evidènza

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sf. [sec. XIV; dal latino evidentía].

) Qualità di ciò che è evidente: era stato convinto dall'evidenza dei fatti; mettere, porre in evidenza, far rilevare; in particolare, in matematica, mettere in evidenza un fattore in un polinomio significa scomporre il polinomio in fattori in modo che uno di essi sia quello in oggetto; per esempio, mettere in evidenza il fattore (x-1) nell'espressione x²-1 significa scomporlo nella forma (x-1) (x+1); dare rilievo; mettersi in evidenza, farsi notare.

) Chiarezza, prova esauriente: evidenza matematica; dimostrare con evidenza, in modo irrefutabile. § In filosofia, manifestazione di un contenuto di pensiero o di esperienza nella sua indubitabile verità. Aristotele distingueva l'evidenza di una conclusione raggiunta per mezzo di sillogismo da quella presente in un concetto che non è possibile pensare diversamente; gli stoici, invece, presentavano l'evidenza come “fantasia catalettica”, ovvero “rappresentazione comprensiva” (presentazione indubitabilmente certa di un oggetto ai sensi o all'intelletto), identificandola con il criterio stesso della verità. In Cartesio l'evidenza è una delle regole fondamentali del retto uso del raziocinio, quella per cui non bisogna “comprendere nei propri giudizi se non ciò che si presenta così chiaramente e distintamente al proprio spirito, da non avere alcun motivo per metterlo in dubbio”. Husserl critica l'uso soggettivistico del criterio dell'evidenza e ritorna al concetto dell'evidenza oggettiva.

) Nel linguaggio burocratico, copia o stralcio di documento trattenuto da un ufficio.

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