Lessico

sf. [sec. XIII; latino ].

1) Astro provvisto di luce propria: il Sole è la più vicina a noi. Nel linguaggio com., ogni corpo celeste che appaia in forma di punto luminoso: le brillano nella notte; “e quindi uscimmo a riveder le stelle” (Dante); stella polare; di Natale o di Betlemme o dei Re Magi, quella che avrebbe guidato i Magi verso la grotta di Betlemme dopo la nascita di Gesù; del mare, mattutina, nella liturgia cattolica, epiteti della Madonna.

2) Al pl., in molte loc. estens., indica genericamente il cielo, la volta celeste: sotto le , sulla Terra: “Fu detto non essere sotto le stelle una simile coppia” (Boccaccio); dormire sotto le , all'aperto; una notte di , col cielo stellato, sereno; portare, levare uno alle , esaltarlo entusiasticamente; grida che arrivano alle , fortissime; salire, andare, arrivare alle , di prezzo che aumenta enormemente. Fig.: vedere le , provare un forte dolore fisico. Spesso iperbolico, per indicare luminosità, bellezza eccezionale: “Ebano i cigli e gli occhi eran due stelle” (Petrarca); quindi anche persona, specialmente donna o bambino, molto bella o molto cara, che ispira affetto e simpatia: quel ragazzo è una . Oggi frequente per indicare una celebrità e specialmente un'attrice (meno com. un attore) di grande successo (sul modello dell'inglese star): è stata una del cinema muto.

3) Sorte, destino, in quanto si riteneva che le vicende umane fossero regolate dagli astri: essere nato sotto una buona, una cattiva , essere particolarmente fortunato o sfortunato; speriamo che cambi la nostra .

4) Oggetto, immagine, disposizione che presenti una forma simile a quella con cui solitamente si rappresenta un astro, cioè una forma poligonale terminante a punte, per lo più cinque o sei: una di carta, di stoffa; disegnare, incidere una ; dello sperone, la rotellina fissata all'estremità; stella filante; a , disposto secondo tale forma: aiuole a . In particolare, come distintivo o emblema di Stati, partiti, organizzazioni e simili: la bandiera degli Stati Uniti ha tante quanti sono gli Stati; la di David o di Israele. Anche nome di diverse decorazioni di forma simile: al merito del lavoro. Con accezioni più specifiche: A) macchia, chiazza tondeggiante dal contorno a punte irregolari: cavallo con mantello rossastro e bianca in fronte. B) Goccia di grasso che galleggia su un liquido: brodo pieno di . C) In geometria dello spazio, una delle forme fondamentali di 2a specie. Se ne hanno due tipi fra loro duali: la di rette, cioè l'insieme delle rette passanti per un punto, detto centro o sostegno della ; la di piani, cioè l'insieme dei piani per un punto, centro o sostegno della stella. Si distingue tra propria o impropria a seconda che il centro sia un punto proprio o improprio. D) In elettrotecnica, collegamento a stella. E) In ottica, artificiale, sorgente praticamente puntiforme utilizzata nelle esperienze di ottica; può essere ottenuta in vari modi, per esempio concentrando sul forellino di un diaframma, mediante una lente convergente, il fascio uscente da una sorgente luminosa. La stella artificiale è il forellino del diaframma. F) In telefonia, rete a , rete in cui le sottocentrali periferiche sono direttamente interconnesse con una centrale principale a sua volta direttamente collegata a un centro di smistamento del traffico interurbano. G) In pirotecnia, fuoco utilizzato di solito quale guarnizione di altri più grandi, costituito da sottili cartocci contenenti polveri spesso di vari colori confluenti in un solo centro; può dare getti luminosi o brevi lampi terminanti in un'esplosione (stella detonante). H) Nel pattinaggio artistico su rotelle, particolare salto degli esercizi integrativi. I) Decorazione data dal CONI ad atleti per particolari meriti sportivi: nella motonauticaper esempio viene conferita dalla federazione ai campioni quando raggiungono la 25a vittoria. J) Distintivo di grado adottato dagli eserciti italiano, francese e americano. La stella, sempre come distintivo di grado, ma a 6 punte, era già stata adottata dall'esercito asburgico. La rossa era anche un'onorificenza istituita dal Presidium dell'URSS nel 1930 e veniva conferita per meriti particolari ai membri delle forze armate.

5) Nello sport velico, lo stesso che star.

6) Nel gioco dei tarocchi, nome di un trionfo.

