Biografia: gli studi

Astronomo, matematico, fisico e filosofo italiano (Pisa 1564-Arcetri 1642). Figlio primogenito di Vincenzo, musicologo, e di Giulia Ammannati, di illustre ma decaduta famiglia, a Firenze (dove il padre si era trasferito per dedicarsi al commercio) ebbe la sua prima formazione culturale a carattere prevalentemente umanistico-letterario. Nel 1581, su consiglio del padre, si iscrisse alla facoltà di medicina dell'Università di Pisa, dove ebbe soprattutto modo di impadronirsi della fisica aristotelica seguendo i corsi di F. Bonamico; Galilei, infatti, non mostrò mai particolare interesse per gli studi di medicina che abbandonò definitivamente nel 1585. In precedenza aveva iniziato lo studio della matematica sotto la guida di O. Ricci, che lo avviò alla lettura delle grandi opere dei Greci, in particolare di Archimede dal quale derivò una concezione pratica e strumentale della matematica, tipica di tutto il suo pensiero successivo. Lasciata l'università senza aver conseguito alcun titolo di studio, tornò a Firenze, dove stese i suoi primi scritti nei quali alternò l'interesse letterario con quello scientifico. Sono del 1588 le due lezioni Circa la figura, sito e grandezza dell'Inferno di Dante, mentre, in stretto collegamento con i suoi studi archimedei, fin dal 1586 aveva proseguito le ricerche di meccanica e aveva ideato la bilancia idrostatica per la determinazione del peso specifico dei corpi; nel 1586-87 aveva scoperto alcuni teoremi sul baricentro che vennero pubblicati solo nel 1638. Nel 1589, anche grazie all'aiuto di Guidobaldo Dal Monte, ottenne la cattedra di matematica all'Università di Pisa con un contratto triennale scarsamente rimunerativo poiché si trattava di un insegnamento secondario. Mentre nelle lezioni si atteneva agli argomenti tradizionali, privatamente Galilei proseguiva le ricerche sull'isocronismo del pendolo (la cui prima intuizione ebbe nel 1583, mentre, secondo la tradizione, si trovava nel duomo di Pisa), le esperienze sulla caduta dei gravi e soprattutto gli studi sul problema del moto, anche alla luce della teoria dell'impeto che, grazie a Giambattista Benedetti e Niccolò Tartaglia, aveva raggiunto un'ampia diffusione in Italia; documento rappresentativo delle sue posizioni, ancora scolastiche, è il De motu, rimasto inedito. Non tralasciò tuttavia gli studi letterari, come appare dagli scritti Considerazioni sul Tasso e Postille sull'Ariosto.

Biografia: il periodo padovano

La morte del padre, le ristrettezze economiche e l'ostilità dell'ambiente accademico lo indussero a cercare e a ottenere la cattedra di matematica all'Università di Padova (1592), dove restò 18 anni in un “ambiente vivo e stimolante” cui la Serenissima garantiva un'ampia libertà di pensiero. In questo periodo gli fu compagna Marina Gamba dalla quale ebbe tre figli: Virginia (1600), Livia (1601) e Vincenzo (1606). Le ricerche di Galilei in quegli anni si svolsero in diverse direzioni. Innanzitutto si occupò di questioni pratiche di immediata utilità civile e militare per la Repubblica Veneta. Pubblicò, tra l'altro, il Trattato di fortificazione (1593-94) e Le operazioni del compasso geometrico-militare (1606), che diede luogo a un'aspra controversia con un certo Baldassarre Capra sulla priorità della scoperta dello strumento. Affrontò anche problemi attinenti i fenomeni elettrici e magnetici con particolare riguardo alle calamite. Svolse nel frattempo regolari lezioni, di orientamento decisamente tolemaico, poi pubblicate nel Trattato della Sfera o Cosmografia (1597). Al centro dei suoi interessi furono, però, la dinamica e questioni teoriche d'astronomia. Nel trattato di chiara impostazione archimedea Le mecaniche, pubblicato da M. Mersenne solo nel 1634, estese il principio delle velocità virtuali, già utilizzato da Guidobaldo Dal Monte, allo studio delle leve e delle pulegge, alle indagini sui piani inclinati e su tutte le altre macchine collegate. Nel 1604 in una lettera a P. Sarpi diede la prima, imprecisa, formulazione della legge di caduta dei gravi. Per quanto riguarda l'astronomia, nel 1597, in due lettere indirizzate a Iacopo Mazzoni e a Keplero, ebbe modo di dichiarare la sua avvenuta adesione alle tesi copernicane; sostenne anche di essere in possesso di validi argomenti a favore di esse, che tuttavia non rese noti. La prima dichiarazione pubblica si ebbe, però, solo nel 1604, quando Galilei in tre lezioni interpretò il fenomeno della comparsa di una nuova stella come conferma della teoria copernicana, andando incontro a violente critiche degli ambienti scientifici più ligi alla tradizione. Un'autentica svolta avvenne nel 1609 quando la sua attenzione fu attratta dalla notizia dell'invenzione del cannocchiale a opera di occhialai olandesi. Perfezionato e costruito lo strumento, Galilei ne valutò appieno le possibilità e l'utilizzò per osservazioni astronomiche (gennaio del 1610) che lo portarono alla scoperta del carattere montuoso della Luna, dei quattro satelliti di Giove, della Via Lattea come un ammasso di “minutissime stelle” e delle fasi di Venere. Nel marzo di quello stesso anno pubblicò il Sidereus nuncius con la notizia delle sue scoperte che facevano crollare la teoria aristotelica della perfezione dei corpi celesti e che dimostravano la correttezza del sistema eliocentrico.

