La lirica corale e Pindaro

Pindaro

Considerato il maggior esponente della lirica corale greca, Pindaro fu poco apprezzato nella Grecia classica sia per le sue posizioni conservatrici in politica, morale e religione, sia per lo stile così denso e talvolta oscuro della sua poesia. Conobbe miglior fortuna in età alessandrina, e tra gli scrittori latini, fu suo grande ammiratore Orazio, che ne mutuò temi e spunti, ma che tuttavia non intese mai entrare in competizione con la sua poesia.

Un cantore dell'aristocrazia

Pindaro nacque a Cinocefale presso Tebe (in Beozia) nel 522 o quattro anni più tardi, nel 518 a.C. dalla nobile famiglia degli Egidi e completò ad Atene la sua formazione poetica e musicale, studiando con Laso d'Ermione. Il primo componimento attestato è la Pitica X, scritta nel 498 a.C. per un giovane della casata degli Alevadi di Tessaglia. Successivamente celebrò esponenti dell'aristocrazia ateniese. Nel periodo delle grandi guerre contro l'aggressore persiano, l'orientamento politico di Pindaro fu di neutralità o forse di simpatia per la Persia, in armonia con le tendenze prevalenti nella sua città natale. Poeta itinerante, si trasferì nel 476 in Sicilia alla corte dei tiranni Ierone di Siracusa e Terone di Agrigento, di cui celebrò le vittorie nei giochi panellenici. Rivaleggiò con Simonide e Bacchilide, che talvolta gli venne preferito e a cui rinfacciò di dedicarsi alla poesia per interesse, pur essendo egli stesso legato alle sorti e agli incarichi dei committenti. A Bacchilide si sentiva forse superiore per la dimensione etico-religiosa della propria opera. Tornato in Grecia, si spostò da Egina a Rodi, poi a Corinto; fu in seguito in Macedonia e a Cirene. Morì ad Argo nel 438 a.C., dopo aver raggiunto gli ottant'anni, reclinando il capo, secondo la leggenda, sulle ginocchia del giovane Teosseno di Tenedo, da lui cantato nell'XI Nemea.

Un'opera di grande vastità

Come Simonide, anche Pindaro fu un poeta di professione in rapporto a una committenza internazionale e sperimentò tutti i generi della lirica corale: inni agli dei, peani, ditirambi, parteni, iporchemi, encomi, treni, epinici. Il grande filologo alessandrino Aristofane di Bisanzio curò un'edizione della sua opera in 17 libri: 11 di carmi religiosi e 6 di carmi profani. A questi ultimi appartengono i 4 libri (unici rimasti) degli epinici, cioè dei canti a celebrazione dei vincitori nelle gare sportive. Essi comprendono 14 Olimpiche (per i vincitori dei giochi in onore di Zeus tenuti, ogni quattro anni, a Olimpia); 12 Pitiche (per i giochi in onore di Apollo, quadriennali, a Delfi); 11 Nemee (per i giochi in onore di Zeus, biennali, a Nemea nell'Argolide); 8 Istmiche (per i giochi in onore di Poseidone, biennali, a Corinto). Restano anche circa 350 frammenti di altre raccolte corali, specialmente di peana e ditirambi.

Uno stile alto

I componimenti di Pindaro sono organizzati in linea generale secondo lo schema seguente: l'occasione della vittoria e la celebrazione del vincitore; il racconto di un mito, variamente connesso con la stirpe dell'atleta vincitore o con il suo paese di origine; infine la riflessione etica (gnóme), che inquadra l'evento contingente in una meditazione più vasta intorno al destino dell'uomo.

Conformemente alla sua adesione all'etica aristocratica, Pindaro ritiene che l'areté (ossia il valore) sia innato nell'uomo, retaggio di sangue e di stirpe, non acquisibile con la disciplina o l'esercizio: del valore è espressione l'eroe del mito e, sul piano umano, l'atleta vincitore. Nel significato anche religioso che assume nella Grecia classica l'evento sportivo, la realtà umana si proietta sullo sfondo luminoso del divino, che il poeta intende liberare da ogni possibile contraddizione e contaminazione del male. Il mondo concettuale di Pindaro non si esprime in una tessitura di passaggi logici, ma si rivela in una serie di immagini concentrate e possenti, di impervia sublimità. Esse sono allineate talora senza precisi raccordi, secondo un gusto di trapassi repentini (di qui la qualifica, poi divenuta espressione comune e generica, di voli pindarici).

La lingua di Pindaro è, come in tutta la lirica corale, il dialetto dorico, intessuto di reminiscenze epiche e di forme eoliche.