Astronomia

Nel linguaggio popolare, stelle sono tutti gli oggetti celesti visibili nel cielo a eccezione della Luna e del Sole; in epoca classica, anche dagli astronomi, le stelle venivano chiamate fisse, in contrapposizione ai pianeti, in moto attraverso il cielo, alla Luna e al Sole: questa distinzione non è però corretta, in quanto anche le stelle sono, rispetto a opportuni sistemi di riferimento, in moto, anche se l'entità di tale moto è molto inferiore a quella dei pianeti. La stella a noi più vicina, dopo il Sole, distante 150.000.000 km ca., è Proxima Centauri, lontana 1,31 parsec, pari a ca. 30 milioni di milioni di chilometri. Le più lontane stelle ancora discernibili come oggetti celesti singoli sono poste in galassie distanti decine di milioni di parsec. A causa della loro grande distanza, le stelle appaiono, anche con i più potenti telescopi, come punti luminosi; la determinazione delle loro dimensioni e luminosità è disturbata dalla turbolenza atmosferica; per lo stesso motivo, i loro movimenti, anche se cospicui in valore assoluto rispetto alla Terra, ci appaiono misurabili solo mediante osservazioni eseguite in continuazione per anni. La determinazione della posizione delle stelle sulla sfera celeste, rispetto a opportuni sistemi di coordinate, è problema dell'astrometria, così come è compito di questa studiare le variazioni di coordinate dovute sia alla Terra (irregolarità nel moto di rotazione di questa), sia a cause intrinseche delle stelle (moti propri); la natura, la struttura, lo stato fisico ecc. delle stelle sono studiati dall'astrofisica nel più ampio contesto cosmologico. Di una stella si può misurare direttamente lo splendore, sia relativo in una scala di magnitudini apparenti, sia assoluto qualora ne sia nota la distanza, ovvero la parallasse, anch'essa direttamente deducibile da osservazioni esatte di posizioni sulla sfera celeste per stelle distanti fino a un centinaio di parsec, o desumibile indirettamente da altre osservazioni nel caso delle stelle più lontane. La magnitudine assoluta di una stella è indicativa della quantità totale di radiazione emessa dalla stella stessa nell'unità di tempo, o luminosità. L'altra caratteristica di una stella desumibile direttamente dalle osservazioni, e dalla quale viene tratta la quasi totalità delle informazioni di carattere fisico, è costituita dal suo spettro. Dall'esame dello spettro si può infatti, mediante semplice ispezione, desumere la presenza dei vari elementi atomici e il loro stato di ionizzazione ed eccitazione (facendo naturalmente riferimento ad analoghi dati di laboratorio) e risalire, mediante calcoli relativamente complessi, a un intervallo di temperatura per gli strati superficiali della stella (quelli che emettono la radiazione osservata e analizzata) e alle percentuali numeriche dei vari elementi atomici quivi esistenti. Ulteriori misurazioni, basate sull'effetto Doppler, permettono poi di determinare la componente radiale rispetto alla Terra della velocità della stella, facendo riferimento a uno spettro di confronto. La conoscenza del moto della Terra attorno al Sole e del Sole nello spazio permettono infine di prescindere da entrambi questi movimenti e di calcolare il moto assoluto della stella nella galassia cui appartiene. La classificazione più importante delle stelle è la cosiddetta classificazione di Harvard, proposta nei primi anni di questo secolo da E. C. Pickering e A. J. Cannon, che compilarono anche il catalogo HD (Henry Draper Catalogue). Nella catalogazione le stelle sono raggruppate in una sequenza di temperature decrescenti, definite in base alla composizione spettrale della radiazione emessa. Questa composizione della luce delle stelle assomiglia molto a quella del corpo nero e, poiché il massimo di emissione di quest'ultimo si ha per lunghezze d'onda diverse a seconda della temperatura, è possibile classificare le stelle in base al valore di tale massimo e quindi in base alla loro temperatura superficiale. Quanto più alta è la temperatura, tanto più corta è la lunghezza d'onda che corrisponde al massimo di emissione della stella. È questa la legge di Wien, o dello spostamento, valida per lo spettro del corpo nero. Una stella dall'apparenza rossastra ha quindi il massimo di emissione nel rosso, cioè nella zona delle lunghezze d'onda maggiori; una stella dall'apparenza bianca o blu ha invece il massimo nella zona delle lunghezze d'onda più corte. Le stelle bianche e blu sono pertanto più calde di quelle rosse. La sequenza di Harvard è una classificazione delle stelle per tipi o classi spettrali, ordinate secondo valori decrescenti della temperatura distinti dalle lettere O-B-A-F-G-K-M. Per quanto la maggior parte delle ca. 255.000 stelle elencate nel catalogo HD rientri in questa classificazione, ve ne sono però alcune del tutto particolari. All'estremità della sequenza corrispondente alle stelle più fredde si possono associare alcune stelle nel cui spettro sono presenti con forte intensità gli spettri a bande del carbonio e del cianogeno. Sono queste le stelle dette di tipo C nelle quali oggi si conglobano le stelle classificate un tempo come di classe spettrale R e N, entrambe con temperatura compresa tra 1500 e 3000 K. La differenza sostanziale con le stelle di tipo M, che si trovano alla stessa estremità della sequenza di Harvard, consiste nella presenza nel loro spettro delle bande caratteristiche dell'ossido di zirconio. All'estremità opposta della sequenza, in corrispondenza delle caldissime stelle di tipo O, si possono collocare le stelle dette di Wolf-Rayet, caratterizzate da uno spettro in cui sono presenti larghe righe di emissione caratteristiche del carbonio (stelle WC) e dell'azoto (stelle WN). Nella classificazione di Harvard ciascuna delle classi spettrali è suddivisa in 10 sottoclassi, dallo 0 al 9. In essa, il nostro Sole viene per esempio considerato di tipo G, sottoclasse 1, cioè G1. Poiché la distribuzione spettrale della radiazione emessa da una stella assomiglia molto a quella emessa da un corpo nero, ne consegue che la magnitudine di una stella misurata a una lunghezza d'onda λ₁ differirà, in genere, da quella misurata a una lunghezza d'onda λ₂: la differenza fra la magnitudine a lunghezza d'onda maggiore e quella a lunghezza d'onda minore si chiama indice di colore. Tra indice di colore internazionale (per il quale le lunghezze d'onda di misura sono di 430 e 540 nm) e tipo spettrale esiste una relazione di quasi proporzionalità, nel senso che l'indice di colore ha un valore tanto più positivo quanto più avanzato è il tipo spettrale. La misurazione delle temperature corrispondenti a ogni tipo spettrale avviene esaminando l'intensità della radiazione emessa dalle stelle di ogni tipo spettrale a diverse lunghezze d'onda e confrontando le osservazioni con i corrispondenti dati relativi al corpo nero a diverse temperature. Per altra via, conoscendo a quali temperature ogni elemento