L'intervento pubblico e le sue ragioni

L'intervento pubblico può essere analizzato sia nelle sue finalità sia nei processi decisionali e nelle modalità in cui si esplica, sia nei suoi effetti economici. Per una classificazione canonica delle finalità dell'intervento pubblico è possibile rifarsi a quella proposta da R. Musgrave, il principale sistematore della teoria della scienza delle finanze Secondo tale impostazione l'intervento pubblico persegue obiettivi allocativi, redistributivi e di stabilizzazione.

Gli obiettivi allocativi

Per quanto riguarda gli obiettivi allocativi, cioè quelli relativi alle scelte di produzione e di consumo degli operatori, le principali giustificazioni dell'intervento pubblico sono riconducibili alle cosiddette teorie del fallimento del mercato. Si dice che il mercato “fallisce” in tutti quei casi in cui, in assenza di appositi correttivi, un'economia decentrata non è in grado di realizzare una situazione Pareto-efficiente, vale a dire una situazione in cui il benessere di un individuo non può aumentare senza determinare la diminuzione del benessere di altri individui.

Alla base di tale esito negativo può riscontrarsi l'impossibilità di funzionamento del processo di coordinamento del mercato, il suo cattivo funzionamento in presenza di asimmetrie informative, o i suoi effetti deludenti in situazioni non concorrenziali. Per es., svariati tipi di servizi previdenziali e assistenziali non possono essere offerti dalle imprese che operano sui mercati assicurativi, sia per gli elevati costi di transazione associati alla loro fornitura privata, sia per la mancata copertura di rischi sociali quali l'inflazione e la disoccupazione, sia per gli inconvenienti in termini di selezione avversa e azzardo morale che si riscontrano quando il mercato non è in grado di discriminare tra soggetti che sopportano rischi diversi.

Gli obiettivi “meritori”

Il decisore pubblico può anche perseguire obiettivi diversi da quelli che caratterizzano la struttura delle preferenze individuali, in una valutazione paternalistica degli interessi del cittadino tendente a negare che quest'ultimo sia sempre il miglior giudice del proprio interesse. In tali termini si spiega l'intervento pubblico che obbliga al consumo di determinati servizi sanitari o scolastici, o che promuove la tutela del patrimonio artistico o di determinate tradizioni culturali (beni di merito). Sotto il profilo allocativo, in base al principio della neutralità della tassazione, le distorsioni delle scelte degli agenti deve essere evitata, tranne nei casi in cui esse sono volutamente finalizzate a correggere determinate inefficienze, come avviene nel caso della tassazione ambientale.

Gli obiettivi di redistribuzione

Per quanto riguarda gli obiettivi redistributivi perseguiti dal settore pubblico essi sono riconducibili sia all'intento di distribuire equamente l'onere delle imposte, sia di attenuare la diseguaglianza nella distribuzione personale del reddito e in particolare di proteggere i ceti più deboli, ponendo in atto misure di contrasto alla povertà.

Non va ignorato, a questo riguardo, che una funzione redistributiva dell'attività finanziaria è sempre implicitamente presente negli interventi finalizzati a obiettivi allocativi o di stabilizzazione.

La valutazione congiunta degli effetti allocativi e redistributivi del prelievo deve poi scontare l'attribuzione di opportuni pesi ai due obiettivi che si trovano inevitabilmente in conflitto tra loro (tassazione ottimale).

La funzione di stabilizzazione del reddito

La funzione di stabilizzazione dell'intervento pubblico sono state sviluppate dalla moderna macroeconomia. In particolare, la teoria keynesiana ha messo in risalto il ruolo del bilancio pubblico nel controllare il ciclo economico, che a sua volta si riflette nell'andamento dei conti pubblici, tramite l'influenza esercitata direttamente e indirettamente su varie voci di entrata e di spesa pubblica.

I “fallimenti” dello Stato

Nonostante le varie argomentazioni che possono giustificare l'opportunità dell'intervento pubblico, numerosi autori ritengono che il riscontro di fallimenti del mercato non sia di per sé una condizione sufficiente per consigliare l'interferenza nelle decisioni decentrate. Infatti, le istituzioni attraverso cui vengono prese le decisioni collettive possono essere causa di inefficienze e distorsioni altrettanto gravi, tali da meritarsi la definizione di fallimenti del non-mercato. Tra questi ultimi vengono ravvisati sia quelli insiti negli strumenti di decisione collettiva nelle democrazie rappresentative (le votazioni), sia nelle concrete applicazioni delle scelte collettive dovute al funzionamento dell'apparato burocratico. Vi è infine una critica ai diversi meccanismi di decisione collettiva che prescinde dalle inefficienze o dalle manipolazioni che la loro adozione può ingenerare e sposta la discussione sul piano della loro compatibilità con alcuni fondamentali principi di libertà individuale. Per prevenire o ridimensionare l'entità dei fallimenti del non-mercato alcuni studiosi hanno proposto l'adozione di vincoli istituzionali al meccanismo di voto, quali per es. maggioranze qualificate, o regole costituzionali tendenti a porre vincoli stringenti all'espansione della spesa pubblica (costituzionalismo fiscale).

I sostenitori del fallimento del non-mercato non sono riusciti a rovesciare l'impianto teorico dell'economia del benessere, su cui si fondano le giustificazioni dell'intervento pubblico. Hanno avuto tuttavia l'indubbio merito di sottolineare la necessità di regole e sistemi di incentivi nella struttura dell'organizzazione pubblica tali da consentire un corretto funzionamento delle istituzioni democratiche

Sugli aspetti microeconomici dei temi del fallimento del mercato, situazioni non concorrenziali, monopolio naturale, beni pubblici, esternalità, asimmetrie informative si veda il capitolo "L'economia dell'operatore pubblico".