Il postmoderno

In sintesi

Postmoderno

Stagione del pensiero (letterario, architettonico, filosofico, sociologico) degli anni ‘80 del ‘900 caratterizzata da un complesso rapporto con la modernità basato sulla presenza di una molteplicità di forme di sapere e di giochi linguistici, tutti mutuamente alternativi e incommensurabili, ma nessuno dalla portata universalistica. La società moderna è la società totalmente frammentata e basata su valori puramente contingenti, orientati a criteri di mera operatività.

Lyotard

Autore, con La condizione postmoderna (1979), del vero e proprio manifesto del pensiero della postmodernità, Lyotard ha caratterizzato l’età postmoderna in base al venir meno della forza di coesione e di inquadramento dei tre “grandi meta-racconti”, o “meta-narrazioni” (illuminismo, idealismo, storicismo marxista) su cui si era sviluppata l’età immediatamente precedente. Secondo Lyotard la filosofia contemporanea è chiamata ad adattarsi alla diversificazione, alla pluralità e instabilità come aspetti ineliminabili e costitutivi del reale. In tal senso, con Il dissidio (1983), ha sostenuto la necessità di una razionalità non subordinante e gerarchizzante ma adeguata ai differenti e rispettivi campi di applicazione funzionale.

Vattimo

Portavoce in Italia del pensiero del postmoderno, interprete della critica alla metafisica intrapresa da F. Nietzsche e sviluppata da M. Heidegger, Vattimo, pubblicando la raccolta Il pensiero debole (con P.A. Rovatti, 1983), ha configurato la filosofia come “pensiero debole”, chiamandola ad accettare la perdita del suo ruolo fondativo e a declinarsi quale interpretazione. In questa prospettiva, attorno alla quale è nata una vera e propria corrente filosofica, lo stile di pensiero “debole” deve limitarsi a prendere atto della mortalità dell’essere e a ripercorrere le tappe del suo declinare. Con La fine della modernità (1985), Vattimo ha insistito sulla frammentazione e pluralità del reale, invitando ad accettare remissivamente l’effimericità e instabilità del divenire delle cose e dei valori. Ha così delineato la possibilità di un “nichilismo gaio”, consapevole dell’intera finitudine del senso, rimesso senza nostalgia alla perdita di assolutezza, unitarietà e universalità.