Descrizione generale

Porzione omogenea di materia o sostanza semplice costituita da atomi tra loro identici o, almeno, da atomi isotopi venti tutti lo stesso numero atomico. Tale significato è stato acquisito al termine di una lunga e tortuosa storia. Per i presocratici, elementi erano le nature primordiali dalle quali, per interni processi dinamici, nasceva la molteplicità fenomenica del mondo. Nella concezione meccanicistica di Democrito, elementi sono gli atomi indivisibili, identici nella loro natura, ma diversi per forma e dimensione, che si muovono nello spazio vuoto. Tale concezione fu aspramente combattuta da Aristotele il quale, all'interno di una vasta teoria finalistica, concepì quattro elementi (terra, acqua, aria, fuoco) che deriverebbero per processi antitetici (caldo, freddo, secco, umido, ecc.) da un'unica sostanza indifferenziata e darebbero origine, con la loro varia presenza, alla molteplicità dei fenomeni. La teoria aristotelica dei quattro elementi, pur con notevoli modifiche interne apportate nel corso dei secoli (aumento del numero degli elementi, ecc.), fornì lo schema interpretativo e concettuale su cui si resse lo sviluppo dell'alchimia fino a tutto il Medioevo e il Rinascimento. La profonda svolta metodologica e concettuale che determinò la nascita e l'affermarsi della scienza galileiana della natura coinvolse anche l'alchimia, che d'allora in poi subì un inesorabile declino. Spettò a R. Boyle, nel suo The Sceptical Chymist (Il chimico scettico) del 1661, condurre una critica severa della concezione tradizionale e dare del concetto di elemento una formulazione che ne mettesse in luce l'irriducibilità, ma, nello stesso tempo, ne salvasse l'empiricità e tangibilità. Nel 1789, con il Traité élémentaire de Chimie (Trattato elementare di chimica) di A. L. Lavoisier, il concetto di elemento cominciò ad assumere una certa precisione di connotati legati alle trasformazioni chimiche (una sostanza che si trasforma solo per aggiunta di altra materia). Con tale criterio Lavoisier riuscì a indicare circa trenta elementi tra cui figuravano anche la luce e il calore. J. J. Berzelius, nel 1818, eliminò certe incongruenze e certi residui alchimistici presenti in Lavoisier e propose, nel suo celebre Lehrbuch der Chemie (Trattato di chimica), un elenco di circa cinquanta sostanze elementari. L'elevato numero degli elementi individuati consentì di porre il problema di dar conto di certe analogie riscontrabili tra le varie sostanze. D. I. Mendeleev, nel 1869, propose la sua celebre tabella periodica che contribuì notevolmente a dare un preciso orientamento alla ricerca sperimentale. Il concetto di elemento ha subito una sostanziale revisione tra il 1915 e il 1920, con la scoperta degli isotopi. Fino ad allora si era infatti ammesso che ciascun elemento fosse costituito da atomi tutti identici tra loro, come in effetti si verifica per qualche elemento detto oggi monoisotopico, quali per esempio il fluoro, l'oro e il cobalto. Esaminando però gli elementi chimici naturali con la tecnica dello spettrometro di massa, si è scoperto che la maggior parte di essi è costituita da miscele di atomi isotopi, ossia di atomi di peso atomico diverso a causa del diverso numero di neutroni contenuto nel loro nucleo, ma che presentano proprietà fisiche e chimiche praticamente identiche, tanto da non essere in genere separabili con le comuni tecniche di laboratorio; tali proprietà sono infatti essenzialmente determinate non dal peso del nucleo atomico dell'elemento, ma dal suo numero atomico, ossia dal numero di cariche positive del nucleo e da quello, a esso identico, di elettroni periferici dell'atomo. Così, in natura l'elemento carbonio è costituito da una miscela di tre diverse specie atomiche o nuclidi, tutti aventi il numero atomico 6 che contraddistingue l'elemento carbonio, ma di diverso peso atomico o numero di massa, come meglio si dice nel caso degli isotopi: più esattamente, lo spettrometro di massa indica che il carbonio naturale è formato per il 98,90% dall'isotopo di numero di massa 12, accompagnato dall'1,10% dell'isotopo di numero di massa 13 e da minime tracce di quello radioattivo di numero di massa 14. Il numero degli isotopi dei singoli elementi differisce molto dall'uno all'altro: si va da elementi monoisotopici come quelli prima citati fino allo stagno, costituito dalla miscela di ben 10 isotopi. Di quasi tutti gli elementi chimici naturali sono poi noti isotopi radioattivi ottenuti artificialmente. Attualmente sono noti 92 elementi presenti in natura, dall'idrogeno all'uranio, elencati nel sistema periodico; di essi, l'astato, il francio e il tecnezio sono però elementi radioattivi preparati artificialmente attraverso reazioni nucleari e solo successivamente individuati in natura in tracce infinitesime in qualche minerale radioattivo. A questi si aggiungono altri 13 elementi artificiali tutti scoperti dopo il 1940 e detti transuranici perché di numero atomico superiore a quello dell'uranio "Per approfondire vedi Gedea Astronomia vol. 3 pp 114-117" "Per approfondire vedi Gedea Astronomia vol. 3 pp 114-117" "Per la tabella dei nomi e simboli degli elementi chimici vedi il lemma dell'8° volume." "Vedi la tabella dei Nomi e simboli degli elementi chimici alla pagina 518 dell’8° volume." .

