Supervulcani: cosa sono e dove sono i più pericolosi

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I supervulcani rappresentano una delle più grandi minacce naturali per la vita sul nostro pianeta, anche se gli eventi più catastrofici sono molto rari nella storia umana. In questo articolo spieghiamo cosa sono e dove sono i più pericolosi. Con una chicca finale tutta italiana.

I supervulcani rappresentano uno tra i fenomeni naturali più potenti e meno conosciuti della Terra: questi giganti della geologia, caratterizzati da una camera magmatica enorme, sono capaci di eruzioni catastrofiche che possono influenzare il clima globale e mettere a rischio intere popolazioni. Vediamo insieme cosa sono esattamente i supervulcani, quanti sono e dove si trovano nel mondo, quali sono i più pericolosi, con un approfondimento speciale sui supervulcani presenti in Italia, in particolare quello dei Campi Flegrei, uno dei più attivi e studiati in Europa e nel mondo.

Cosa sono i supervulcani

A differenza dei vulcani tradizionali, i supervulcani non si presentano come imponenti coni montuosi: si tratta infatti di ampie caldere, vaste depressioni nel terreno formatesi a seguito del collasso della crosta terrestre sopra la camera magmatica dopo un'eruzione colossale. Queste caldere, che possono superare i 50 chilometri di diametro, somigliano a gigantesche pentole a pressione sotterranee e al loro interno si sviluppano spesso crateri secondari e fenomeni di vulcanismo residuo, come geyser, fumarole, soffioni e sorgenti termali.

Sebbene alcune definizioni associno i supervulcani a eruzioni con un Indice di Esplosività Vulcanica pari a 8 (la massima intensità della scala), non tutte le strutture oggi classificate come supervulcani hanno necessariamente registrato eventi di tale portata: spesso, la classificazione si basa sulla dimensione della caldera e sull’estensione del sistema magmatico, che indicano un potenziale eruttivo estremamente elevato, capace addirittura di modificare i connotati a interi territori, nonché il clima globale per anni.

L’Indice di Esplosività Vulcanica (VEI)

L’Indice di Esplosività Vulcanica (VEI) è una scala logaritmica utilizzata per classificare le eruzioni vulcaniche in base al volume di materiale espulso e all’altezza raggiunta dalla colonna eruttiva. La scala va da 0 a oltre 8, e ogni livello rappresenta un’eruzione dieci volte più potente rispetto al precedente.

Per avere un ordine di idee, basti pensare che l’eruzione più potente dalla fine dell’ultima Era Glaciale (circa 15mila anni fa) è quella del vulcano Tambora, in Indonesia, avvenuta nel 1815, con un VEI pari a 7.

Tra le eruzioni più recenti, quella del Pinatubo (Filippine, 1991) ha raggiunto il livello VEI 6 ed è stata la più violenta del XX secolo: il vulcano emise circa 10 km³ di materiale, gran parte del quale si disperse nell’atmosfera, provocando un raffreddamento globale di circa mezzo grado per uno o due anni. Il resto ricoprì vaste aree del sud-est asiatico, causando la formazione di una caldera, la distruzione di intere foreste e l’estinzione di molte specie animali locali. I depositi vulcanici riempirono valli intere, causando negli anni successivi numerose colate di fango (lahar). Il numero di vittime umane fu relativamente contenuto – meno di 1.000 morti – grazie a un’efficace evacuazione e a una buona comunicazione del rischio, tuttavia i danni materiali furono enormi: villaggi cancellati, infrastrutture distrutte, perdite massive di animali da allevamento e intere zone agricole rese improduttive.

Immaginiamo dunque quali danni possano provocare le eruzioni associate solo ad alcuni supervulcani, con un VEI pari a 8, ovvero la massima intensità prevista da questa scala. Ciò implica l’emissione di oltre 1.000 km³ di materiale piroclastico, un volume sufficiente a trasformare il paesaggio circostante, sconvolgere interi ecosistemi e modificare il clima globale per anni o decenni. Fortunatamente si tratta di eventi rarissimi: negli ultimi 36 milioni di anni pare se ne possano contare solo 42, di cui l’ultima risalirebbe a circa 26.500 anni fa (del supervulcano Taupō, in Nuova Zelanda) avvenuta in un’epoca in cui l’Homo sapiens conviveva ancora con l’Uomo di Neanderthal.

