Charlie Parker

Di famiglia umile, Charlie Parker, detto Bird (Kansas City, Missouri 1920 - New York 1955) rivelò da bambino una vivissima intelligenza, ma non particolari doti musicali. Dopo un periodo di studio del sax, si mise alla ricerca di idee improvvisative nuove, lavorando con orchestre di stile convenzionale (J. Mc Shann). Nel corso di una vita vagabonda e caotica, mise genialmente a punto (1940-43) un linguaggio nuovo, poi chiamato bebop, che avrebbe rivoluzionato il jazz. Segnato dalla droga e da una profonda solitudine, causata anche dalla sua pressoché totale mancanza di rispetto verso i colleghi, persino verso quelli con i quali aveva realizzato le cose migliori (su tutti, Dizzie Gillespie e Miles Davis), Parker rimase vittima di se stesso, del proprio egocentrismo, del suo disprezzo per il pubblico, che lo condusse più volte a esibirsi in pessime condizioni e a rendersi protagonista di episodi avvilenti.

Alle origini della rivoluzione

Alla fine del 1942 Parker e Gillespie furono assunti nell'orchestra del pianista Earl Hines, il cui orientamento teneva in parte conto del clima sperimentale di Harlem. Tuttavia, la formazione, in cui convivevano musicisti swing e moderni, non sopravvisse a tale ambivalenza di stile e si sciolse in poco tempo. Il cantante del gruppo, Billy Eckstine, si trovò in sintonia con i musicisti più avanzati dell'orchestra e decise di fondarne una propria, in cui chiamò Parker e Gillespie. Fu probabilmente in questa orchestra, più ancora che al Minton's o al Monroe's, che maturò il bop e si cristallizzò appieno la coscienza innovatrice dei suoi adepti, accomunati da molte convinzioni sull'arte e sulla vita.

Alla fine del 1944, il trombettista Dizzy Gillespie si unì a Parker, con il suo sassofono, al Three Deuces e i due, sostenuti da una ritmica idonea, per diversi mesi sciorinarono la nuova musica di fronte a un pubblico di appassionati. Fu in questo ambito che il grande "Bird" fece saltare gli schemi del jazz classico. Blues e canzoni vennero trasformati in temi originali, stilisticamente omogenei alle improvvisazioni. Queste, poi, riversavano sull'uditorio un uragano di note, in apparenza squassato da un'infinità di accenti, contrasti e cromatismi, ma in realtà soggetto a una nuova organizzazione logica del linguaggio, dove il fragore della sezione ritmica si adeguava all'incandescenza espressiva degli strumenti a fiato. Con la sua valanga di suoni, il quintetto bop stordiva più di un'intera orchestra. E, in seno a questo frenetico strepito, le armonie si avviavano verso la politonalità, lo swing zampillava da una base estremamente complessa, il clima timbrico si allineava alla frequente rinuncia di Charlie Parker al vibrato, tuffandosi in una sorta di fanatica austerità.

Il manifesto del bebop

Nel 1945 Parker incise per la casa discografica Savoy quello che può essere ritenuto il manifesto del bebop, in collaborazione con Gillespie, col migliore batterista bebop del momento, Max Roach, con l'allora diciannovenne trombettista Miles Davis, con Curley Russel al basso e un pianista, Argonne Thornton (che poi assunse il nome di Sadik Hakim), chiamato a sostituire Thelonious Monk: si tratta del capolavoro registrato in quella seduta, il brano Ko Ko, affrontato dal gruppo a un tempo vertiginoso e con uno swing demoniaco. Non c'è esposizione del tema: in suo luogo compare una lunga, capricciosa introduzione, ripetuta al termine a mo' di coda. Suddivisa tra frasi all'unisono e brevi assoli di Charlie Parker e Dizzy Gillespie, essa incornicia un'ampia ed energica improvvisazione del sassofonista e un intervento solistico di Max Roach, segnale della definitiva liberazione della figura del batterista nella storia del jazz. Gillespie, invece, accompagnò al piano l'assolo di Parker, che rivela una proliferazione di elementi inventivi. Melodia, armonia, ritmo e swing, le quattro componenti principali del jazz, si sviluppano indipendentemente e confluiscono in un unico, grandioso messaggio musicale, che, per esistere in tutta la sua potenza, ha bisogno al tempo stesso di una parallela molteplicità di linguaggio anche da parte di tutti gli altri strumentisti. La totale libertà che regnò durante l'incisione di Ko Ko assume in tale luce l'aspetto dell'anarchismo: l'ordine trazionale è andato in frantumi sotto l'impulso di una radicale libertà e uguaglianza. Grazie a Parker, il complessino bop delinea un nuovo patto tra i suoi membri, grazie al quale ciascuno si libera e si annulla, per far germogliare il rivoluzionario frutto di un'appassionata solidarietà.

Il lungo viaggio nel delirio

Preda del disordine personale, schiavo dell'alcol per la difficoltà di reperire droga, Parker ebbe una crisi di follia durante l'incisione di Lover Man (1946). Ricoverato in un ospedale psichiatrico, si riprese; nel 1947-48 diresse un quintetto comprendente M. Davis e attraversò la sua stagione più serena e feconda (creò brani come Out of Nowhere, Parker's Mood). Abbandonato da Miles Davis e Max Roach, stanchi di sopportarne le eccentricità, proprio mentre veniva accettato come stella del nuovo stile e della relativa moda, Parker cadde vittima delle proprie intemperanze verso un ambiente in cui la notorietà ormai raggiunta, i club di classe e le grandi case discografiche esigevano un comportamento adatto alle convenzioni sociali e industriali: di fronte alle esigenze dell'establishment, Parker ormai era completamente indifeso.