Biografia: il periodo fiorentino

L'importanza di queste scoperte, pur provocando vivacissime polemiche, accrebbe enormemente la fama di Galilei e Cosimo II, cui erano stati dedicati i satelliti di Giove col nome di “pianeti medicei”, lo chiamò a Firenze nominandolo “primario matematico e filosofo” del Granducato di Toscana. In un primo tempo Galilei ottenne il riconoscimento di Keplero e in parte degli astronomi gesuiti. Il viaggio intrapreso a questo scopo a Roma nei primi mesi del 1611, nonostante le trionfali accoglienze, consentì a Galilei di rendersi conto di alcune notevoli resistenze, in particolare del cardinale R. Bellarmino. Al ritorno a Firenze pubblicò il Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua o che in quella si muovono (1612), in cui demoliva, da un punto di vista archimedeo, la teoria aristotelica degli elementi e che trovò una forte opposizione negli ambienti filosofici. Ormai Galilei faceva aperta professione di copernicanesimo e la pubblicazione (1612) di tre lettere a Marco Welser, duumviro di Augusta, sulle macchie solari provocò, oltre a una lunga disputa con il gesuita C. Scheiner sulla priorità della scoperta, la reazione dei teologi contro la teoria copernicana, considerata eretica perché in contraddizione con quanto si afferma nella Bibbia sul movimento della Terra, che si tradusse in una vera e propria denuncia presentata al Sant'Uffizio da parte del domenicano N. Lorini. A questi attacchi Galilei replicò nella lettera, fatta circolare in molte copie tra amici e conoscenti, indirizzata al suo allievo Benedetto Castelli (1613), nella quale, partendo dal presupposto che “procedendo del pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura”, afferma che la discordanza tra fede e scienza non è indice di una duplice verità, ma è effetto di una differenza di linguaggio e che, per quanto concerne gli aspetti scientifici, è alla luce dei progressi della scienza che si devono “trovare i veri sensi de' luoghi sacri”. Galilei difese ancora la sua posizione scientifica e tentò un'azione di propaganda e diffusione in altre tre lettere, due di queste indirizzate a monsignor P. Dini, matematico a Pisa, e una alla granduchessa di Toscana, Cristina di Lorena (1615). Ma ormai la Chiesa si avviava a prendere posizione contro le teorie copernicane e contro Galilei, cui nulla valse un secondo viaggio a Roma sul finire del 1615 per sostenere la difesa della propria tesi. Agli inizi del 1616 furono condannate le due proposizioni sul moto della Terra e sulla stabilità del Sole, venne proibita la lettura dell'opera di Copernico, in attesa di revisione, e Galilei fu ammonito, in modo non formale, a non “professare, difendere, insegnare, sia oralmente che per iscritto” le tesi condannate. A questa amara sconfitta seguirono anni di silenzio interrotto solo dalla partecipazione indiretta di Galilei alla polemica con il gesuita Orazio Grassi sulla natura delle comete (ne erano apparse tre nel corso del 1618), e in seguito alla quale scrisse Il Saggiatore, che pubblicò nel 1623, incoraggiato dalla recentissima nomina al soglio pontificio di Maffeo Barberini, Urbano VIII. Al di là dell'errata interpretazione del fenomeno delle comete presentato in tale opera, Il Saggiatore è di grandissimo interesse sia per le questioni generali affrontate (matematica come lingua della natura, critica dell'incorruttibilità dei cieli, distinzione tra qualità primarie e secondarie), sia per la esposizione estremamente chiara dei suoi criteri metodologici. Favorevolmente impressionato dal benevolo accoglimento dell'opera da parte del pontefice, che ebbe modo di incontrare a Roma nel 1624, Galilei decise di condurre a termine la grande opera cui da lungo tempo pensava, destinata, nelle sue intenzioni, a fare il punto sulla controversa questione dei sistemi astronomici. Dopo alcune vicissitudini censorie, il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo fu ultimato nel 1630. In tale opera vengono messi a confronto i due grandi sistemi astronomici tolemaico e copernicano. La vivace critica della cultura scolastica e della distinzione aristotelica tra fisica terrestre e fisica celeste, l'enunciazione ancora imprecisa del principio d'inerzia e quella importantissima del principio di relatività, svolta con la famosa similitudine della nave, secondo la quale i fenomeni meccanici avvengono con le stesse modalità sulla terraferma o su una nave che si muove rispetto a essa di moto rettilineo uniforme, nonché l'argomento del flusso e riflusso del mare presentato (erroneamente) come prova del moto della Terra, fanno dell'opera un vero e proprio manifesto copernicano. La meccanica di Aristotele usciva dal Dialogo decisamente compromessa e veniva delineata una nuova meccanica, in grado di assegnare consistenza fisica e reale all'“ipotesi” copernicana.

