La riflessione e la rifrazione della luce

La riflessione e la rifrazione della luce si possono spiegare utilmente supponendo che la luce si propaghi sotto forma di raggi rettilinei (ottica geometrica). Quando un raggio di luce che viaggia in un mezzo materiale trasparente - come, per esempio, l'aria - incontra una superficie di separazione con un altro mezzo trasparente - per esempio, l'acqua - si divide normalmente in due raggi: uno viene riflesso dalla superficie e l'altro entra nel secondo mezzo variando la sua direzione di propagazione, cioè viene rifratto (v. fig. 23.2). Quando la superficie incontrata è perfettamente riflettente, non si ha rifrazione e la luce viene completamente riflessa, seguendo le leggi della riflessione caratteristiche delle onde: l'angolo di incidenza, i, è uguale all'angolo di riflessione, r, e i due angoli giacciono sullo stesso piano, perpendicolare alla superficie riflettente.

La rifrazione è la deviazione che un raggio luminoso subisce nel passare da un mezzo trasparente a un altro, per la differenza della velocità di propagazione nei due mezzi (v. fig. 23.3). Se il primo è meno denso del secondo (per esempio l'aria rispetto all'acqua), il raggio di luce devia avvicinandosi alla perpendicolare alla superficie di separazione, mentre se il primo mezzo è più denso del secondo (l'acqua rispetto all'aria) il raggio devia allontanandosi dalla perpendicolare. Per questo motivo un bastoncino immerso nell'acqua sembra spezzato.

Si definisce indice di rifrazione assoluto di una sostanza il rapporto, n, fra la velocità della luce nel vuoto e la velocità della luce in quella sostanza.

La legge della rifrazione stabilisce che l'angolo di incidenza e l'angolo di rifrazione giacciono sullo stesso piano e sono legati tra loro dalla relazione:

n1 sen i = n2 sen r

dove n1 e n2 sono gli indici di rifrazione assoluti dei due mezzi.

Riflessione su uno specchio piano

Quando una sorgente luminosa (o un corpo illuminato) viene posta di fronte a una superficie riflettente, detta specchio, sembra che in un punto all'interno dello specchio vi sia un'altra sorgente di luce. In realtà, all'interno dello specchio vi è solo un'immagine dell'oggetto, prodotta dalla riflessione della luce emessa dal corpo.

Una superficie riflettente piana è detta specchio piano. Si immagini di osservare una sorgente luminosa puntiforme S di fronte a uno specchio piano (v. fig. 23.4): i raggi luminosi emessi dalla sorgente vengono riflessi dallo specchio, seguendo le leggi della riflessione (l'angolo di incidenza è uguale all'angolo di riflessione). Se si tracciano i prolungamenti dei raggi riflessi al di là dello specchio, essi convergono in un punto, S', simmetrico rispetto a S, che sembra essere la sorgente dei raggi luminosi che colpiscono il nostro occhio. S' viene detta immagine virtuale di S, perché non esiste in realtà in S' una vera e propria sorgente di raggi luminosi (S' è solo il punto dove convergono i prolungamenti dei raggi che originano dall'oggetto reale).

Applicando la legge della riflessione a ogni singolo punto di un oggetto non puntiforme, è possibile costruirne l'immagine virtuale, avente le seguenti caratteristiche:

  • ha le stesse dimensioni dell'oggetto reale;
  • si trova alla stessa distanza dallo specchio dell'oggetto reale;
  • è perfettamente simmetrica rispetto all'oggetto reale.

L'immagine della mano destra restituita da uno specchio piano sarà quella della mano sinistra e viceversa. Analogamente, una parola riflessa in uno specchio piano appare simmetrica, scritta da destra verso sinistra anziché da sinistra verso destra.

Riflessione su specchi sferici

Gli specchi sferici sono superfici riflettenti aventi la forma di calotte sferiche: possono essere concavi o convessi, a seconda che la riflessione avvenga sulla superficie concava (la parte interna della calotta sferica) o sulla superficie convessa (la parte esterna della calotta sferica) dello specchio.

In uno specchio sferico si distinguono:

  • il vertice V della calotta sferica;
  • il centro C della sfera cui virtualmente appartiene la calotta sferica;
  • l'asse CV, detto asse ottico, passante per il centro della calotta sferica;
  • il fuoco F, che è il punto in cui convergono tutti i raggi riflessi dai raggi incidenti parallelamente all'asse ottico; il fuoco si trova a una distanza pari a metà del segmento CV, ovvero al raggio di curvatura della calotta.

La costruzione di un'immagine su uno specchio sferico si basa sulle seguenti regole: i raggi riflessi dai raggi incidenti paralleli all'asse ottico passano tutti per il fuoco e i raggi che passano per il fuoco vengono riflessi parallelamente all'asse ottico.