Il sistema periodico di Mendeleev

È una tabella che elenca gli elementi chimici in ordine di numero atomico crescente, disponendoli in modo tale da far risaltare le strette analogie che si hanno tra gli elementi di ciascun gruppo e inoltre la variazione regolare e periodica di proprietà che si manifesta con l'aumentare del numero atomico. Di conseguenza, il sistema periodico, oltre a fornire una completa classificazione degli elementi, fornisce il filo conduttore per lo studio di questi e dei loro composti, che possono dedursi con buona approssimazione e in base a determinate regole da quelle degli elementi vicini nel sistema periodico. Nella sua forma originaria, esso venne formulato nel 1869 da Mendeleev che ordinò gli elementi secondo il principio del peso atomico anziché quello del numero atomico, allora sconosciuto; va osservato, comunque, che, salvo pochissime eccezioni, il peso atomico, passando da un elemento a un altro, aumenta nello stesso ordine in cui aumenta il numero atomico, per cui i due metodi di classificazione risultano quasi equivalenti. "Per la tabella del sistema periodico di Mendeleev a lunghi periodi vedi il lemma dell'8° volume." "Vedi la tabella del Sistema periodico di Mendeleev a lunghi periodi alla pagina 519 dell’8° volume." Mendeleev osservò che, scrivendo i simboli dei primi 14 elementi allora noti in ordine di peso atomico crescente, a partire dal più leggero di essi dopo l'idrogeno, cioè il litio, in due serie orizzontali, da lui denominate periodi, ossia nell'ordine