Biografia: il processo e gli ultimi anni

Nonostante l'imprimatur ottenuto dal padre N. Riccardi, che consentì la pubblicazione dell'opera il 21 febbraio 1632, le reazioni furono immediate e violente. Il 1º ottobre dello stesso anno Galilei venne convocato a Roma dall'Inquisizione. Lo scienziato, ormai avanti negli anni e di salute malferma, giunse a Roma nel febbraio del 1633. Inutili furono, ancora una volta, le sue difese, i suoi tentativi e gli influenti protettori e amici; per l'istruttoria prima, per il processo poi, Galilei si era reso “vehementemente sospetto d'heresia, cioè d'aver tenuto e creduto dottrina falsa e contraria alle Sacre e Divine Scritture, ch'il Sole sia centro della Terra e che non si muova da oriente a occidente, e che la Terra si muova e non sia centro del mondo”. Galilei, costretto ad abiurare, fu condannato alla prigione a vita, pena commutata prima in isolamento assoluto presso il vescovo Piccolomini, suo antico allievo e amico, poi nella sua villa di Arcetri. Qui trascorse gli ultimi anni della sua vita, rattristati dalla morte della figlia Virginia che gli era stata di grande conforto, dalla perdita della vista e da condizioni di salute sempre più precarie. Proseguì tuttavia i suoi studi di fisica e nel 1638 in Olanda vennero pubblicati i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, la seconda grande opera di Galilei, nella quale sono riuniti, estesi e rielaborati, gli studi sulla meccanica che aveva portato avanti per oltre quarant'anni. L'opera è in forma di dialogo e si svolge in quattro giornate: le prime due sono dedicate all'esposizione della prima nuova scienza intorno alla resistenza dei materiali e alla costituzione corpuscolare della materia; le altre due giornate trattano della seconda nuova scienza, la dinamica, e più specificamente dei moti locali, del moto dei proietti, dell'isocronismo delle oscillazioni del pendolo. In appendice figurano alcune dimostrazioni attinenti al centro di gravità dei solidi riprese dal trattato giovanile De motu. Con l'impostazione di una nuova dinamica, base indispensabile a sostegno del sistema copernicano, i Discorsi, pur non trattando questioni astronomiche, portarono un contributo fondamentale all'affermazione della teoria eliocentrica. Galilei si occupò ancora di problemi meccanici relativi alla costruzione di orologi a pendolo e pubblicò un celebre scritto sulla luce lunare (Sopra il candore della Luna, 1640). La vicinanza di amici e allievi, tra cui V. Viviani ed E. Torricelli, contribuì a rendere meno tristi e solitari gli ultimi giorni del grande scienziato, che si spense l'8 gennaio 1642. Nel 1992 la Chiesa, al termine dei lavori di una commissione appositamente istituita da papa Giovanni Paolo II, ha solennemente riabilitato Galilei, ammettendo gli errori del Sant'Uffizio.

