Crisi climatica: gli effetti (negativi) sulle allergie
La crisi climatica non è solo una questione ambientale o economica, ma rappresenta sempre più un problema di salute pubblica: le allergie rappresentano uno dei campanelli d’allarme più chiari del legame tra uomo e ambiente.
Il cambiamento climatico degli ultimi decenni sta modificando non solo gli ecosistemi, ma anche il modo in cui il nostro organismo interagisce con l’ambiente. Tra le conseguenze sanitarie più concrete c’è l’aumento delle allergie respiratorie: temperature più alte, inverni miti e concentrazioni crescenti di anidride carbonica stanno trasformando il ciclo vitale delle piante e la composizione dell’aria, amplificando e prolungando l’esposizione agli allergeni e aggravando i sintomi nei soggetti sensibili. Ciò che un tempo era un fastidio stagionale, oggi rischia di diventare una condizione cronica e molto diffusa.
Crisi climatica e allergie: stagioni polliniche più lunghe e pollini più “aggressivi”
Uno degli effetti più immediati della crisi climatica è l’allungamento della stagione dei pollini: il riscaldamento globale ha anticipato la fioritura di molte piante allergeniche, come le graminacee, l’ambrosia e le betulle, prolungandone anche la durata. Basti pensare che secondo diversi studi, le stagioni polliniche iniziano fino a 20 giorni prima e possono durare anche un mese in più rispetto al passato, con inoltre una sovrapposizione tra i periodi in cui le diverse specie di piante liberano i propri pollini.
A ciò si aggiunge una ulteriore produzione di pollini da parte delle piante, stimolata dall’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera, legato soprattutto all’impiego di combustibili fossili. Il nefasto risultato è una maggiore esposizione per chi soffre di rinite allergica, asma e congiuntivite stagionale.
Ma purtroppo non è solo una questione di quantità, in quanto i cambiamenti climatici stanno anche alterando la qualità dei pollini: l’inquinamento atmosferico - in particolare dovuto a ozono troposferico e polveri sottili - interagisce con i pollini ricoprendoli completamente di sostanze nocive e rendendoli più irritanti per le mucose respiratorie; inoltre alcuni studi hanno dimostrato che i granuli di polvere e altre particelle contenenti proteine vengono talmente modificati da ossido di azoto e ozono da provocare allergie con maggiore facilità.
Ambrosia e piante invasive: nuovi allergeni portati dal clima
Con l’innalzamento delle temperature e l’aumento dell’anidride carbonica, molte specie vegetali stanno modificando il proprio areale di diffusione. È il caso dell’ambrosia, una pianta altamente infestante della famiglia delle Asteraceae, originaria del Nord America e ormai largamente diffusa in Europa e in Italia, soprattutto nella Pianura Padana.
Questa specie produce un polline tra i più allergenici in assoluto, capace di provocare rinite, congiuntivite, asma e, in alcuni casi, dermatiti. I cambiamenti climatici contribuiscono non solo a favorirne la crescita e la colonizzazione di nuovi territori, ma anche ad aumentarne la produzione di polline.
Al contempo, l’inquinamento atmosferico – in particolare ozono e particolato – altera la struttura dei granuli pollinici, rendendoli più fragili e facilitando il rilascio di allergeni. Le concentrazioni di polline di ambrosia sono quadruplicate negli ultimi 30 anni, e attualmente la stagione pollinica è più lunga di circa 20 giorni, ma non è tutto: secondo stime europee, oltre 33 milioni di persone sono oggi sensibili al polline di ambrosia, ed il numero è destinato a raddoppiare nei prossimi 40 anni.
Muffe e spore: l’insidia che cresce con clima e smog
Anche le muffe, spesso sottovalutate, stanno diventando una minaccia sempre più rilevante per la salute respiratoria, in particolare nei bambini. Il cambiamento climatico, con l’aumento delle precipitazioni e l’umidità crescente, favorisce la proliferazione di spore fungine come Alternaria e Cladosporium, note per il loro potere di scatenare crisi allergiche e attacchi d’asma.
A differenza dei pollini, le muffe rilasciano spore per tutto l’anno e possono colonizzare ambienti sia esterni che interni, come case umide, filtri dell’aria condizionata, moquette, legno e alimenti.
Anche in questo caso, non è solo il clima a peggiorare la situazione: l’inquinamento atmosferico gioca un ruolo cruciale, irritando le vie respiratorie e rendendo l’organismo più vulnerabile all’azione delle spore, con la conseguenza di aggravare patologie preesistenti come rinite allergica, asma e dermatite atopica. Secondo gli ultimi dati, oggi l’8,4% dei bambini italiani tra i 6 e i 7 anni soffre di asma legata proprio all’inquinamento atmosferico.
In regioni come Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna, questa correlazione è ancora più marcata. In un mondo dove il riscaldamento globale rende più frequenti le alluvioni e aumenta la permanenza dell’umidità nelle abitazioni, le muffe diventano insomma un rischio silenzioso ma costante.
Crisi climatica e allergie: più asma, più casi e più severi
Il legame tra clima, inquinamento e allergie si riflette anche sull’incidenza dell’asma bronchiale: aumenti significativi dei casi di asma allergico sono stati registrati in molte aree urbane dove inquinamento e cambiamenti climatici agiscono in sinergia.
Inoltre le giornate di caldo estremo, i picchi di ozono e le cosiddette “tempeste di pollini” possono provocare crisi respiratorie acute anche in soggetti non diagnosticati come asmatici, mentre bambini, anziani e persone già affette da patologie respiratorie croniche sono le categorie più esposte. Nei contesti urbani – dove l’effetto “isola di calore” si somma all’inquinamento – i sintomi allergici possono manifestarsi in modo più precoce e persistente. Ma è a rischio anche chi vive in zone rurali, dove l’aumento delle coltivazioni allergeniche e dei cambiamenti nei cicli agricoli può rappresentare un ulteriore causa di problemi.
Paola Greco
Immagine di apertura: Freepik