Schönberg e la seconda scuola di Vienna

In sintesi

EspressionismoSorto in Germania agli inizi del XX secolo, coincise in campo musicale con l'esasperazione della tonalità, operata principalmente da A. Schönberg, A. Berg e A. Webern sulla base di una precisa poetica: il tormentoso scavo interiore, la concentrazione su un estremo soggettivismo come reazione alla solitudine e alla crisi create da un mondo alienato, la ricerca di un linguaggio che nella sua essenzialità rispondesse soltanto a un criterio di necessità interiore e rifiutasse la tradizione (che appariva compromessa con l'accettazione dell'ordine costituito).
SchönbergLa prima fase della produzione di Schönberg, che accoglie anche essenziali influenze da J. Brahms, si muove nell'orbita del gusto postwagneriano. Kammersymphonie op. 9 (1906) presenta una scrittura originale, straordinariamente densa ed essenziale, mentre negli ultimi due tempi del secondo Quartetto op. 10 (1907-08) emerge nettamente la prima definitiva rottura con le convenzioni del sistema tonale. Seguì una serie ininterrotta di capolavori, che non soltanto sconvolgono le categorie formali tradizionali, ma propongono originali intuizioni timbriche quale frutto di una "necessità interiore". Nel primo dopoguerra Schönberg elaborò il metodo dodecafonico quale strumento per superare i nessi tonali e ridurre tutta una composizione a una cellula unitaria. Tuttavia in lui coesistono sempre arditezze innovatrici e profondi legami con la tradizione: nei primi anni dell'esilio americano il musicista giunse a ritorni alla tonalità, o a recuperi e allusioni tonali all'interno di opere dodecafoniche (Concerto per violino, 1936; Ode a Napoleone, 1942; Concerto per pianoforte, 1942). Nelle opere degli ultimi anni Schönberg superò anche questa fase, in un'eccezionale libertà creativa; si ricordano, in particolare, il Trio op. 45 (1946), De Profundis (1949), Un sopravvissuto di Varsavia (1947). Incompiuto è rimasto Mosè e Aronne, uno dei testi più alti e significativi del teatro musicale del XX secolo. Fra le sue opere teoriche di fondamentale importanza: Trattato di armonia (1910-11), Stile e idea (1950) e Funzioni strutturali dell'armonia (1954).
BergIl linguaggio musicale di Berg si lega alla tradizione di Brahms e soprattutto di Mahler, dal quale derivò sia l'idea della necessità di un taciuto "programma interiore", sia la pratica compositiva dell'irruzione di stravolte sonorità orchestrali, di grandi salti melodici e di laceranti tensioni lirico-armoniche. Con la Sonata op. 1 per pianoforte (1907-08), coi quattro Lieder op. 2 (1909) e col Quartetto op. 3 (1910) il linguaggio tonale appare già pienamente messo in crisi: Berg proseguì poi sulla via dell'atonalismo con i Lieder op. 4 (1912) e i Tre pezzi per orchestra op. 6 (1914-15). Nel Wozzeck (1915-21) la tematica berghiana della solitudine e della tragica e angosciosa condizione esistenziale si incarna in un disperato grido di protesta. Nella personale concezione di Berg, il metodo dodecafonico si presta a rendere anche echi e ombre tonali: ciò appare evidente, ancor più che nella Lulu (1925-37), il secondo capolavoro teatrale di Berg, nel Concerto per violino (1935), in cui la serie stessa si articola secondo principi tonali. Lo struggente lirismo di questa meditazione sulla morte tende a una disperata volontà di comunicazione.
WebernGià i Lieder op. 3 e 4 (1908-09) su testi di S. George rompono con la tonalità; i Cinque pezzi op. 5 per quartetto d'archi (1909) segnano l'avvio di una ricerca di concentrazione aforistica proseguita con i pezzi orchestrali op. 7 (1910), op. 6 (1910) e op. 10 (1913), con le Sei bagattelle op. 9 per quartetto d'archi (1913) e nei Tre piccoli pezzi op. 11 per violoncello e pianoforte (1914). L'esperienza aforistica si rivela aspetto essenziale della poetica di Webern, che utilizza la tecnica dodecafonica per estrarre dal suono un'immagine di rarefatta concentrazione lirica, ai limiti di un'astrazione metafisica, dove essenziale è il peso dei silenzi, delle pause, dei vuoti che definiscono le figurazioni.