Pensiero scientifico e filosofico

Il nucleo centrale della ricerca galileiana è rappresentato dalla dinamica che, come disse Lagrange, Galilei “tenne a battesimo”. Se anche Galilei non ha dato in modo esplicito le formulazioni delle tre leggi, quali si ritrovano in Newton, gli si devono il superamento delle antiche concezioni e la precisazione dei concetti base della dinamica. Vanno inoltre ricordati: i suoi studi sul magnetismo; le indagini di idrostatica; le ricerche sulle oscillazioni del pendolo, che lo portarono a osservazioni sui fenomeni acustici, in particolare sulla risonanza e sugli intervalli musicali; le ricerche sulla resistenza e sulla forza di macchine (tra queste Galilei includeva i corpi animali) simili, ma di scala diversa, che stanno alla base dello studio della meccanica biologica. L'ampiezza e la profondità della svolta che l'opera di Galilei contribuì così notevolmente a far compiere alla cultura occidentale furono possibili in forza della metodologia che venne elaborando e di quell'atteggiamento filosofico generale che è la parte più controversa del suo pensiero. Considerato un platonico, per la funzione che la matematica svolge nella sua fisica, sono stati posti in rilievo anche gli elementi aristotelici del suo pensiero, mentre altri hanno soprattutto sottolineato gli aspetti metodologici a scapito di una visione filosofica dogmatica. Il fatto che Galilei ricerchi nei vari sistemi filosofici allora noti più dei punti di contatto e di sostegno per la propria opera piuttosto che cercare di adattarla a uno o a un altro di questi sistemi, pone forse in rilievo la priorità che per Galilei ebbe la problematica scientifica rispetto a quella filosofica e quindi la priorità dell'aspetto metodologico rispetto a quello di una sistematica coerenza. In questo fatto sta forse il punto nevralgico dell'indagine galileiana. In questa prospettiva, la distruzione della fisica aristotelica, la liberazione della scienza dal principio di autorità, il suo svincolarsi dalla problematica filosofica, che gli venne rimproverato da Cartesio, si configurano più come conseguenze, come punti di arrivo che non come centri motori del suo pensiero. Galilei affranca la ricerca fisica dall'aristotelismo, ma la sua posizione antiaristotelica, che risale al periodo pisano, è determinata dalla negazione della deduzione logica come criterio fondamentale per la ricerca scientifica. Un esempio è la distinzione tra qualità primarie e qualità secondarie delle sostanze, secondo la quale le prime sono “grandezze, figure, moltitudini, e movimenti tardi o veloci” a cui Galilei attribuisce una realtà che nega invece alle seconde e cioè “colori, sapori, odori, suoni”. Questa distinzione, di cui Galilei è certo debitore all'atomismo greco, ebbe notevole importanza nel successivo sviluppo del pensiero filosofico, ma non è indice in lui di un atteggiamento scettico; piuttosto è dovuta al carattere misurabile delle primarie e quindi al loro impiego nella ricerca fisica. Galilei non dà un'esposizione astratta del suo metodo scientifico, ma attraverso le sue opere se ne può seguire il processo di formazione. Il suo metodo non è qualcosa di improvvisato o di sradicato rispetto alla tradizione, ma una sintesi di quelle rielaborazioni e di quegli elementi che caratterizzano parte del pensiero dei sec. XV-XVI. Va innanzitutto osservato che l'influenza della tradizione artigianale e ingegneristica del Medioevo e del Rinascimento influenzò il metodo di Galilei solo nella misura in cui gli consentì di predisporre strumenti adatti alla preparazione e alla conduzione di esperimenti. Alle tesi tradizionali, sostenute per lo più da argomentazioni di carattere verbale e basate sulla esperienza comune, Galilei contrappose i risultati ottenuti da esperimenti, in cui si isola un particolare fenomeno e lo si studia nella sua configurazione fisico-matematica. D'altra parte la convinzione che a cause uguali corrispondano effetti uguali lo portò all'eliminazione dell'esistenza della “fisica celeste” e della “fisica terrestre” aventi differenti nature, per affermare l'esistenza di una fisica universale. Il procedere del metodo galileiano è così rappresentato dalla verifica di un'ipotesi mediante un esperimento in cui si considerano solo quegli elementi che sono misurabili: era così possibile applicare al procedimento lo strumento che per Galilei dava maggior garanzia di correttezza e precisione, cioè la matematica. Il fatto poi che abbia applicato le leggi della meccanica a tutti i campi ebbe quale conseguenza una visione del mondo in chiave meccanicistica. La figura di Galilei, la sua opera, il suo processo hanno rappresentato per il pensiero filosofico e scientifico successivo un emblema, un simbolo spesso dilatato oltre il suo reale significato storico, così da essere di volta in volta usato quale vessillo nella lotta contro il principio di autorità nelle questioni relative ai rapporti tra scienza e fede, a quelli tra scienza e società e tra parcellizzazione del sapere scientifico e filosofia. Resta comunque indubbio il fatto che l'affrancamento della scienza dalla filosofia e dalla teologia operato da Galilei ha segnato una profonda trasformazione sia del modo di pensare sia del modo di considerare il problema della conoscenza, così come ha segnato l'inizio dello sviluppo della scienza moderna e della sua sempre maggior specializzazione man mano che si procede nell'approfondimento dell'indagine del reale.