atomico si ionizza e conoscendo quali righe spettrali emette in ogni stato di ionizzazione, è possibile risalire alla temperatura corrispondente. Si sono ottenute così temperature comprese fra qualche migliaio di gradi per le stelle rosse più fredde (dei tipi spettrali M e N) fino a qualche decina di migliaia di gradi per le stelle di tipo O. Dall'analisi spettrale è risultato che la composizione chimica di tutte le stelle è sostanzialmente identica, infatti la presenza di composti molecolari in alcune stelle è dovuta alla bassa temperatura superficiale di queste; le possibili differenze, per quanto riguarda gli elementi più pesanti, si hanno fra stelle di differente popolazione per le quali possono essere esistite differenze iniziali di composizione. Misurazioni dirette di diametri stellari non sono ancora state possibili se non con tecniche interferometriche molto raffinate, realizzate da A. A. Michelson nel 1930 a Mount Wilson (e più recentemente da altri) che riuscì a misurare i diametri di alcune stelle giganti relativamente vicine (Arturo, Betelgeuse). È stato possibile misurare indirettamente le dimensioni di alcune componenti di stelle doppie, in base alla durata dell'eclisse, conoscendo la velocità orbitale relativa delle due componenti. Teoricamente, in base alla legge di Stefan e Boltzmann, valida per il corpo nero e approssimata per una stella, è possibile, dalla conoscenza della temperatura superficiale, dedurre l'intensità totale della radiazione emessa per unità di superficie e nell'unità di tempo. Conoscendo anche la magnitudine assoluta, per confronto con i dati analoghi relativi al Sole, se ne possono dedurre le dimensioni. In ogni caso, le misurazioni teoriche e sperimentali hanno mostrato che le dimensioni delle stelle variano dall'ordine di un centinaio di diametri solari, per le stelle giganti e supergiganti, all'ordine del diametro dei pianeti; la scoperta delle pulsar e considerazioni teoriche sulla struttura stellare fanno presupporre però che esistano anche stelle (stelle a neutroni, buchi neri) con diametri di una decina di chilometri o meno ancora. Anche le masse delle stelle possono essere dedotte solo indirettamente. A. S. Eddington, nel 1924, trovò per via teorica una relazione tra massa e luminosità di una stella, nel senso che una stella è tanto più luminosa quanto più è massiccia; tale relazione era peraltro già nota per le poche stelle doppie visuali per le quali, conoscendo gli elementi dell'orbita e la distanza, si poteva calcolare la massa. Le masse stellari variano in un intervallo piuttosto ristretto, compreso fra ca. 1/10 e qualche decina di masse solari. Le densità delle stelle presentano variazioni molto più marcate, in corrispondenza con il vasto intervallo di dimensioni: le stelle giganti rosse hanno densità medie milioni di volte inferiori a quella dell'acqua (e a quella del Sole), mentre, all'estremo opposto, le stelle nane bianche osservate hanno densità milioni di volte superiori; densità ancora superiore devono avere le stelle a neutroni e i buchi neri. Va comunque notato che, come si è potuto osservare nel caso del Sole, la densità di una stella varia di molto fra l'interno e la superficie. Lo studio spettroscopico delle stelle ha permesso la scoperta di alcune altre particolarità. La presenza di righe in emissione nello spettro di alcune di esse ha innanzitutto portato a ritenere l'esistenza di nebulosità o di masse gassose brillanti, distinte dalle stelle: le righe spettrali stellari sono infatti tutte in assorbimento in quanto generate dai vari elementi atomici presenti nell'atmosfera stellare (quella che si chiamava strato d'inversione) vista sullo sfondo della più luminosa e più calda zona centrale, che presenterebbe uno spettro tutto in emissione. La forma delle righe spettrali è poi da collegare, anche se non esiste una relazione molto precisa, con le dimensioni della stella: le stelle supergiganti e giganti presentano infatti spettri con righe molto nette, in quanto nelle loro estese e tenui atmosfere sono relativamente poco importanti i moti di turbolenza, che provocherebbero, per collisione, un allargamento delle righe spettrali; il contrario accade nelle stelle di dimensioni minori, nelle quali la maggior densità delle atmosfere provoca un maggior numero di collisioni per unità di tempo. L'allargamento delle righe spettrali stellari può aver origine anche in due altri fenomeni, difficili da distinguere fra loro e da osservare. Il primo è quello della rotazione della stella su se stessa: si ha in questo caso un allargamento delle righe spettrali, più facilmente verificabile quando la stella fa parte di un sistema doppio a eclisse e quando l'asse di rotazione è perpendicolare alla congiungente Terra-stella; si è potuto così constatare che esistono velocità di rotazione periferiche fino a qualche centinaio di km/s, che, conoscendo le dimensioni delle stelle corrispondenti, portano a velocità angolari di una rotazione ogni poche ore. In genere, le stelle dei primi tipi spettrali hanno velocità di rotazione superiori; in particolare, le stelle di tipo A sono quelle con le più alte velocità di rotazione. L'altro fenomeno che può provocare un allargamento delle righe spettrali è il ben noto effetto Zeeman, che consiste nella suddivisione delle righe spettrali in presenza di campi magnetici. Per piccole separazioni non si possono distinguere le singole righe prodotte dalla suddivisione della riga originaria, che appare allora semplicemente più allargata. La presenza di campi magnetici stellari, deducibile indirettamente in quanto campi magnetici esistono anche nelle macchie solari, si rivela spettroscopicamente dotando lo spettroscopio di un polarizzatore: le due ali della riga allargata magneticamente sono infatti polarizzate differentemente. Molte stelle, in particolare di tipo A, possiedono campi magnetici molto intensi, fino a qualche migliaio di gauss, spesso variabili di polarità e di intensità e sempre associati a variabilità nello spettro e a peculiarità nelle abbondanze di taluni elementi atomici, metallici in particolare. I diversi parametri fisici che caratterizzano una stella sono tutti legati fra loro; massa, dimensioni e densità sono legati dalla relazione valida per il Sole e i pianeti, così pure l'accelerazione di gravità sulla superficie dipende dalla massa e dalle dimensioni della stella, mentre si è già osservato come esista una proporzionalità fra massa e luminosità, non rispettata però da stelle supergiganti, giganti e nane che si trovano in condizioni di instabilità. Luminosità L, raggio R e temperatura superficiale T di una stella sono legati fra loro dalla relazione L=4δT4R², dove δ è una costante. Dato che il tipo spettrale di una stella dipende dalla temperatura e dall'accelerazione di gravità superficiale, quindi anche dalla pressione superficiale (in quanto temperatura e pressione determinano da una parte il grado di