Biografia

Filosofo (Nola 1548-Roma 1600). A quindici anni vestì l'abito domenicano e fu ordinato sacerdote nel 1572. Sotto processo per eresia, si rifugiò a Roma, ma l'aggravarsi del processo lo spinse a deporre l'abito. Pellegrinò per l'Italia, la Francia e la Svizzera e a Ginevra aderì alla chiesa calvinista frequentando i corsi di teologia. Ben presto però si ribellò ai suoi professori e, giudicato dal Concistoro, fu costretto ad abbandonare la città. Riparò a Parigi, dove Enrico III lo inviò in Inghilterra come addetto all'ambasciata di Francia. A Parigi aveva pubblicato il Cantus Circaeus, il Sigillus Sigillorum, il De Umbris idearum; in Inghilterra diede alle stampe La cena delle ceneri, De la causa, principio e Uno, De l'infinito, universo e mondi, Lo spaccio della bestia trionfante, La Cabala del Cavallo Pegaseo, L'Asino Cillenico, Degli eroici furori (1584-85). Nel 1590 è a Francoforte, intento alla pubblicazione del De Minimo, del De Monade, del De immenso et innumerabilibus e del De imaginum compositione. Passò poi a Venezia inviatovi dal patrizio Mocenigo, ma questi, deluso dagli insegnamenti di Bruno, lo denunciò agli inquisitori veneti, che lo consegnarono al Santo Uffizio. Gli inquisitori romani lo tennero in prigione per sette anni senza riuscire a farlo ritrattare. Condannato come eretico impenitente, fu arso vivo.

Il pensiero filosofico

Il centro del pensiero bruniano deve ravvisarsi nella tesi dell'unità dinamica dell'universo, che in Bruno si esplica in una visione pampsichistica e panlogistica. Contro la fisica aristotelica e il geocentrismo in genere Bruno afferma l'infinità dell'universo, che consta d'infiniti mondi e che, appunto perché infinito, non può avere centro, ma è tale che ogni suo punto in esso è al tempo stesso centro e periferia. Contro la distinzione di materia e forma propria di Aristotele e della scolastica , egli ne sostiene invece l'unità, affermando la radice unica di tutte le cose. Ciò lo porta a sostenere l'animazione interna del tutto e la presenza di infinite forme animatrici che riempiono l'infinito spazio: è questa l'eterna genitura dell'eterno generante, che Bruno distingue come Mente sopra le cose dalla Mente alle cose immanente, che è l'intelletto datore di forme, prima facoltà di un'anima interna alla materia. Su questo sfondo metafisico e cosmologico Bruno innesta la sua concezione dell'uomo e della civiltà: l'uomo è solo una delle forme dell'universale natura e la civiltà umana deve essere considerata come la continuazione di un processo che si manifesta già nella natura. In tal senso debbono essere interpretate le invenzioni umane, le industrie e le arti. Bruno caldeggia la partecipazione degli uomini allo sviluppo della civiltà, il lavoro e le virtù civili, ma soprattutto esalta l'“eroico furore” di quegli uomini che, accesi d'amore per la filosofia e la verità, lasciano ogni diletto terreno per tendere all'identificazione con Dio, inteso come la natura stessa nella sua unità. Le religioni sono considerate da Bruno nel loro significato pratico, come traduzioni allegoriche di una verità razionale in forma adatta a essere compresa dai rozzi popoli che debbono essere governati. Il senso vivo dell'autonomia della ricerca filosofica e la riduzione dell'elemento religioso a elemento mitico-pratico sono alla base della sua interpretazione del cristianesimo. La figura e la filosofia di Bruno assunsero ben presto un significato simbolico: il coraggio con cui affrontò la morte piuttosto che ritrattare ne fece un martire del libero pensiero e il suo panteismo dinamico fu preso come il simbolo della tendenza più profonda del pensiero rinascimentale e in questo senso già dallo Spaventa salutato come “il primo grido della natura ridivenuta libera”.

Il letterato

Bruno è contemporaneamente artista e filosofo, dotato di un'alta fantasia non meno che di un'alta mente: in lui i concetti si risolvono spontaneamente in immagini e viceversa. Nel Candelaio, la rappresentazione cruda e realistica delle follie cui conducono la sensualità, l'alchimia, la pedanteria è il necessario prologo all'esposizione del sistema bruniano che a quella realtà sordida e meschina contrappone la liberatrice concezione dell'universo. Più che i dialoghi metafisici, sono importanti, dal punto di vista letterario, i dialoghi morali, soprattutto Degli eroici furori, dove, in versi e in prosa, è appassionatamente celebrato il virile ed eroico amore per la verità e, per contrasto, è biasimata la molle ed effeminata moda petrarchesca non meno che l'infatuazione per le regole aristoteliche, la quale impedisce di comprendere – ed è affermazione notevolissima – che la poesia non nasce dalle regole, ma queste dalla poesia. In tale concezione anticlassica e antiaristotelica dell'arte va collocato il secentismo di Bruno, che, non meno turgido e frondoso di quello degli scrittori barocchi, è però animato da una robusta ricchezza di pensiero e da un'intima partecipazione dell'animo, che invano si cercherebbero nei prosatori secentisti.

Bibliografia

A. Corsano, Il pensiero di Giordano Bruno nel suo svolgimento storico, Firenze, 1940; N. Badaloni, La filosofia di Giordano Bruno, Firenze, 1955; L. Cicuttini, Giordano Bruno, Milano, 1958; A. Guzzo, Giordano Bruno, Torino, 1960; idem, Giordano Bruno, in “Letteratura italiana. I minori”, Milano, 1961; M. Ciardo, Giordano Bruno tra l'umanesimo e lo storicismo, Bologna, 1961; A. X. Gorfunkel, Giordano Bruno, Mosca, 1965; L. De Bernart, Immaginazione e Scienza in Giordano Bruno, Pisa, 1987.

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