risultava una serie di regolarità caratteristiche. Sotto ciascun elemento del primo periodo veniva a trovarsi un elemento del secondo periodo di proprietà strettamente analoghe: così il sodio, Na, è simile al litio, Li, nelle sue proprietà metalliche e nelle caratteristiche dei composti, nei quali l'uno e l'altro si comportano esclusivamente come elementi monovalenti; il magnesio, Mg, e i suoi composti sono rispettivamente simili al berillio, Be, e ai suoi composti, essendo l'uno e l'altro in ogni caso bivalenti, e così via per gli elementi successivi. Altre regolarità si notano lungo i periodi considerando la valenza massima degli elementi nei confronti dell'idrogeno e dell'ossigeno: nel primo periodo la valenza nei confronti dell'idrogeno aumenta regolarmente dal litio, monovalente, al carbonio, che si comporta da tetravalente; successivamente, la valenza nei confronti dell'idrogeno decresce altrettanto regolarmente. La valenza massima rispetto all'ossigeno cresce invece regolarmente lungo ciascuno dei periodi. Infine, lungo i due periodi si ha un graduale passaggio dal carattere tipicamente metallico, rispettivamente del litio e del sodio, a quello tipicamente non metallico del fluoro e del cloroAll'epoca di Mendeleev il primo elemento noto di peso atomico immediatamente superiore a quello del cloro era il potassio, un metallo alcalino di proprietà simili a quelle del litio e del sodio che andava così a disporsi sotto quest'ultimo, iniziando il terzo periodo. Al potassio seguono in ordine di peso atomico crescente altri sei elementi di valenza massima nei confronti dell'ossigeno via via maggiore, fino al manganese, con valenza massima 7; a differenza del cloro, che chiude il precedente periodo, il manganese presenta però ancora caratteristiche in buona parte metalliche. Al manganese seguono tre elementi ad alta valenza (Fe, Co, Ni), poi la valenza ricade al valore di 1 per riprendere a variare nel solito modo fino a giungere al bromo, Br, elemento del tutto simile al cloro. Nei due primi periodi, dal litio al fluoro e dal sodio al cloro, detti piccoli periodi, si passa dalla valenza massima 1 a quella 7 con il passaggio dalle proprietà tipicamente metalliche a quelle tipicamente non metalliche; nel terzo periodo, detto primo grande periodo, lo stesso passaggio si verifica invece attraverso una doppia transizione dalla valenza 1 alla valenza 7, e tra le due serie sono intercalati i tre elementi ad alta valenza ferro, cobalto e nichel, per cui il periodo comprende 17 elementi anziché 7 come i piccoli periodi. Al primo grande periodo segue un secondo grande periodo, perfettamente simmetrico al primo, che si apre con il metallo alcalino rubidio, Rb, per poi chiudersi, dopo una doppia transizione di valenza intercalata anche in questo caso da una triade di elementi ad alta valenza (Ru, Rh, Pd), con lo iodio, I, elemento molto simile al bromo che chiude il primo grande periodo. Inizia poi il terzo grande periodo, simmetrico rispetto ai due precedenti con l'unica differenza che la terza casella, anziché un unico elemento come tutte le altre, ne contiene ben 15, i cosiddetti lantanididi numero atomico da 57 a 71, similissimi tra loro e tutti generalmente trivalenti. Al terzo grande periodo segue il quarto che, considerando solo gli elementi chimici presenti in natura, si interrompe con l'uranio, U. Se dal primo grande periodo si eliminassero i 10 elementi dallo scandio, Sc, allo zinco, Zn, e allo stesso modo dal secondo si eliminassero i 10 elementi dall'ittrio, Y, al cadmio, Cd, e nel terzo gli elementi dalla casella dei lantanidi al mercurio, Hg, rimarrebbero dei periodi di sette elementi, del tutto corrispondenti ai due piccoli periodi. Gli elementi dei grandi periodi che si immagina così di eliminare e che in certo modo appaiono inseriti nelle sequenze del tipo dei piccoli periodi, si dicono elementi di transizione: anche per questi si osserva tutta una serie di regolarità, e per esempio ciascun elemento di transizione del primo grande periodo presenta strette analogie, come elemento libero e nei suoi composti, con i corrispondenti elementi del secondo e del terzo grande periodo. "Vedi la tabella del Sistema periodico degli elementi (rappresentazione classica derivata da quella di Mendeleev) alla pagina 519 dell’8° volume." Le singole colonne verticali del sistema periodico, dette gruppi, contengono ciascuna elementi che presentano le stesse valenze: i due elementi dei piccoli periodi si dicono elementi tipici del gruppo; quelli dei grandi periodi si suddividono in due sottogruppi, indicati con A e con B, che comprendono elementi che nel sistema periodico occupano posizioni tra loro corrispondenti. Così, nel primo gruppo il sottogruppo A comprende il potassio, il rubidio, il cesio e il francio, tutti metalli alcalini di proprietà analoghe, mentre il sottogruppo B comprende il rame, l'argento e l'oro, a loro volta simili tra loro. "Per la tabella del sistema periodico degli elementi (rappresentazione classica derivata da quella di Mendeleev) vedi il lemma dell'8° volume." Oltre a quelle descritte, si osservano nel sistema periodico molte altre regolarità, che a suo tempo consentirono a Mendeleev di prevedere con molta esattezza l'esistenza e le proprietà di elementi, come lo scandio, il gallio e il germanio, che a quell'epoca non erano ancora noti e per i quali egli lasciava vuote le corrispondenti caselle del sistema periodico. Mendeleev non poteva invece prevedere l'esistenza di un intero gruppo di elementi, quello dei gas nobili costituito da elio, neo, argo, cripto, xeno e rado: questi presentano formalmente valenza zero, e ciascuno di essi va a inserirsi tra l'alogeno che chiude un periodo e il metallo alcalino che inizia il periodo successivo, aumentando di uno il numero degli elementi di ciascun periodo.

