Azèglio, Màssimo Taparèlli d'-

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scrittore e uomo politico (Torino 1798-1866). Fu uno degli uomini politici più noti del Risorgimento italiano, nobile e cavalleresca figura, affascinante parlatore, pittore di maniera ma non privo di dignità espressiva e di una certa qualgrazia, scrittore ricco di vita e di estro almeno nel libro che gli sopravvive intero, I miei ricordi. A Torino ricevette l'educazione consueta dei tempi (precettore religioso in casa, poi vita militare); ma nel 1820, a Roma, risolse di rompere con i pregiudizi della sua città e della sua casta e si dedicò interamente alla pittura: il periodo della sua scapigliata giovinezza artistica e i prediletti paesaggi della campagna romana (che ricordano nella luce soffusa alcuni vedutisti veneziani del Settecento) vivono con molta freschezza di evocazione in pagine reputate fra le più belle del libro di memorie. Nel 1831, alla morte del padre, si trasferì a Milano, dove sposò la figlia di A. Manzoni, Giulietta. A Milano nel 1833 pubblicò Ettore Fieramosca. L'idea del romanzo gli era nata da un quadro che aveva dipinto, La disfida di Barletta: l'argomento gli parve buono per scuotere l'animo degli Italiani col ricordo del famoso avvenimento. Il libro ottenne un grande successo; in realtà, pur nell'entusiasmo che lo pervade, rivela incertezze e squilibri. Più maturo si rivela il successivo romanzo, Niccolò de' Lapi, edito nel 1841, per il quale il d'Azeglio si documentò minutamente, recandosi sui luoghi dell'azione e cercando notizie negli archivi. Frutto di un viaggio politico nelle regioni centrali fu l'opuscolo Degli ultimi casi di Romagna, pubblicato nel 1846: l'autore, che pur vedendo nelle sette la conseguenza dell'oppressione condannava la violenza e ogni associazione segreta, apparve l'uomo più qualificato a realizzare il moto nazionale e a essere capo dei moderati. Nel 1848 pubblicò l'opuscolo I lutti di Lombardia, in cui con severità denunciava la politica di oppressione e di violenza dell'Austria. Scoppiata la guerra d'indipendenza, prese parte alle azioni come colonnello dell'esercito pontificio; il 10 giugno fu ferito nella difesa di Vicenza. Dopo la disfatta di Novara fu chiamato da Vittorio Emanuele II alla presidenza del Consiglio. Il suo ministero dovette risolvere il difficile problema della pace con l'Austria. Va ricordata anche l'approvazione delle leggi Siccardi. Il 22 ottobre 1852 dovette cedere la presidenza del governo a Cavour. Ebbe successivamente incarichi politici e diplomatici, ma era ormai un uomo chiuso ai tempi e alle soluzioni nuove, sempre più dominato da un caustico spirito di moralizzatore. Frutto della vecchiaia sono I miei ricordi (postumi, 1867), libro ancora fresco e suggestivo, che ci offre l'immagine di una vita sana e schietta, sorridente e garbata. Il d'Azeglio era stato a lungo tentato anche dal teatro: abbozzò infatti tragedie alfieriane e commedie politiche, ma rinunciò a impegnarsi, criticando egli stesso i suoi scarsi risultati. Credendo tuttavia possibile “favorire certi sentimenti utili ed un risorgimento nazionale con l'instrumento del teatro” si giustificò, per la sua poca parte, osservando che in Italia non v'erano “né lingua né attori né pubblico”.

N. Vaccalluzzo, Massimo d'Azeglio, Roma, 1930; A. Pompeati, D'Azeglio, Milano, 1946; F. De Sanctis, La scuola cattolico-liberale e il Romanticismo a Napoli, a cura di C. Muscetta e G. Candeloro, Torino, 1953.

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