ionizzazione degli elementi atomici presenti e dall'altra l'intensità delle righe spettrali generate), ne consegue che, trascurando rotazione e campo magnetico, probabilmente dipendenti da altre caratteristiche fisiche, quattro soli parametri definiscono completamente lo stato fisico di una stella, cioè massa, luminosità, dimensioni e composizione chimica. In linea teorica, però, solo massa e composizione chimica dovrebbero essere determinanti per la struttura di una stella. Dalla diagrammazione dei valori di due parametri fondamentali, luminosità e tipo spettrale (o parametri equivalenti) osservati in un gruppo omogeneo di stelle (per esempio appartenenti a un ammasso), si ottiene il diagramma di Hertzsprung e Russell (spesso abbreviato in diagramma H-R) , di estrema importanza nell'astronomia stellare e base di fondamentali scoperte. Il diagramma H-R ha mostrato innanzitutto che non tutte le combinazioni fra tipo spettrale e magnitudine assoluta sono permesse, in quanto il diagramma non è tutto uniformemente occupato dai punti rappresentativi delle stelle, che sono invece concentrati in ben determinate zone. La maggior parte delle stelle è concentrata su una striscia relativamente ristretta che si trova pressappoco lungo la diagonale principale del diagramma (sequenza principale), un numero relativamente piccolo di punti si trova sparpagliato al di sotto della sequenza principale (zona delle nane bianche), mentre al di sopra di questa si hanno concentrazioni di punti nelle tre zone, all'incirca orizzontali, delle subgiganti, delle giganti e delle supergiganti; la sequenza principale è chiamata anche, talvolta, zona delle stelle nane. Le giganti sono caratterizzate da magnitudini superiori, dimensioni pure superiori e densità inferiori. Le stelle giganti possono essere riconosciute come tali in base a osservazioni spettrografiche, determinandone, per esempio, l'intensità e la larghezza di talune righe o bande spettrali. Le stelle giganti possiedono classi di luminosità II o III. Tra la sequenza principale e la zona delle giganti si trova la lacuna di Hertzsprung. Il confronto fra il diagramma H-R per il centinaio di stelle più prossime al Sole e l'analogo diagramma per tutte le stelle delle quali è nota la magnitudine assoluta e il tipo spettrale (o l'indice di colore) mostra che la zona delle giganti e delle supergiganti, pressoché vuota nel primo caso, è invece fittamente popolata nel secondo: il motivo di questo sta nel fatto che le stelle giganti, avendo una luminosità molto elevata, sono osservabili anche a distanze molto maggiori rispetto alle stelle della sequenza principale. Il diagramma relativo alle stelle più prossime al Sole dà quindi una rappresentazione corretta della distribuzione delle stelle dei vari tipi di magnitudine superiore a ca. 11m. Si deduce, in base a semplici considerazioni statistiche, che devono esistere, entro un raggio di ca. 10 parsec dal Sole, almeno 250 altre stelle di magnitudine compresa fra 11m e 17m. Il diagramma, o la funzione numerica, che collega la distribuzione del numero di stelle con la relativa luminosità è detto funzione di luminosità. Tale funzione è ottenuta contando il numero di stelle per unità di area, per esempio per grado quadrato, che possiedono la medesima luminosità (o magnitudine assoluta). Il metodo è ovviamente limitato alla distanza di qualche centinaio di anni luce alla quale si può ancora misurare con precisione la distanza di una stella e ha portato, nell'ambito della statistica stellare, alla definizione della struttura galattica. La questione della luminosità riconduce al secondo problema per il quale il diagramma H-R si è dimostrato utile: il fatto che il diagramma sia solo parzialmente occupato dimostra che il tipo spettrale non può essere l'unico parametro per una classificazione stellare sperimentale (fatto peraltro già noto teoricamente). Gli astrofisici spettroscopisti usufruirono della suddivisione in zone nette del diagramma H-R per attribuire a queste classi di luminosità differenti e definire così un secondo parametro sperimentale utilizzabile per una classificazione sperimentale. W. W. Morgan, P. C. Keenan e E. Kellmann (Atlas of Stellar Spectra, 1943) definirono una classificazione stellare bidimensionale, abbreviata in MKK. Rispetto alle zone tradizionali del diagramma H-R, le cinque classi di luminosità della classificazione MKK corrispondono, rispettivamente: alle supergiganti la classe I, alle giganti le classi II e III, alle subgiganti la IV e alle stelle della sequenza principale la classe V. Il Sole, per esempio, ha classe di luminosità V, e nel sistema MKK viene classificato come G1 V. Sono usate per scopi particolari anche altre classificazioni; per esempio, la classificazione di Barbier e Chalonge, che è basata sulla misura di caratteristiche spettrali sensibili agli effetti di temperatura e luminosità, e la classificazione di Strömgren, che è basata sulla misura dello splendore stellare in ristrette bande di lunghezze d'onda. Per le stelle più deboli è pressoché impossibile misurare la distanza e quindi stabilire quale sia la magnitudine assoluta; per esse sono inoltre altrettanto impossibili delle osservazioni spettrografiche; per queste stelle si può però agevolmente costruire il diagramma H-R (che assume significato solo se le stelle fanno parte di un gruppo omogeneo), utilizzando la magnitudine apparente in luogo di quella assoluta (purché naturalmente si trovino tutte alla stessa distanza) e, invece del tipo spettrale, l'indice di colore. Il diagramma così ottenuto è chiamato anche diagramma colore-magnitudine ed è stato utilizzato nello studio di ammassi e di associazioni stellari, per le quali è verificata la condizione di uguale distanza dalla Terra, ottenendo un doppio risultato: il primo è che, avendo a disposizione due diagrammi H-R, uno per stelle di magnitudine assoluta nota (per esempio quelle vicino al Sole) e l'altro da studiare, si può dedurre la distanza del gruppo di stelle in genere confrontando semplicemente le magnitudini corrispondenti, sui due diagrammi, a un uguale tipo spettrale. Il metodo può essere affetto da errore se le misure di magnitudine sono alterate dalla presenza, tra il gruppo di stelle e la Terra, di gas o polveri interstellari, che provocano un arrossamento anomalo delle stelle, facilmente rilevabile con metodi fotometrici a più colori. Il secondo risultato, peraltro imprevisto quando fu scoperto da W. Baade, fu quello dell'esistenza di gruppi di stelle aventi caratteristiche globalmente diverse, risultato che condusse lo stesso Baade, nel 1944, a postulare l'esistenza di popolazioni stellari in base ai differenti diagrammi H-R che presentavano. La figura illustra schematicamente quali sono le differenze fra i due tipi fondamentali di popolazioni, che comprendono, nei casi estremi, le stelle degli ammassi globulari (Popolazione II) e degli ammassi aperti (Popolazione I). .