Il moderno sistema periodico

Il criterio oggi adottato nella formulazione del sistema periodico non è più quello di Mendeleev del peso atomico, ma quello del numero atomico, ossia del numero di elettroni periferici che ciascun atomo presenta. Questo criterio permette di eliminare due irregolarità che si riscontravano formulando il sistema periodico in base ai pesi atomici e che portavano a scambiare la casella del potassio con quella dell'argo e quella del tellurio con quella dello iodio. Nell'epoca in cui il sistema periodico venne formulato, le regolarità osservate nelle proprietà degli elementi chimici si presentavano come un fatto empirico, del quale mancava una valida interpretazione. Questa veniva trovata circa mezzo secolo più tardi, con la scoperta degli aspetti fondamentali della struttura degli atomi. Si è allora dimostrato che la valenza e in buona parte le proprietà dei singoli elementi sono determinate dal numero di elettroni contenuti nell'orbita più esterna del loro atomo. L'idrogeno ha un solo elettrone, l'elio ne ha due: per l'orbita più vicina al nucleo, o strato K, la configurazione a due elettroni rappresenta un assetto stabile e chiuso, e infatti l'atomo dell'elio è inerte dal punto di vista chimico perché non tende a cedere o ad acquistare facilmente elettroni per formare dei composti. Nell'elemento di numero atomico immediatamente successivo all'elio, il litio, il nuovo elettrone non va quindi a inserirsi nello strato K, ma in un nuovo strato più esterno, che si indica con L: il litio viene così a presentare, nello strato elettronico più esterno, un solo elettrone. Passando agli elementi successivi, i nuovi elettroni vanno tutti a disporsi nello strato L, fino a che questo nel neo viene a contenerne otto; per lo strato L questo numero di elettroni corrisponde a una configurazione di alta stabilità, per cui il neo è, come l'elio, un elemento del tutto inerte dal punto di vista chimico. Nel sodio, e cioè nell'elemento che segue il neo, il nuovo elettrone va quindi a iniziare un altro strato, lo strato M: il sodio viene quindi ad avere nel suo strato più esterno un solo elettrone, come il metallo alcalino a lui soprastante nel sistema periodico, e cioè il litio, e ciò spiega la grande analogia di proprietà tra i due elementi. In modo analogo, l'elemento che segue il sodio, ossia il magnesio, presenta due elettroni nello strato più esterno, esattamente come il berillio a lui soprastante nel sistema periodico, a cui è quindi del tutto analogo, e così via. Le proprietà degli elementi di transizione del primo grande periodo si spiegano con il fatto che lo strato L risulta stabile con l'assetto a otto elettroni quando è lo strato più esterno dell'atomo; quando invece esso è circondato dallo strato M completo, come nell'argo, può accogliere nuovi elettroni, fino a un totale di 18 che si raggiunge con lo zinco. Lo scandio, primo elemento di transizione del primo grande periodo, presenta quindi due elettroni nello strato più esterno, ma nello strato sottostante un elettrone aggiuntivo che può anch'esso intervenire nella formazione di legami chimici. In modo analogo si spiegano le proprietà degli elementi dei successivi grandi periodi. Per la configurazione elettronica degli elementi, vedi anche atomo.

