Il pensiero filosofico

Filosofo e pedagogista statunitense (Burlington 1859-New York 1952). Di modesta famiglia, frequentò l'Università del Vermont, dove ebbe i primi contatti con la filosofia evoluzionistica, con l'intuizionismo scozzese e con la filosofia di Comte. Fu poi a Baltimora, dove assorbì l'hegelismo. A contatto con i Principles of Psycology del James, si allontanò dall'hegelismo e diede al suo pensiero un indirizzo completamente nuovo, da lui stesso definito strumentalismo. Si dedicò allora, prima a Chicago e poi a New York, alla creazione di una scuola organizzata come laboratorio sperimentale. Lo strumentalismo, senza essere un punto di vista eclettico, segnò tuttavia la convergenza tra pragmatismo e illuminismo. La sintesi di questi diversi indirizzi, che si riscontrano in Experience and Nature (1925; Esperienza e natura) e in The Quest for Certainty (1929; La ricerca della certezza), segnò in primo luogo un radicale innovamento del concetto di “esperienza”, proprio dell'empirismo classico. Tale concetto infatti, secondo Dewey, è il risultato di una semplificazione e di una sofisticazione della realtà. La realtà infatti non è chiarezza e semplicità come vorrebbe l'empirismo classico: include invece fattori d'instabilità, di rischio, d'incertezza e oscurità. Un'adeguata teoria dell'esperienza deve riconoscere e indicare esplicitamente questi fattori. Il rapporto dell'uomo con l'ambiente naturale e sociale è sempre incerto e instabile. Nessuna struttura e tantomeno l'autoillusione (“la fallacia filosofica”, come la chiama Dewey) garantisce questi rapporti: l'unica garanzia, sia pure provvisoria e tale da richiedere un costante controllo, è l'atteggiamento della “ricerca”, che Dewey, in Logic, the Theory of Inquire (1938; Logica, teoria dell'indagine), definisce “la trasformazione diretta o controllata di una situazione indeterminata in una situazione determinata nelle sue distinzioni e relazioni costitutive a tal punto da convertire gli elementi della situazione originaria in una totalità unificata”. Essendo la trasformazione di una situazione lo scopo della ricerca, il rapporto tra mezzi e fini deve essere concepito, secondo Dewey, come rapporto d'“integrazione”. Tale rapporto è centrale nel pensiero di Dewey e viene ripreso in tutte le sue opere principali. Esso coincide con il significato e la portata della razionalità, che consiste nella scelta di finalità adeguate e conformi ai mezzi che si hanno a disposizione per realizzarle e nello stesso tempo nella scelta di mezzi atti a produrre gli effetti ai quali si tende. Questo punto di vista esclude che la razionalità sia una facoltà preesistente ai procedimenti della ricerca, caratterizzata da strutture a priori indipendenti. La riduzione delle “facoltà” umane sotto il concetto di funzione, che viene operata da Dewey nei confronti del concetto di razionalità, viene analogamente operata per le altre “facoltà” umane: la coscienza infatti è il momento critico e negativo dell'esperienza, quando l'esigenza di un mutamento radicale viene sentito con intensità particolare. La coscienza è l'esperienza stessa nel momento della sua crisi. Lo spirito non è cosa che appartenga in proprio all'individuo ma è ciò che costituisce il sistema di credenze, di abitudini, di valori in cui l'individuo si trova inserito. L'io infine non è la semplice individualità, ma il momento innovativo, originale, liberatorio dell'esperienza mediante il quale essa si libera dai vincoli del passato e assume nuovi significati. Il carattere sperimentale è comune, secondo Dewey, tanto alla scienza propriamente detta quanto all'esperienza quotidiana del senso comune. Il fatto che quest'ultimo operi in modo meno rigoroso e con linguaggi assai meno complessi di quelli di cui si serve la scienza, non toglie che anche nella vita comune gli uomini procedano sperimentalmente, cioè correggendo e modificando di continuo le loro idee sugli insegnamenti dell'esperienza. Il compito stesso della filosofia dell'arte (Art as Experience, 1934, Arte come esperienza) consiste, secondo Dewey, nel ritrovare una continuità tra quelle forme raffinate e concentrate dell'esperienza, che sono le opere d'arte, e gli avvenimenti di tutti i giorni. L'impedimento maggiore al pieno esplicarsi della scientificità e del senso comune deriva dal peso che esercitano su di esso l'autoritarismo e il dogmatismo delle filosofie tradizionali. La concezione del conoscere come mera contemplazione e la svalutazione del mondo della pratica e del lavoro, che è caratteristica di queste filosofie, ha le sue radici, secondo Dewey, in determinate condizioni economiche e sociali. Interprete delle più alte tradizioni democratiche americane e, in particolare, dello spirito del New Deal rooseveltiano, la filosofia di Dewey è permeata dell'idea che democrazia e scienza sono due aspetti complementari di una stessa realtà. Come la fede democratica ha infatti la sua radice nell'idea della perfettibilità dell'uomo, nella convinzione cioè che l'uomo può migliorarsi e correggersi con l'esperienza, la scienza presuppone, a sua volta, una società democratica e libera in cui il ricambio e la circolazione delle idee non siano ostacolati né da pregiudizi di casta né da privilegi sociali.

Il pensiero pedagogico

Sulle sue tesi filosofiche Dewey costruisce un pensiero e una tecnica pedagogica che ispirarono largamente fin dai primi decenni del secolo soprattutto le scuole americane. Il fondamento della pedagogia deweyana risiede nella teoria dell'interesse, posto in intima interrelazione con il concetto di sforzo: “lo sforzo senza interesse è pratica da lavoro forzato, ma l'interesse che non suscita sforzo non è interesse vero” (Visalberghi). Il concetto d'interesse, inoltre, è al centro della concezione deweyana della scuola come vita: la stessa tesi della continuità tra scuola e famiglia è un corollario dell'importanza fondamentale attribuita a tale concetto. Per Dewey non c'è scuola attiva senza presenza del lavoro incentrato sull'interesse. L'educazione è “attiva” in quanto “formatrice di attitudini atte ad adeguare plasticamente l'individuo alle sempre rinnovantisi condizioni ambientali e in quanto promotrice di maturità critica e di spirito d'intrapresa”. Individuo e società sono inseparabili e l'educazione come scienza si deve riferire tanto alla psicologia quanto alle scienze sociali. Lo sviluppo adeguato dei due momenti del processo educativo è reso possibile dall'assetto democratico, fuori da ogni divisione classista e da ogni chiusura nazionalistica. La concentrazione industriale e la divisione del lavoro, emarginando la funzione produttiva della famiglia, hanno reso impossibile la partecipazione e l'interesse dei ragazzi ai processi di produzione. Tale fenomeno ha accentuato la scissione fra cultura liberale delle classi egemoni e cultura tecnico-professionale dei lavoratori. Al lavoro educativo che non abbia fini estrinseci Dewey assegna il compito di una riconciliazione di queste “due culture”. Fra le opere pedagogiche: My Pedagogic Creed (1887; La mia dottrina pedagogica), School and Society (1899; Scuola e società), Democracy and Education (1916; Democrazia ed educazione).

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