Astronomia: evoluzione stellare

Lo studio dell'evoluzione delle stelle ha come scopo la determinazione dei diversi stadi, dalla nascita alla morte, attraverso cui passa una stella durante la sua esistenza. Poiché poi non tutte le stelle hanno una storia simile, questo campo dell'astronomia, o meglio dell'astrofisica, ha anche il compito di determinare i parametri che definiscono i diversi modi di sviluppo dei diversi tipi di stelle. Oggi si ritiene che le stelle nascano per lo più in gruppi, per condensazione da nubi di gas con densità migliaia di volte superiore a quelle della comune materia interstellare che le circonda: sono questi i globuli di Bok. Durante il processo di contrazione di un globulo di Bok, la materia di cui questo è composto si riscalda e comincia a emettere radiazione, ma solo nella banda dell'infrarosso. Oggetti di questo tipo, con forte emissione nell'infrarosso, sono stati osservati nella Nebulosa di Orione, nella stella V1057 del Cigno, nella Carena (la celebre stella Eta), nella costellazione di Cassiopea (W3-IRS5), e in numerosi altri centri. Il processo di contrazione dei globuli gassosi procede velocemente (è la fase di Hayashi, stadio di contrazione rapida che, per una futura stella equivalente al Sole, dura circa 30 milioni d'anni, diminuendo esponenzialmente con il crescere della massa) fino a riscaldare a sufficienza la concentrazione gassosa, in modo da stimolarne la luminosità. In questa fase, le protostelle sono ancora avvolte dalla matrice nebulare e appaiono soggette a forte variabilità: le si identificano anche come oggetti Herbig-Haro. La stella vera e propria comincia a esistere quando la temperatura diventa abbastanza alta (molti milioni di gradi) da innescare le reazioni termonucleari che producono energia per miliardi di anni durante tutta la vita della stella. L'avvio alla fase stellare appare contrassegnato da un impetuoso “vento” di radiazione che spazza i residui nebulari circostanti, fenomeno detto fase di T Tauri; la stella si dimostra peraltro ancora fisicamente instabile. L'evoluzione successiva di una stella sarà condizionata da una serie di parametri, i più importanti dei quali sono la massa iniziale, la composizione chimica, e, in particolare, l'abbondanza relativa tra idrogeno ed elio e altri elementi. Poiché tutte le stelle di un ammasso si sono formate all'incirca nello stesso tempo e con una composizione simile, lo studio dell'evoluzione stellare può essere condotto sulla base dello studio comparato dei diversi diagrammi H-R ottenuti per diversi ammassi. In questo caso il parametro determinante per l'evoluzione di una data stella è unicamente la sua massa iniziale. Lo studio dell'evoluzione successiva della stella può essere effettuato studiando il diagramma H-R per le numerose stelle di un ammasso: lo stato della stella è a questo punto rappresentabile con un punto sulla destra della sequenza principale nel diagramma H-R. Allo stabilizzarsi delle reazioni termonucleari che ne hanno segnato la nascita, questo punto si sposta sulla sequenza principale in una posizione tanto più in alto e tanto più a sinistra quanto maggiore è la massa iniziale della protostella. Le dimensioni del nucleo, nel quale avvengono le reazioni, e così pure la temperatura, variano secondo la massa iniziale della stella: quanto maggiore è questa, tanto maggiore è la temperatura raggiunta nel suo interno e tanto minore è la zona di produzione di energia. Generalmente questa è dovuta, nelle stelle a massa maggiore, alle reazioni del ciclo carbonio-azoto, che richiedono temperature maggiori, mentre in stelle di massa relativamente piccola, dell'ordine di quella del Sole, prevalgono le reazioni protone-protone (fusione diretta dell'idrogeno in elio). Una stella rimane sulla sequenza principale per la maggior parte della sua vita, infatti la sequenza principale dei diagrammi H-R è quasi sempre sovraffollata. In particolare, una stella di piccola massa (inferiore a quella del Sole) rimane sulla sequenza principale per miliardi di anni, mentre le più massicce e più luminose rimangono sulla sequenza principale pochi milioni di anni. Se la stella in formazione racchiude una quantità di materia troppo modesta (per esempio al di sotto di un decimo della massa solare) darà origine a un astro la cui temperatura centrale sarà bassa e le reazioni di nucleosintesi all'interno, semplici, deboli e instabili: nascerà una nana rossa, dalla temperatura superficiale anch'essa modesta (solo poche migliaia di K), un astro del tutto simile a Proxima Centauri, o alle stelle di Luyten, Wolf, Barnard. Masse protostellari inferiori al centesimo di quella del Sole non raggiungeranno mai la soglia termica per l'innesco delle reazioni energetiche e rimarranno perciò in stato di progressiva contrazione gravitazionale, durante la quale dissiperanno la propria energia interna, senza mai brillare di luce propria (è il caso dei grandi pianeti Giove e Saturno e di alcuni astri individuati di recente, che, per il loro irraggiamento termico, sono classificabili come vere e proprie stelle abortite, le cosiddette nane oscure). L'effettiva evoluzione della stella, cioè lo spostarsi del suo punto rappresentativo sul diagramma H-R, inizia quando tutto l'idrogeno del nucleo si è consumato e le reazioni nucleari cominciano ad avvenire anche in uno strato sempre più esterno, mentre il nucleo inizia a contrarsi gravitazionalmente. Il corso dei processi a questo punto si differenzia secondo la massa della stella: per una stella di massa inferiore o di poco superiore alla massa del Sole la contrazione del nucleo porta a una liberazione di energia che fa espandere gli strati più esterni della stella, portandola così nella zona delle giganti. Iniziano, in questa fase, le reazioni di trasformazione dell'elio del nucleo dando luogo a un'instabilità del nucleo stesso: la temperatura del nucleo, e della stella, aumenta e la stella si sposta verso sinistra sul diagramma H-R, attraversando una zona di pulsazione (la zona delle stelle variabili), prodotta, probabilmente, dall'alternarsi di stati di degenerazione e di normalità nel nucleo. Successivamente, la stella, esaurito tutto il combustibile nucleare e non avendo più a disposizione energia gravitazionale per aumentare la propria temperatura fino a innescare reazioni che producano elementi più pesanti, si trasforma gradualmente, contraendosi molto lentamente, in una nana bianca. Nelle stelle di grande massa tutti i processi sono accelerati ed essendo in particolare superiore la temperatura, sono anche differenziati. Infatti, nelle stelle massicce, al primo episodio di instabilità conseguente all'esaurimento dell'idrogeno nucleare, segue un riscaldamento interno sufficiente a innescare nella massa di elio inerte reazioni volte alla sintesi del carbonio e dell'ossigeno; e ciò, mentre l'idrogeno riprende a “bruciare” in uno strato più esterno. La durata di questa fase di stabilità è valutabile in ca. un millesimo della permanenza in sequenza della stella. All'esaurimento dell'elio, si produce un nuovo episodio di instabilità gravitazionale che provoca la brusca contrazione della massa stellare e l'innalzamento della sua temperatura interna fin verso gli 800 milioni di K. A tali livelli termici, il carbonio e l'ossigeno entrano, a loro volta, in ciclo trasmutandosi in una serie di elementi pesanti che vanno dal magnesio, allo zolfo, al silicio. Il core della stella massiccia in questa fase si presenta “a buccia di cipolla”, vale a dire in una serie di strati concentrici entro i quali le reazioni di nucleosintesi in atto risultano ripartite a seconda della temperatura. L'esaurimento progressivo del combustibile nucleare diviene sempre più rapido con la complessità della sostanza reagente (le ultime reazioni hanno durate che si aggirano intorno a qualche decina d'anni) e suscita una serie di collassi della massa stellare che fa salire la temperatura interna fin oltre il miliardo di K. Allorché nel nocciolo della stella si innescano le reazioni che conducono alla sintesi del ferro, enormi quantità d'energia cominciano a dissiparsi per radiazione neutrinica e per fotodissociazione interna. La combinazione del ferro con elementi più pesanti non è capace di autosostentarsi, in quanto essa è endotermica (a differenza dei cicli reattivi precedenti, di natura esotermica) cioè assorbe energia, anziché produrne. Perciò, giunto a questa fase, l'astro massiccio è condannato. Privo di ogni sorgente di energia, sottoposto a incontenibile dissipazione interna, l'equilibrio si rompe bruscamente e l'intera massa crolla su se stessa, generando un lampo di radiazione d'intensità straordinaria la cui violenza proietta, di colpo, nello spazio gli strati stellari. Il fenomeno distruttivo è ciò che dà origine ad una supernova. Alla distruzione (più o meno integrale della stella) sopravvive l'ex nucleo termico, il core inerte, ridotto a una massa compatta di materia degenere che dà luogo a una a neutroni, caratterizzata da elevatissima densità (1014g/cm3) associata a dimensioni geometriche ridottissime (10-15 km di raggio) e all'elevatissima accelerazione gravitazionale di superficie (1010g); dotata di intenso campo magnetico, da questa stella possono emanare flussi impulsivi di radiazione sincrotronica (effetto pulsar). La massa critica, a partire dalla quale diviene possibile la formazione di una stella a neutroni, è stata determinata da S. Chandrasekhar, e risulta equivalente a 1,44 masse solari. Nelle stelle di massa comparabile con quella del Sole, le temperature del nocciolo non riescono a salire troppo; cosicché il ciclo delle reazioni si arresta a quello dell'elio, il collasso dell'astro non è catastrofico, e la stella si riduce a nana bianca, un corpo di materia degenere di dimensioni planetarie . In seguito all'evento di supernova e, molto probabilmente, anche durante lo stadio di gigante rossa – soprattutto se si tratta di un sistema binario stretto – una stella espelle parte della propria massa sotto forma di vento stellare producendo il fenomeno spettroscopico detto effetto P Cygni. È quindi ragionevole prevedere che la materia diffusa dalle stelle, composta anche da elementi più pesanti dell'idrogeno vada a far parte di stelle che si formano successivamente; questo vale in particolare per le stelle più massicce, che possiedono un'evoluzione accelerata e che, da quando esiste una galassia, avrebbero potuto riformarsi più volte. Così si rende conto del fatto che le stelle più recenti possiedono una composizione chimica differente. È questo anche il motivo della differenziazione fra stelle di popolazione diversa: quelle più antiche, di Popolazione II, appartenenti per esempio ad ammassi globulari, sono meno ricche di elementi pesanti rispetto alle stelle di Popolazione I degli ammassi aperti più recenti, nelle quali questi elementi sono stati osservati .