Stile letterario e innovazione linguistica

La consuetudine alle lettere e ai poeti, il suo amore per l'Ariosto e il Ruzante sono riscontrabili nella prosa delle sue opere, pur nella scarna esposizione scientifica. In essa, accanto al fervore che la materia suscita nell'autore, alla forza polemica che permea certe pagine, al ritmo incalzante o al tono tagliente che a volte assume, vi è il tentativo di rendere la lingua usata sempre più aderente alla materia trattata. Egli ha piegato lo strumento lingua alle esigenze dell'argomento scientifico e nel contempo ha operato una revisione della terminologia relativa, da lui sentita come una necessità al fine di una maggiore chiarezza. Al di là dell'indiscutibile valore letterario della prosa galileiana è opportuno notare i motivi che indussero Galilei a usare nelle sue opere scientifiche ora la lingua latina, ora quella italiana: mentre la prima è impiegata solo per comunicazioni al mondo scientifico ufficiale, la seconda viene considerata valido strumento di diffusione delle nuove conquiste scientifiche e di una nuova concezione del mondo. La lingua italiana aveva agli occhi di Galilei anche il pregio di essere più libera dai condizionamenti del vecchio modo di fare scienza. Questa attenzione al problema linguistico è una componente essenziale della battaglia culturale di Galilei tesa non solo all'acquisizione di nuovo sapere, ma anche alla diffusione di esso in strati sempre più ampi di persone.

M. V. Giovine, Galileo scrittore, Genova, Milano, Napoli, 1943; S. Vanni Rovighi, Galileo, Brescia, 1943; G. De Santillana, The Crime of Galileo, Chicago, 1955 (trad. it., Milano, 1960); V. Ronchi, Il cannocchiale di Galileo e la scienza del Seicento, Torino, 1959; A. Banfi, Vita di Galileo, Milano, 1962; L. Geymonat, Galileo Galilei, Torino, 1962; G. Morpurgo Tagliabue, I processi di Galileo e l'epistemologia, Milano, 1963; G. De Santillana, F. Zagari, L. Geymonat e altri, Fortuna di Galileo, Bari, 1964; A. Battistini, Introduzione a Galilei, Bari, 1989.

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