Gli elementi chimici nella crosta terrestre

La distribuzione degli elementi nella crosta terrestre è quanto mai varia ed è estremamente difficile determinare la reale quantità di ciascuno di essi. "Per gli elementi presenti nella crosta terrestre con concentrazione superiore a 1000 g/t e la concentrazione media in g/t nella crosta terrestre di alcuni elementi considerati 'comuni'vedi tabelle al lemma dell'8° volume." "Vedi le due tabelle (Elementi presenti nella crosta terrestre con concentrazione superiore a 1000 g/t e Concentrazione media nella crosta terrestre di alcuni elementi considerati “comuni” in g/t) alla pagina 519 dell’8° volume." Alcuni elementi in genere considerati rari, come per esempio il rubidio e lo zirconio, sono assai più abbondanti di altri considerati comuni, come per esempio il piombo e lo zinco; ciò è da attribuire al diverso stato di suddivisione degli elementi: mentre alcuni sono sempre presenti in piccole quantità in tutte le rocce, altri si trovano concentrati in determinati giacimenti. In base a una valutazione comparativa dei più recenti studi geochimici sull'abbondanza degli elementi nella crosta terrestre, si ricava che solo 12 elementi hanno una concentrazione superiore a 1000 g/t: complessivamente rappresentano ben il 99,4% del totale ponderale; che 46 altri presentano una concentrazione tra 1 e 1000 g/t e che per i restanti 22 la concentrazione è inferiore a 1 g/t. Gli elementi più frequenti sono quelli appartenenti al primo periodo del sistema periodico, cioè i metalli leggeri e i non metalli, mentre i più rari sono gli elementi dell'ultimo periodo, cioè i metalli pesanti. I rapporti quantitativi tra i diversi elementi chimici si spostano grandemente passando agli strati più interni della Terra. Sotto la crosta terrestre si suppone l'esistenza di uno strato a silicati, seguito da uno strato a ossidi e a solfuri che si estende fino al nucleo centrale composto in prevalenza da ferro e nichel. Tale ipotesi è confortata dalla composizione chimica e mineralogica dei tre diversi tipi di meteoriti noti: le sideriti composte da leghe ferro-nichel, le sideroliti costituite in prevalenza da ferro, nichel, silicati e solfuri, le aeroliti composte prevalentemente da silicati. In base alla preferenza che ciascun elemento chimico dimostra per una delle tre fasi principali presenti nelle meteoriti, fu proposta una classificazione empirica degli elementi secondo la quale sono detti siderofili gli elementi che tendono ad associarsi al ferro metallico, calcofili quelli che si combinano facilmente con lo zolfo e litofili quelli che tendono a formare con l'ossigeno e il silicio i silicati; inoltre in un quarto gruppo, quello degli elementi atmofili, sono inclusi gli elementi presenti in prevalenza nell'atmosfera. In seguito gli studi cristallochimici hanno confermato che la distribuzione degli elementi dipende dalla loro affinità chimica; il maggiore responsabile del carattere geochimico di un elemento sembra essere il valore atomico che condiziona anche il tipo di legame: infatti gli elementi litofili, con dimensioni atomiche notevoli, formano prevalentemente legami ionici; gli elementi siderofili, di dimensioni ridotte, formano invece legami metallici, mentre gli elementi calcofili e atmofili, con dimensioni atomiche intermedie, formano legami covalenti.