Astronomia: atmosfera e struttura delle stelle

La parte forse più studiata dal punto di vista teorico è l'atmosfera, definita genericamente come quella parte di una stella dalla quale ci giunge direttamente della radiazione. Infatti, la radiazione prodotta nel nucleo di una stella viene trasportata verso l'esterno per mezzo di meccanismi differenziati. L'interno di un astro molto meno massiccio del Sole (nana rossa) è probabilmente rimescolato per intero dalla convezione, ed è tale il meccanismo termico che lo pone in equilibrio con l'esterno; mentre le stelle di rango solare mostrano di possedere – intorno al core – almeno due zone a diverso equilibrio: radiativo in quella interna, convettivo nell'esterna. Nelle stelle di massa più elevata si prevede, al contrario, un nucleo convettivo circondato da un involucro radiativo. Nel trasporto energetico per via radiativa, la radiazione viene ripetutamente assorbita e riemessa dagli atomi che compongono la stella e, ogni volta, cede parte della sua energia trasformandosi in radiazione di lunghezza d'onda sempre minore. La conoscenza del coefficiente di assorbimento della materia stellare è essenziale per studiare la struttura interna di una stella. Il coefficiente di assorbimento della materia dei nuclei stellari è così grande che uno strato di materia dello spessore di qualche centimetro, in quelle condizioni di temperatura e di pressione (milioni di gradi e centinaia di migliaia di atmosfere), è perfettamente opaco; va notato che, date le temperature elevate in gioco, la radiazione all'interno di una stella possiede lunghezza d'onda brevissima (raggi X o gamma e ultravioletti): l'assorbimento in questo caso avviene per ionizzazione, per accelerazione di elettroni e per effetto Compton. Una volta che sia giunta negli strati più esterni di una stella, la radiazione incontra degli strati la cui opacità è sufficientemente bassa da permettere di attraversarli (anche perché la radiazione è degradata da lunghezze d'onda brevissime a lunghezze d'onda visibili o quasi). Anche in queste condizioni l'assorbimento di radiazione è importante, con la differenza che, mentre negli strati più interni l'assorbimento è del tipo continuo, negli strati esterni diviene importante anche l'assorbimento selettivo, in funzione della natura chimica degli elementi presenti e dello stato fisico in cui questi si trovano: si viene così a produrre uno spettro a righe, osservabile con uno spettroscopio, e che finora è stato l'unico mezzo di informazione circa la struttura delle atmosfere stellari. Solo a partire da una certa profondità, che dipende anche dalla lunghezza d'onda della radiazione, questa potrà lasciare la stella senza essere più riassorbita. Le atmosfere stellari, nelle quali vengono quindi a formarsi le righe spettrali, sono strati di gas aventi spessori che vanno da poche centinaia o migliaia di chilometri per le stelle della sequenza principale (o meno ancora per le stelle nane) fino a dimensioni comparabili con le dimensioni delle stelle stesse nelle supergiganti rosse ad atmosfera estesa (quali Arturo o Capella). Lo spessore dell'atmosfera è variabile anche secondo la lunghezza d'onda d'osservazione, in quanto l'opacità della materia che compone l'atmosfera dipende dalla lunghezza d'onda; inoltre, la parte centrale delle righe spettrali stellari più intense (uno spettro stellare è in assorbimento) è generata, statisticamente, da fotoni provenienti dagli strati più superficiali, mentre i quanti di radiazione che formano la parte continua dello spettro provengono anche dagli strati più profondi. Questo fatto sta a dimostrare che l'atmosfera di una stella non ha struttura omogenea e che non si trova in equilibrio termico, come è dimostrato anche dall'impossibilità di dedurre, con metodi differenti, un unico valore per la temperatura superficiale: per esempio, il Sole, di tipo spettrale G1, ha temperature che variano tra 4800 K e 7000 K secondo il metodo impiegato per la determinazione. Particolarmente studiato è il meccanismo di assorbimento e di riemissione della radiazione. Anche in questo caso, l'impiego di modelli, alcuni dei quali proposti da K. Schwarzschild e da A. S. Eddington, che rendessero conto della forma delle righe spettrali, ha condotto alla soluzione del problema della struttura delle atmosfere stellari. Attualmente si può ritenere pressoché completo il quadro generale dei fenomeni che intervengono ad attribuire a ogni singola atmosfera stellare la struttura caratteristica, mentre è in corso l'interpretazione dei singoli fenomeni, nonché delle peculiarità che sovente si incontrano nell'osservazione spettroscopica e fotometrica delle stelle. La struttura interna delle stelle, pur non essendo direttamente osservabile, può essere però dedotta per via teorica nelle sue linee essenziali e con precisione sempre crescente. La materia che forma una stella, date le condizioni di alta temperatura e di alta pressione, non può esistere che allo stato gassoso: questa massa di gas, perché una stella sia stabile, deve trovarsi in condizioni di equilibrio idrostatico, cioè in ciascun punto della stella la pressione gravitazionale esercitata dagli strati sovrastanti deve essere equilibrata dalla pressione di espansione dei gas interni che agisce in senso opposto. La temperatura, la pressione e la densità di una stella risultano quindi legate tra loro dall'equazione di stato, in cui interviene anche la composizione chimica; quest'ultima viene generalmente espressa da tre parametri che danno l'abbondanza dell'idrogeno, dell'elio e di tutti gli altri elementi (che gli astronomi chiamano impropriamente metalli), considerati globalmente. Nonostante l'alta densità in cui si trova il gas stellare, esso si può ancora considerare come gas perfetto, formato da nuclei ed elettroni, almeno nelle stelle normali. Il gas stellare, oltre che in equilibrio idrostatico, deve trovarsi in equilibrio termico e ciò porta a considerare i meccanismi, radiativo e convettivo, con cui avviene il trasporto dell'energia dal nucleo all'atmosfera. Nelle nane bianche e ancor più nelle stelle a neutroni – nelle quali bisogna tener conto anche degli effetti relativistici – il gas elettronico diventa degenere e in tal caso la pressione diventa indipendente dalla temperatura, secondo l'espressione “classica” per un gas degenerato Pd=h²m-8/3 ρ5/3 ove si è indicato con h=6,625×10 erg sec¹ la costante di Planck, con m la massa elettronica, e con ρ la densità.

