L'elegia d'amore: Tibullo e Properzio

Tibullo

Sulla vita di Albio Tibullo (60/54-19/18 a.C.) si hanno scarse notizie ricavabili, oltre che da cenni sparsi nelle sue elegie e negli scritti di altri autori, da una Vita anonima. Ignoto è il suo prenome, incerti sono il luogo e la data di nascita. Egli è uno dei poeti più rappresentativi della letteratura latina e di quell'elegia, intrisa nel suo caso di erotismo, destinata a diventare genere tipicamente latino.

La vita

Tibullo nacque forse a Gabii o a Pedum, cittadine del Lazio tra Tivoli e Palestrina. La famiglia, di ordine equestre, era di agiate condizioni economiche e possedeva proprietà nella zona, sebbene pare che alcune terre le fossero state confiscate in favore dei veterani di guerra. A Roma entrò a far parte del cenacolo culturale di Valerio Messalla Corvino, divenendone il più importante esponente. Nel 30 seguì il potente amico in una spedizione militare in Aquitania per reprimere una rivolta e nel 28 in Asia Minore, che non raggiunse perché costretto a tornare a Roma, dopo essersi ammalato a Corfù, come egli stesso scrisse nella III elegia del I libro. Trascorse l'ultima parte della vita nei suoi possedimenti di Pedum, dove Orazio, di cui fu amico, lo rappresenta malinconico e isolato. Un epigramma del poeta Domizio Marso ci informa che Tibullo morì in giovane età, poco dopo la scomparsa di Virgilio.

Il Corpus Tibullianum

Con il nome di Corpus Tibullianum è pervenuta una raccolta di elegie, ripartite in tre libri, l'ultimo dei quali fu diviso in età umanistica in due parti. Con certezza sono di Tibullo i primi due libri. Il primo libro, Delia, l'unico sicuramente pubblicato dall'autore nel 26 o 25 a.C., contiene 10 elegie, 5 delle quali dedicate a Delia, pseudonimo greco della donna amata dal poeta, il cui vero nome era, secondo la testimonianza di Apuleio, un più popolano Plania. Delle 6 elegie, che costituiscono il secondo libro, Nemesi, 3 sono composte per una donna avida, non meglio identificata, chiamata Nemesi, nome che in greco significa "vendetta" e che allude, forse simbolicamente, a una nuova passione del poeta, come rivalsa per l'abbandono di Delia che ha scelto un vecchio danaroso. Il contenuto del terzo libro non è del tutto attribuibile a Tibullo.

La poetica di Tibullo

Nonostante che la finzione letteraria comporti il ricorso al repertorio canonico della poesia d'amore (incontri, abbandoni, gelosie, tradimenti), il mondo sentimentale di Tibullo nasce da una esperienza autenticamente vissuta, come è del resto tipico per gran parte dell'elegia latina. In contrasto con le tonalità sensualmente appassionate di Properzio e le galanterie superficialmente brillanti di Ovidio, la sensibilità tibulliana si esprime di preferenza in toni malinconici e sfumati. Nelle elegie di Tibullo, dopo l'annuncio del tema che viene poi ripreso solo alla fine, caratteristica originale è quel muoversi in un mondo quasi di sogno, in cui le immagini si succedono le une alle altre per evocazione e per analogia, senza un filo logico. Assente il gusto per l'erudizione mitologica, peculiare di Tibullo è lo sfondo campestre, rappresentato con vive immagini, un mondo ideale su cui il poeta proietta il suo desiderio di pace e di vita semplice e serena. Lo stile, di apparente semplicità nel suoi ritmi fluidi e armoniosi, con i suoi toni delicati e leggeri, è invece estremamente raffinato e sorvegliato. Già Quintiliano ne aveva colto la purezza lessicale e insieme la disciplina, definendo Tibullo poeta "terso ed elegante", giudizio del tutto condiviso dalla critica moderna.

Il terzo libro del Corpus Tibullianum

Il terzo libro delle elegie giunte sotto il nome di Corpus Tibullianum, raccoglie 20 componimenti, di cui sono sicuramente suoi gli ultimi due. Nel XIX il poeta promette eterno amore a una fanciulla della quale non dice il nome; il XX è un epigramma sulle voci che si mormorano riguardo alla fedeltà della sua fanciulla.

Le prime sei elegie sono di un imitatore del poeta, un certo Ligdamo, che canta il suo amore per Neèra. Questo autore, che usa uno pseudonimo di origine greca, è stato variamente identificato dagli studiosi con Cassio Parmense o con Vario Rufo o con un figlio di Messalla o con Tibullo stesso, cosa altamente improbabile, oppure con Ovidio giovane, ipotesi quest'ultima sostenuta dal fatto che nel testo è citato l'anno di nascita dell'autore, il 43, che coincide con quello di Ovidio e, per di più, è espresso con un verso che ritorna proprio nel poeta di Sulmona.

Segue il Panegirico a Messalla, un lungo componimento elogiativo in 212 esametri, di incerta attribuzione, in cui si esaltano le sue doti oratorie e le sue campagne militari.

Cinque elegie, sugli amori di Sulpicia e Cerinto, sono ritenute da gran parte degli studiosi autenticamente tibulliane; di mano della stessa Sulpicia, invece, si pensa che siano i rimanenti 6 brevi carmi, quasi dei "biglietti" amorosi, per complessivi 40 versi, inviati all'innamorato. Della vita di Sulpicia non si hanno notizie precise: forse fu nipote del giurista Servio Sulpicio Rufo e figlia di una sorella di Messalla, di cui divenne pupilla dopo la morte del padre, entrando nel circolo letterario animato dallo stesso Messalla. Sono poesie di un amore bruciante, intenso e sincero, interessanti anche per la storia del costume nella Roma d'Augusto. In questo caso Sulpicia sarebbe dunque l'unica poetessa di cui si ha testimonianza nell'ambito della letteratura latina. Indipendentemente dallo loro identità, i vari poeti del corpus sono vicini a Tibullo per stile e per ambiente culturale, quello del circolo di Messalla.