rappresentati dalla radio e successivamente dalla TV. Ognuno di questi mezzi contribuì a creare non solo un'apparenza condivisa all'unità nazionale, ma anche la possibilità di apprendere la lingua italiana e diventarne 'portavoci'.

Prima la radio nel 1926 e poi la televisione nel 1953, riuscirono letteralmente a irrompere negli nelle case degli italiani, accelerando e portando a compimento il processo di italianizzazione cominciato all'indomani dell'unificazione nazionale.

Un discorso che non vuole affatto sminuire l'importanza dei dialetti, oggi riconosciuti come vero e proprio tesoro culturale e linguistico, memoria indissolubile del passato della nostra penisola.