Astronomia: le stelle doppie, generalità

Ca. il 20% delle stelle visibili a occhio nudo sono doppie; sono formate cioè da un sistema binario di due stelle singole in moto di rivoluzione attorno al comune centro di massa. Si ritiene che la percentuale di stelle doppie fra tutte quelle comprese nella galassia sia ancora superiore (dell'ordine del 50%). Delle 40 stelle comprese entro 5 parsec dal Sole 13 sono doppie e 2 sono triple. In un sistema binario la stella apparentemente più luminosa si chiama primaria e si indica con la lettera A, l'altra si chiama secondaria, B, o compagna. La distanza tra le due componenti può essere così piccola che si ha scambio di massa fra di esse; in alcuni casi, le due stelle sono perfino in contatto. All'altro capo della scala di distanza reciproca, si hanno separazioni che superano 100 volte la distanza di Plutone dal Sole: i periodi di rivoluzione, cioè il tempo impiegato dalla secondaria a completare un'orbita attorno alla primaria (al centro di massa), variano corrispondentemente tra poche ore e decine di migliaia di anni. Secondo la distanza reciproca e secondo la distanza da noi si possono, oppure no, osservare come separate le due componenti: nel primo caso, si suole parlare di doppie visuali, nel secondo di doppie spettroscopiche o fotometriche, secondo il metodo d'osservazione impiegato per la loro scoperta. Talvolta sono necessari anni di osservazione per poter distinguere una stella doppia visuale da una doppia ottica, cioè da quelle isolate la cui vicinanza fra le componenti è un fatto puramente prospettico. Solo quando, diagrammando le osservazioni, si deduce un'orbita ellittica, si può essere sicuri di aver osservato una vera stella doppia visuale. Le due componenti, in moto attorno al comune centro di massa, obbediscono alle leggi di Keplero; solo la formulazione della terza legge viene modificata per tener conto del fatto che le masse delle due componenti sono comparabili: si afferma, infatti, che il quadrato del periodo di rivoluzione è proporzionale al cubo del semiasse maggiore dell'orbita e inversamente proporzionale alla somma delle masse delle due componenti. Il loro moto non è però direttamente osservabile, se non come proiezione sul piano perpendicolare alla direzione che unisce la Terra con il sistema. L'osservazione di stelle doppie visuali consiste, in genere, nel misurarne il più frequentemente possibile la separazione angolare e l'angolo formato con la direzione N del cerchio orario passante per il sistema dalla semiretta uscente dalla primaria e diretta verso la secondaria. Una volta che sia conseguito un numero sufficiente di osservazioni (che coprano, ma non necessariamente, un'intera rivoluzione), numerosi metodi di calcolo, grafici o analitici, permettono di dedurre gli elementi orbitali, cioè sette parametri che definiscono completamente, dal punto di vista sia cinematico sia dinamico, il moto delle due componenti. Per quanto riguarda il calcolo degli elementi orbitali, dato il più elevato errore intrinseco nella determinazione delle posizioni delle stelle doppie, è necessario un numero di osservazioni molto maggiore che per i corpi del sistema solare. Fra queste si trovano stelle di tutti i tipi spettrali, con una relativa predominanza dei primi tipi; esistono stelle doppie nelle quali una componente è una gigante rossa e altre nelle quali una delle due componenti è una nana bianca. Le stelle doppie sono molto importanti in astrofisica in quanto hanno permesso le uniche determinazioni dirette delle masse delle stelle, delle loro dimensioni e densità, in base alle leggi di Keplero e conoscendone la distanza da noi. Le stelle doppie visuali si rivelano utili anche per la determinazione del potere risolutivo effettivo di un telescopio: esistono numerosi sistemi infatti le cui componenti possiedono all'incirca la stessa luminosità apparente, ma differente separazione angolare. La loro osservazione, in ordine di separazione decrescente, permette di conoscere il potere risolutivo effettivo del telescopio. Qualora non siano già indicate con una lettera o altra notazione in una costellazione, le stelle doppie vengono indicate con il numero progressivo con il quale vennero riportate dal rispettivo scopritore nel suo catalogo; in genere si usano delle abbreviazioni per indicare il catalogo: H sta per W. Herschel, h per J. Herschel, ADS per R. G. Aitken, e così via. I primi cataloghi erano l'elenco delle osservazioni compiute sulle diverse stelle doppie; successivamente si ampliarono fino a contenere tutte le osservazioni di stelle doppie, anche di altri osservatori precedenti. Attualmente l'uso dei cataloghi ha un significato storico, poiché tutte le osservazioni sono state memorizzate da elaboratori elettronici (in particolare all'US Naval Observatory di Washington e all'Osservatorio di Parigi) .

