La lirica eolica: Saffo e Alceo

Saffo

La più antica poetessa della Grecia, è senz'altro una delle voci più alte della lirica arcaica e dell'intera poesia greca.

Una vita aristocratica

Le scarse notizie sulla sua vita si ricavano, oltre che dagli accenni contenuti nelle sue liriche, dalle testimonianze di alcuni autori antichi, dal cosiddetto Marmor Parium (documento epigrafico del sec. III a.C.) e dal lessico Suda (enciclopedia della letteratura classica composta in età bizantina). Nata a Ereso, nell'isola di Lesbo, da famiglia aristocratica, fu coetanea di Alceo (secc. VII-VI a.C.). Si trovò, come lui, coinvolta nelle lotte tra le diverse fazioni politiche del suo paese, e finì per essere esiliata in Sicilia, da dove poi riuscì a far ritorno insieme con gli altri fuorusciti. A differenza di Alceo, tuttavia, la tematica politica non ha alcuna eco nella sua poesia. Ebbe tre fratelli e mostrò particolare sollecitudine e affetto per uno di loro, Carasso, di cui auspicò il ritorno, dopo che un amore infelice per la cortigiana Doriche l'aveva trattenuto a Naucrati, in Egitto. Sposò un uomo assai ricco e ne ebbe una figlia, Cleide, teneramente amata. Della figura di Saffo, già soggetta all'irrisione grottesca dei comici antichi, si impadronì la leggenda: la si disse piccola, di carnagione scura, di scarsa avvenenza; si fantasticò di un suo amore infelice per il barcaiolo Faone, che l'avrebbe portata a suicidarsi gettandosi nel mare dalla rupe di Leucade. È dubbio che abbia conosciuto e amato Alceo, come farebbero pensare un verso famoso del poeta e alcune raffigurazioni vascolari.

Il tìaso

La sua biografia è tutta centrata intorno alla vita del tìaso, la comunità di fanciulle aristocratiche di cui Saffo curava l'educazione all'eleganza, alla musica e al canto, in preparazione delle nozze. Il significato religioso del tìaso, connesso con il culto di Afrodite, così come i rapporti di intenso trasporto sentimentale tra le fanciulle e la loro “maestra”, sono stati a lungo discussi fin dall'antichità, offrendo l'occasione a interpretazioni di aperta omossessualità. Ma ormai si è concordi nel ritenere che l'amore tra le ragazze, e con la stessa poetessa, costituiva una tappa fondamentale per apprendere consuetudini e convenzioni di Eros e aveva innanzitutto una funzione pedagogica.

Metrica e forme dell'opera di Saffo

I grammatici alessandrini divisero le liriche di Saffo in 9 libri, distinti in base a criteri puramente metrici. Il primo di essi conteneva i carmi in strofe saffiche; i successivi, carmi in pentametri dattilici, asclepiadei, tetrametri, ecc.; il nono conteneva epitalami (componimenti per nozze, che accompagnavano il corteo della sposa diretto alla casa dello sposo). Gli epitalami erano probabilmente composti per essere cantati da un coro, mentre tutti gli altri carmi appartengono alla lirica monodica, intonata cioè da una sola voce con accompagnamento della cetra. Tra le sue liriche solo una è giunta intera, la cosiddetta Preghiera ad Afrodite, riportata da Dionigi di Alicarnasso: delle altre esistono complessivamente circa 200 frammenti, pervenuti tramite citazioni indirette o ritrovamenti papiracei. La lingua usata è il dialetto eolico, con qualche richiamo al lessico epico: sue caratteristiche fondamentali sono la baritonesi (ritrazione dell'accento) e la psilosi (sostituzione dei suoni aspirati).

Passioni ed emozioni

La lirica di Saffo è dominata dalla intensità della passione amorosa: con uno stile dall'estrema semplicità sintattica a cui corrisponde il massimo della tensione emotiva, la poetessa dà voce al dolore degli abbandoni, alla nostalgia delle gioie perdute, alla desolazione della solitudine, al tormentoso strazio della gelosia. È questo lo spunto da cui muove la più famosa delle sue odi (“A me pare eguale agli dèi...”) tramandata dall'anonimo autore del Sublime e che fu poi liberamente tradotta da Catullo. In essa, all'immagine serena del giovane che contempla il sorriso di una fanciulla e ne ascolta le parole, Saffo contrappone, in termini nudi e drammatici, quella che si può definire la sintomatologia del proprio desiderio amoroso, che si esplicita in intense reazioni di fisica concretezza. Altrove, scarsi e incantati rimandi paesaggistici (l'abbattersi del vento sulle querce della montagna, lo splendore di un plenilunio, l'ombroso incanto di un bosco) fanno da sfondo ai turbamenti amorosi che, nella Preghiera ad Afrodite, si placano solo nel ricorso confidente alla divinità stessa dell'amore, sempre invocata dalla poetessa e sempre a lei “alleata”. Negli epitalami è evidente la ripresa di temi popolari, che Saffo ricrea in note di garbata e sorridente delicatezza, come nell'immagine dello sposo prestante come Ares o nel paragone della sposa, forse non più giovanissima, con una mela trascurata dai raccoglitori, perché posta sui rami troppo alti dell'albero.