I supervulcani più conosciuti al mondo

Ma quanti supervulcani ci sono nel mondo? Si stima che sulla Terra esistano una dozzina di grandi caldere riconducibili a quelli che comunemente vengono chiamati supervulcani: si tratta di un numero generalmente condiviso, anche se va detto che la definizione di “supervulcano” non è ufficiale né rigorosamente codificata, in quanto coniato dagli autori di un documentario e non dalla comunità scientifica.

Alcuni dei supervulcani più imponenti della Terra giacciono sotto paesaggi oggi apparentemente tranquilli: laghi cristallini, vallate verdi o parchi naturali pieni di turisti. Eppure, milioni di anni fa, da queste stesse caldere si sono sprigionate le eruzioni più catastrofiche della storia del pianeta. Ecco quali sono i sorvegliati speciali più noti e i più potenzialmente pericolosi del pianeta.

Caldera di Yellowstone – Stati Uniti

Nel cuore del Parco Nazionale di Yellowstone, questo supervulcano è famoso per la sua camera magmatica attiva e per le spettacolari manifestazioni geotermiche nel parco (geyser, fumarole, sorgenti calde). L’ultima eruzione VEI 8 risale a circa 631.000 anni fa, ma l’area è ancora attiva e attentamente monitorata per via del suo enorme potenziale distruttivo. Una nuova eruzione avrebbe conseguenze planetarie.

Valles Caldera – Stati Uniti

Incastonata nel Nuovo Messico, si formò circa 1,25 milioni di anni fa in seguito a un'eruzione VEI 8. L’ampia depressione conosciuta come Valle Grande è oggi una riserva naturale, ma la sua storia esplosiva la rende un punto di riferimento per lo studio dei supervulcani nordamericani.

Caldera della Long Valley – Stati Uniti

Nella California orientale, questo antico supervulcano esplose circa 760.000 anni fa, liberando colate piroclastiche che trasformarono il paesaggio e formarono la grande caldera attuale. Anche se oggi è relativamente quieto, l’attività sismica e il sollevamento del suolo mantengono alta l’attenzione degli scienziati.

La Garita Caldera – Stati Uniti

Nel Colorado meridionale si trova uno dei più antichi e vasti supervulcani conosciuti. L’eruzione di circa 27 milioni di anni fa produsse il Fish Canyon Tuff, una colossale colata di cenere e pomici. Anche se oggi è inattiva, La Garita resta un modello geologico per comprendere le dinamiche delle eruzioni catastrofiche del passato.

Caldera di Toba – Indonesia

Situata sull’isola di Sumatra, è famosa per una delle eruzioni più devastanti mai registrate sulla Terra. Circa 74.000 anni fa, l’esplosione generò un'eruzione VEI 8 che proiettò nell’atmosfera enormi quantità di cenere e gas, innescando una sorta di inverno vulcanico globale. Si stima che questo evento abbia contribuito a un marcato raffreddamento climatico e abbia influenzato anche la storia evolutiva umana.

Lago Taupō – Nuova Zelanda

Oggi appare come un lago tranquillo, ma circa 26.500 anni fa fu teatro dell'eruzione di Oruanui, una delle più potenti mai avvenute. L'evento VEI 8 rimodellò profondamente l’Isola del Nord e produsse una caldera oggi sommersa. Il sistema vulcanico resta attivo e studiato con attenzione.

Campi Flegrei: il supervulcano dormiente ai piedi di Napoli

In Italia non si trovano supervulcani con eruzioni VEI 8, ma esistono aree vulcaniche molto pericolose e vaste che possono comunque causare eventi distruttivi. Tra queste, i Campi Flegrei sono senza dubbio il centro vulcanico più importante e studiato.

I Campi Flegrei rappresentano un’estesa area vulcanica caratterizzata da una grande caldera con un diametro di circa 15-18 chilometri, i cui confini naturali si estendono dalla collina di Posillipo, passando per la collina dei Camaldoli, fino al monte di Cuma e al monte di Procida, includendo anche una porzione sommersa nel golfo di Pozzuoli.

Questa caldera si è formata a seguito di due imponenti collassi, avvenuti circa 39.000 e 15.000 anni fa, legati a eruzioni esplosive di grande energia che hanno svuotato rapidamente la camera magmatica, provocando il cedimento del terreno sovrastante e dando origine a una profonda depressione.

L’eruzione più violenta, conosciuta come Ignimbrite Campana, è quella risalente a circa 39.000 anni fa ed è stata classificata con un indice VEI 7. Questo evento ebbe un impatto significativo sull’ambiente: l’enorme quantità di particelle e gas emessi nell’atmosfera, in particolare di zolfo, causò un raffreddamento climatico nell’emisfero settentrionale di almeno 3-4 gradi, modificando temporaneamente le condizioni climatiche su larga scala. Proprio per queste caratteristiche, anche se non si sono mai registrate eruzioni con indice VEI 8, la caldera viene considerata un supervulcano e sottoposta a un monitoraggio costante per prevenire eventuali rischi.

