Introduzione

Dalla morte di Augusto (14 d.C.) in poi, si può dire fino all’età di Traiano (117 d.C.), la poesia entra in una fase di involuzione, per cui anche le opere geniali e di maggior spicco sembrano prive di ispirazione interiore, se confrontate con quelle dei grandi autori dell’età precedente. Ne è causa il cambiamento del gusto, che segna il trionfo della retorica, fondamento dell’educazione e della cultura. La poesia tende in genere a imitare modelli, a ripetere schemi fissi e all’erudizione tecnica. La moda delle recitationes, nello stesso tempo intrattenimento e sfoggio di abilità personale, induce ad abusare di artifici retorici per ottenere il consenso del pubblico. Scompare l’elegia, mentre l’epica dà grande spazio alla digressione, alla rappresentazione retorica dei personaggi, con pezzi di bravura che appaiono spesso inseriti di forza nel contesto. La prosa, retorica e filosofica, in un moderno spregiudicato arianesimo raggiunge vette eccellenti. Seneca, diviso tra le incombenze di governo e la ricerca filosofica, esamina con acume le inquietudini e le contraddizioni dell’animo umano. L’epica di Lucano è intenzionalmente antivirgiliana dell’argomento, nella concezione della storia e nello stile, in cui si alternano enfasi e pathos, produce, però nuove categorie espressive. Le Satire dello stoico Persio, nel loro rigorismo morale, sono lontane dal sorriso indulgente e bonario di Orazio. Grande e problematica è la personalità di Petronio, il cui Satyricon (romanzo o parodia di romanzo) offre un quadro realistico della società dell’epoca, colta con sguardo irridente e presentata con un impasto linguistico assolutamente originale.