Nel caso dello specchio concavo l'immagine che si forma può essere reale (ricavata dai raggi riflessi e non dai loro prolungamenti) o virtuale, rimpicciolita o ingrandita, diritta o capovolta, a seconda della posizione dell'oggetto rispetto ai punti caratteristici dello specchio:

  • se l'oggetto si trova fra il centro C e l'infinito, l'immagine sarà reale, capovolta e rimpicciolita;
  • se l'oggetto si trova fra C e F, l'immagine sarà reale, capovolta e ingrandita;
  • se l'oggetto si trova a una distanza dallo specchio minore di F, l'immagine sarà virtuale, diritta e ingrandita.

Se lo specchio concavo è grande, i raggi riflessi dai raggi paralleli all'asse ottico più lontani dall'asse stesso passano per un punto che non coincide con il fuoco, ma gli è solo vicino: di conseguenza l'immagine di una sorgente puntiforme è un disco, anziché un punto. Questo fenomeno è detto aberrazione sferica. Per avere specchi senza aberrazione sferica, per esempio per i grandi telescopi, dove si ha necessità di far convergere la luce delle stelle nel fuoco dello specchio, si costruiscono specchi parabolici, ellittici o iperbolici, che non presentano questo fenomeno. L'immagine su uno specchio convesso, costruita prolungando oltre lo specchio i raggi riflessi, è sempre virtuale, rimpicciolita e diritta.

Nella figura 23.5 sono illustrati i vari casi di riflessione su specchi sferici.

La riflessione totale

Quando, nel passaggio da un mezzo più denso a uno meno denso (per esempio dal vetro all'aria), la luce raggiunge la superficie di separazione con un angolo di incidenza superiore a un valore (caratteristico di ogni sostanza) detto angolo limite, si verifica il fenomeno della riflessione totale, nel quale il raggio viene completamente riflesso e non vi è rifrazione. Nel passare da un mezzo all'altro, la luce si allontana dalla perpendicolare alla superficie di separazione, quindi l'angolo di rifrazione è superiore all'angolo di incidenza: se l'angolo di incidenza è superiore al valore limite, il raggio non esce dal primo mezzo materiale, ma viene riflesso all'interno dello stesso mezzo. Per angoli esattamente pari all'angolo limite, l'angolo di rifrazione sarà di 90°, parallelo alla superficie di separazione. L'angolo limite per il vetro è di circa 42°. Questo permette di utilizzare dei prismi con angoli di 45°-45°-90° per ottenere la riflessione totale della luce anziché utilizzare degli specchi, per esempio nei periscopi. Sulla riflessione totale si basa anche l'impiego delle fibre ottiche, sottili fili di vetro che fungono da guide d'onda per la luce, che vengono usate per la trasmissione a distanza di informazioni codificate sotto forma di segnali luminosi.

Dispersione della luce attraverso un prisma

Facendo passare un fascio di luce bianca (per esempio la luce solare) attraverso un prisma di vetro di forma triangolare, all'uscita del prisma la luce, raccolta su uno schermo, risulta scomposta nei colori fondamentali dello spettro luminoso (v. fig. 23.6). Questo fenomeno, detto dispersione della luce, viene spiegato attraverso la rifrazione. La velocità della luce in un mezzo materiale come il vetro risulta infatti leggermente diversa a seconda della sua lunghezza d'onda. Poiché a differenti lunghezze d'onda la luce presenta diversi colori, e l'indice di rifrazione dipende dalla velocità della luce nel mezzo, all'uscita del prisma il raggio di luce avrà angoli di rifrazione leggermente diversi a seconda del colore: minore è la lunghezza d'onda, maggiore è l'angolo di rifrazione.

Questo fenomeno fu studiato per la prima volta da I. Newton nel 1666. Noto soprattutto per le sue scoperte nel campo della meccanica, ma grande studioso di ottica, Newton dimostrò con questo esperimento che la luce bianca è in realtà formata da tutti i colori, secondo uno spettro che va dal rosso al violetto. A sostegno di questa asserzione, Newton fece passare un raggio di luce colorata, ottenuta dalla scomposizione, in un secondo prisma: in questo caso la luce non subiva ulteriore scomposizione. La scomposizione della luce è un fenomeno reversibile: se il ventaglio di luce colorata viene fatto passare attraverso un secondo prisma, capovolto rispetto al primo, la luce bianca riappare, perché il secondo prisma inverte la situazione stabilitasi con il primo. La scomposizione della luce nei colori dello spettro è all'origine del fenomeno dell'arcobaleno: passando attraverso le goccioline d'acqua presenti nell'atmosfera e attraverso quelle di pioggia, che fungono da minuscoli prismi, la luce del Sole si scompone nei colori dello spettro e forma l'arco colorato nel cielo.

In genere, lo spettro formato dalla luce bianca proveniente dal Sole è uno spettro continuo, nel senso che appare come una striscia continua composta dai vari colori. Anche la luce di una lampadina a incandescenza produce uno spettro continuo. Le sostanze gassose fortemente riscaldate producono invece uno spettro di emissione a righe colorate, separate tra loro, su fondo scuro. Attraverso l'analisi del tipo di spettro prodotto da una certa sostanza, portata per riscaldamento allo stato gassoso, è possibile risalire alla composizione chimica della sostanza: lo spettro di emissione funge da firma per ciascun elemento.