Lessico

sf. [sec. XIII; dal latino habitūdō-ínis].

1) Disposizione acquisita con il costante e periodico ripetersi di determinate azioni. Abito, consuetudine, costume, assuefazione: contrarre, perdere, cambiare, sradicare un'abitudine; fare l'abitudine a qualche cosa; in forza dell'abitudine.

2) Per l'abitudine in diritto, vedi abitualità.

Filosofia

Spesso usato come sinonimo di “abito” che, in generale, significa una disposizione costante del comportamento, l'abitudine indica invece una ripetizione di eventi o di azioni. Aristotele definisce l'abitudine: “Una cosa che somiglia alla natura: la natura è ciò che si fa sempre, l'abitudine ciò che si fa spesso” (Rhetorica, 11, 1370 a 7); la distingue dall'abito, che per il filosofo è “Una disposizione a essere bene o mal disposto verso qualche cosa, sia verso di sé sia verso l'altro” (Metaphisica, 20, 1022 b 13). Tale distinzione è stata più volte ripresa nel corso della storia del pensiero, per esempio da San Tommaso. Nei tempi moderni, Hume spiega la connessione causale mediante l'abitudine, affermando che la relazione tra causa ed effetto si fonda non già sopra una necessità oggettiva, ma sull'osservazione ripetuta degli eventi; secondo Hegel, l'abitudine è uno strumento di possesso e di liberazione; per Bergson invece è l'antitesi della vita autentica.

Fisiologia

Disposizione individuale acquisita, per la regolare ripetizione degli stessi atti, determinata dalla persistenza delle sensazioni sensoriali nel tessuto nervoso, date le caratteristiche proprie della cellula nervosa. A seconda del livello, della durata, intensità e diversità degli stimoli si distingue in: abitudine passiva, se lo stimolo è stereotipato e può determinare il sonno; abitudine condizionata, se lo stimolo è variabile, inducendo nuovi riflessi di risposta; abitudine passiva con variazioni dello stimolo, tipica negli automatismi e nei riflessi semplici; abitudine razionalizzata, qualora lo stimolo si associ all'apprendimento intelligente, tipico dell'uomo. Ogni tipo di abitudine può degenerare in abitudine passiva, se lo stimolo è ripetuto con troppa frequenza, affaticando la cellula nervosa. L'abitudine è una forma di adattamento dell'essere vivente al proprio ambiente.

Pedagogia

Il pensiero pedagogico non ritiene in generale che scopo dell'educazione sia promuovere delle buone abitudini. Le correnti più mature di esso hanno risolto la natura del processo educativo nello sviluppo stesso, ponendo in crisi il concetto di fine in sé: principio contro cui urta la teoria dell'abitudine come modello di comportamento stabile. Esse perciò oscillano fra un relativo riconoscimento del valore educativo delle abitudini e la sua totale negazione. J. Dewey, per esempio, sostiene che le abitudini danno il controllo sull'ambiente e il potere di modificarlo. Oltre all'aspetto “passivo” delle abitudini, cioè quello corrispondente al processo di assuefazione delle attività dell'individuo all'ambiente, esiste un aspetto “attivo” delle abitudini, che rappresenta la capacità dell'individuo di riadattare la propria attività per affrontare nuove condizioni ambientali. Le abitudini attive implicano pensiero e invenzione e sono l'esatto contrario della routine. D'altro canto il neoidealismo nega il valore umanizzante alle abitudini, se è umanizzante solo ogni atto in cui la coscienza sia autodeterminata.

Psicologia

Il termine si riferisce soprattutto al comportamento motorio, ma non esclusivamente, potendosi parlare di abitudine relativamente all'attività di pensiero, alla percezione, ecc. (“Le idee sono abitudini dello spirito”, Ricoeur), e si distingue dall'istinto, in quanto questo è innato. L'abitudini è finalizzata e specializzata, e, una volta che sia acquisita, indipendente dalla volontà. La formazione delle abitudini avviene per ripetizione. Un'abitudine motoria, per esempio lo scrivere a macchina, è costituita da un atto complesso: la ripetizione, volontaria o meno, delle singole componenti dell'atto, conduce alla formazione dell'abitudine, che non va intesa come una semplice somma delle componenti, ma come una loro riorganizzazione in un'unità strutturale integrata, in cui vengono eliminati tutti gli atti inutili. Essa è quindi un modello di comportamento economico, in quanto consente di risparmiare al soggetto lo sforzo di controllare volontariamente gran parte della propria attività. La plasticità delle abitudini, la possibilità cioè di ristrutturarle nelle singole componenti al mutare delle situazioni, diminuisce con il crescere dell'età (resistenza al mutamento). Negli studi sull'apprendimento, il termine (inglese habit) ha acquistato un significato più ristretto e definito, per opera particolarmente di Clark Hull e della scuola neobehaviorista (per tale motivo alcuni psicologi italiani preferiscono parlare in questo ambito di “abito”). Secondo questa impostazione, l'abitudine può essere definita come legame o associazione tra uno stimolo differenziato e la risposta del soggetto. Essa non può essere osservata, in quanto “celata nella complessa struttura del sistema nervoso” (Hull); si tratta quindi di un costrutto ipotetico che può venire dedotto da un comportamento relativamente stabile e costante nel tempo.

Tossicologia

Con abitudine ai farmaci si indica lo stato di dipendenza psichica che si instaura in seguito all'uso protratto di alcuni farmaci (antinevralgici, tranquillanti, psicoeccitanti) o di droghe voluttuarie (alcol, caffè, tabacco). L'abitudine è caratterizzata dal desiderio più o meno intenso della sostanza impiegatabitudine È una condizione di modesta gravità in quanto non comporta una vera sindrome da astinenza (vedi tossicomania).

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