All’interno della caldera si trovano almeno ventiquattro crateri e piccoli edifici vulcanici, alcuni dei quali ancora attivi con manifestazioni gassose e idrotermali, come la celebre Solfatara e la zona di Pisciarelli. Il territorio conserva importanti depositi vulcanici, come il Tufo Grigio Campano e il Tufo Giallo, che raccontano la lunga storia delle intense eruzioni che hanno modellato questa area.

L’ultima eruzione documentata, dopo un lungo periodo di circa 3.400 anni di silenzio eruttivo, risale al 1538, quando si formò il Monte Nuovo, alto circa 130 metri, e da allora, l’area è entrata in uno stato di quiescenza, ma non di inattività: i Campi Flegrei sono infatti caratterizzati da fenomeni di vulcanismo secondario e dal bradisismo, ovvero il lento sollevamento e abbassamento del suolo, segnali di un’attività sotterranea complessa e in continua evoluzione.

Dal punto di vista geografico, l’area dei Campi Flegrei interessa numerosi comuni dell’area metropolitana di Napoli, tra cui Bacoli, Monte di Procida, Pozzuoli e Quarto, estendendosi in parte anche nei territori di Giugliano in Campania, Marano di Napoli e in vari quartieri occidentali della città di Napoli. Si tratta di una zona tra le più densamente abitate d’Italia, con centinaia di migliaia di persone che vivono direttamente sopra e attorno a questo complesso vulcanico, aumentando sensibilmente i rischi in caso di ripresa dell’attività eruttiva.

Accanto alla terraferma, fanno parte dell’area anche le isole Flegree di Ischia, Procida e Vivara, che pur avendo una storia vulcanica in parte distinta, completano il quadro geologico dell’intera zona. Numerosi crateri sprofondati sul fondo del golfo di Pozzuoli testimoniano inoltre l’intensa attività vulcanica che ha plasmato questo paesaggio nel corso dei millenni.

Insomma, i Campi Flegrei rappresentano uno dei supervulcani più complessi e pericolosi d’Europa: un gigante dormiente la cui evoluzione è costantemente monitorata dalla comunità scientifica per garantire il massimo livello di sicurezza alle popolazioni che vi abitano.

Il supervulcano dimenticato delle Alpi in Valsesia

Accanto ai celebri Campi Flegrei, l’Italia può contare su un altro supervulcano nel proprio passato geologico: quello della Valsesia, tra le valli alpine del Piemonte. A differenza del sistema flegreo, ancora attivo e oggetto di attento monitoraggio, il supervulcano valsesiano è un relitto fossile risalente a circa 286 milioni di anni fa.

Fu protagonista di un’eruzione di dimensioni titaniche che espulse circa 500 chilometri cubi di materiale, generando una caldera di almeno 13 chilometri di diametro. Terminata la sua attività dopo una decina di milioni di anni, la struttura vulcanica sprofondò su se stessa e rimase sepolta nelle profondità della crosta terrestre. Fu poi la collisione tra le placche africana ed eurasiatica, responsabile dell’orogenesi alpina, a far riemergere questi antichi resti. Lo scontro sollevò e ruotò porzioni di crosta terrestre, portando alla luce l’intero sistema di alimentazione profondo del supervulcano, normalmente nascosto a oltre 30 chilometri nel sottosuolo. Una scoperta senza precedenti per geologi e vulcanologi, resa possibile dagli studi dei geologi Silvano Sinigoi e James Quick, che nel 2009 hanno pubblicato lo studio sulla genesi e l’evoluzione di questo antico supervulcano.

Oggi, questo supervulcano è un relitto, un fossile geologico, di cui quel che resta è il cuore del Sesia Val Grande Geopark, riconosciuto dall’UNESCO nel 2013. Esteso tra la Valsesia, la Valsessera, la Val d’Ossola e l’alto Verbano, il geoparco rappresenta un laboratorio geologico a cielo aperto, dove si possono osservare in superficie le strutture profonde di un antico vulcano esploso. Valorizzato da iniziative locali e studi internazionali, questo patrimonio unico è diventato un simbolo di ricerca scientifica, tutela ambientale e sviluppo sostenibile.

Paola Greco

Foto di apertura: Foto di Simon Hurry su Unsplash