Gli elementi chimici nel cosmo

I dati che si hanno a disposizione sull'abbondanza degli elementi nel cosmo sono affetti da una grande incertezza e sono riferiti solo all'abbondanza relativa, sono, cioè, rapporti fra quantità di atomi dei vari elementi. I dati provengono da analisi dirette di meteoriti e da analisi spettroscopiche delle nebulose planetarie, del materiale interstellare e delle atmosfere del Sole e delle stelle. Dati indiretti si ricavano per estrapolazione dalle nostre conoscenze dell'interno della Terra, del Sole e delle stelle. Escludendo la Terra, di cui si è già detto nel capitolo di geochimica, per gli altri oggetti cosmici investigati, si può notare che, in media, idrogeno ed elio sono di gran lunga gli elementi più abbondanti nell'Universo; il logaritmo dell'abbondanza relativa è inversamente proporzionale al numero atomico Z, con grande dispersione fra i dati e con l'eccezione degli elementi leggeri litio, berillio, boro, decisamente sottoabbondanti, e di alcuni del gruppo del ferro e del piombo, che presentano un'abbondanza superiore rispetto a quanto previsto dalla suddetta legge di proporzionalità inversa; gli elementi con numero atomico pari sono generalmente più abbondanti rispetto a quelli con numero atomico dispari (regola di Harkin). Rispetto a questa distribuzione esistono eccezioni; per esempio, nelle stelle, ognuna delle quali sarebbe tuttavia da considerare come un caso a sé stante, si incontrano raggruppamenti di elementi con abbondanze che si allontanano sensibilmente dalla distribuzione indicata precedentemente. § Le teorie correnti sugli equilibri energetici che governano le stelle concordano nel fatto che tutti gli elementi chimici, a partire dall'elio, fino a giungere al gruppo del ferro, abbiano potuto realizzare la propria sintesi in seno ai noccioli stellari in condizioni termiche opportunamente elevate. Gli astrofisici inglesi M. e G. Burbidge, W. A. Fowler e F. Hoyle hanno dimostrato che i processi coinvolti sono descrivibili in sette tipologie, ciascuna delle quali si mostra in grado di fornire energia alla massa stellare grazie alla conversione degli stati dei nucleoni reagenti in stati energeticamente più “legati”. A partire da livelli termici dell'ordine di 107K, e in progressione con le temperature raggiunte negli interni stellari, tali processi sono: processo p-p con la sintesi di 4 protoni (nuclei d'idrogeno) in un nucleo di elio; processo α con la progressiva associazione di nuclei d'elio in quelli di elementi con numero atomico multiplo di 4 (berillio, carbonio, ossigeno, neo, ecc.); processo dell'equilibrio rappresentato da catene reattive svolgentisi a temperature superiori a 109K nelle quali la fotodissociazione favorisce la formazione dei nuclei del gruppo del ferro (ferro, cobalto, nichel, iridio, ecc.) con liberazione di neutroni, protoni e particelle α (nuclei di elio). Il flusso neutronico dà a sua volta luogo alle seguenti reazioni: processo-s (dall'inglese slow, lento) che, mediante cattura graduale di neutroni da parte dei nuclei già sintetizzati, e loro successivo decadimento in protoni, conduce a formazione gli elementi più pesanti del ferro (nonché altri leggeri dotati di numero atomico non multiplo di 4); processo-r (dall'inglese rapid, veloce) verificantesi di preferenza quando la stella eplode in supernova e, in seguito all'incorporamento massiccio e istantaneo della gran massa di neutroni resisi disponibili, ha luogo la sintesi degli isotopi pesanti e instabili. La presenza di protoni liberi dà invece luogo al processo-p ove alla cattura da parte di un nucleo pesante segue ancora la formazione di nuclei a numero atomico crescente. Infine, il processo di frammentazione, che vede la dissociazione di elementi pesanti, presenti nello spazio interstellare e/o nelle atmosfere stellari, per effetto del bombardamento da parte di particelle ad altissima energia (raggi cosmici, emissione da supernova, ecc.); il processo conduce alla formazione di deuterio, litio, boro, berillio, andando a compensare parzialmente la carenza di tali elementi leggeri, nel quadro generale delle abbondanze chimiche, che si verifica poiché i suddetti vengono “bruciati” con facilità nelle stelle. La visione più realistica circa la struttura chimica dell'universo lascia quindi comprendere come l'azione di nucleosintesi ininterrottamente condotta dalle stelle abbia finito col produrre nel tempo una lenta ma progressiva trasmutazione del fluido cosmologico iniziale arricchendolo di tutti gli elementi più complessi che oggi vediamo conferire varietà agli aspetti della natura. Peraltro, è anche opinione che la composizione del fluido primordiale, con una preponderanza assoluta d'idrogeno rispetto all'elio, non debba apparire oggi tanto modificata da aver perduto traccia dei suoi caratteri originari. Gli elementi chimici diversi dall'elio, sintetizzati nel corso delle generazioni stellari che si sono andate succedendo, non rappresentano che il 2% in massa del contenuto cosmico. Il 25% consiste di elio; il restante è idrogeno, l'elemento più semplice ritenuto concordemente di sicura origine cosmologica.

G. Bruni, Chimica generale e inorganica, Milano, 1960; L. Malatesta, Chimica generale, Milano, 1961; L. Pauling, Chimica generale, Milano, 1963; Autori Vari, Enciclopedia internazionale di chimica, Roma, 1971; W. H. Slabaugh, T. D. Parson, Chimica generale con elementi di sistematica inorganica e organica, Bologna, 1986.

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