Astronomia: le stelle doppie, fotometriche e spettroscopiche

Le componenti di alcune stelle doppie sono così vicine fra loro, ovvero sono così lontane dalla Terra, da non essere più separabili neppure con un potente telescopio. In tal caso la natura della loro duplicità può essere rivelata solo in modi diversi dall'osservazione diretta. Il più antico metodo di rivelazione è quello di misurare le variazioni di luminosità: una componente di una tale stella, detta doppia fotometrica, può infatti, se il piano orbitale è abbastanza prossimo alla linea visuale, eclissare periodicamente la compagna, facendo quindi diminuire a intervalli di tempo regolari la luminosità del sistema. In questo modo G. Montanari nel 1671 scoprì la duplicità di Algol, la prima stella doppia scoperta. Le stelle doppie scoperte in questo modo devono essere attentamente studiate onde evitare che siano confuse con un particolare tipo di stelle variabili la cui luminosità oscilla con regolarità, ma che hanno differente natura. Un altro metodo di rivelazione è quello spettroscopico e consiste nello studiare, per un periodo di tempo sufficientemente lungo, lo spettro della stella: se le righe spettrali appaiono periodicamente sdoppiate e spostate dalla loro posizione teorica, ovvero se le righe compiono periodiche oscillazioni attorno a una posizione fissa, allora la stella è doppia (ed è detta doppia spettroscopica); lo spostamento delle righe spettrali, dovuto a effetto Doppler, è proporzionale alla proiezione della velocità della componente visibile sulla linea della visuale (velocità radiale). Nel caso delle doppie fotometriche, entrambe le componenti hanno all'incirca la stessa luminosità, mentre nel caso delle doppie spettroscopiche, che è il più frequente, una componente è meno luminosa di almeno una magnitudine dell'altra, che è allora l'unica osservabile. È evidente poi che all'osservazione spettroscopica appaiono doppie anche stelle che non appaiono tali all'osservazione fotometrica, in quanto le due componenti non si possono più eclissare se la linea della visuale forma con il piano orbitale un angolo superiore a un valore limite, che dipende dalle dimensioni delle due componenti e dalla loro distanza reciproca. Invece resta apprezzabile il valore della velocità radiale, in grado di produrre un effetto Doppler sensibile e osservabile sugli spettri. Ovviamente non sono discernibili come stelle doppie quelle stelle il cui piano orbitale forma con la linea della visuale un angolo prossimo a 90º, poiché in tal caso la velocità radiale sarebbe troppo piccola, se non nulla, per essere apprezzabile. Nelle stelle doppie spettroscopiche, l'osservazione degli spostamenti delle righe spettrali permette di risalire alla velocità radiale; l'osservazione continuata per un periodo di tempo sufficientemente lungo consente, per mezzo di metodi relativamente complessi, di risalire agli elementi orbitali. Per le stelle doppie spettroscopiche è però impossibile risalire all'inclinazione del piano orbitale, in quanto le variazioni della velocità radiale nel corso dell'orbita, unico dato d'osservazione, dipendono in ugual modo dall'inclinazione e dall'eccentricità dell'orbita. A causa della statisticamente minore distanza fra le due componenti, le stelle doppie spettroscopiche e fotometriche hanno periodi di variabilità, cioè di rivoluzione di una componente attorno alla compagna, in media inferiori rispetto alle stelle doppie visuali; il più breve periodo conosciuto è di 17,5 minuti, mentre il maggiore è di ca. 20 anni; per le stelle doppie visuali, i periodi vanno da 2,68 anni fino a decine di migliaia di anni. Le binarie spettroscopiche comprendono stelle di tutti i tipi spettrali, con una prevalenza dei primi tipi, soprattutto nei sistemi doppi più ravvicinati, mentre le stelle di tipo spettrale più avanzato si trovano soprattutto nei sistemi con i più grandi periodi orbitali. Dal punto di vista spettroscopico non esistono differenze sistematiche fra gruppi di stelle che ne permettano una classificazione; al contrario dal punto di vista fotometrico si possono effettuare classificazioni più nette. Se infatti si diagramma la luminosità totale del sistema in funzione del tempo (curva di luce), si nota che per alcuni sistemi la luminosità varia gradualmente dal massimo (entrambe le componenti visibili) al minimo principale (è visibile solo la componente meno luminosa), quindi ancora al massimo e poi al minimo secondario (è visibile solo la componente più luminosa). La situazione descritta può però essere più complicata, per esempio quando le due componenti hanno luminosità molto differente, oppure in presenza di atmosfere estese. Per altri sistemi, invece, il passaggio dal massimo al minimo avviene più bruscamente. Questi fenomeni hanno origine nel fatto che, nel primo caso descritto, le due componenti sono molto vicine fra loro e deformate quindi per la reciproca attrazione gravitazionale fino ad assumere una forma ellissoidica, che determina variazioni più lente della luminosità totale del sistema; nel secondo caso le due componenti, molto lontane fra loro, conservano una forma sferica. Queste differenze sono esemplificate nelle curve di luce delle stelle Algol (β Persei), β Lyrae e W Ursae Majoris, che rappresentano, nella classificazione proposta nel 1958 dall'International Astronomical Union, i prototipi di altrettante classi di stelle doppie dette distaccate, quasi a contatto e in contatto. Esistono tuttavia altre classificazioni che tengono conto, sia pure in modo più complicato e non immediato, anche di altre caratteristiche fisiche delle stelle. Le stelle doppie spettroscopiche si rivelano interessanti anche dal punto di vista dell'evoluzione stellare, quantunque, paradossalmente, poco si conosca riguardo i processi di formazione delle stesse stelle doppie (fra i vari processi proposti, il più probabile sembra essere quello di formazione contemporanea delle due componenti; sembrano invece da escludere processi di fissione e di cattura). Le stelle doppie, soprattutto quelle a contatto, presentano scambi di materia fra le due componenti con conseguente espulsione di materia dal sistema attraverso le zone di instabilità di questo. Nel corso dell'evoluzione di una delle due componenti, il passaggio allo stadio di gigante o supergigante può aver costretto l'atmosfera della stella, anziché a espandersi, a fluire lontano da questa, modificandone l'evoluzione successiva. Nelle trasformazioni cui può andare incontro un sistema binario, rivestono ruolo fondamentale i lobi di Roche relativi a ciascuna delle componenti. Si dimostra che, una volta giunta in fase di supergigante, è possibile che una delle due stelle riempia interamente il proprio lobo obbligando una parte di materia gassosa a fluire verso la compagna. Se quest'ultima è un astro compatto, già uscito di sequenza (nana bianca o astro a neutroni), il flusso viene energizzato dal fortissimo campo gravitazionale e, allorché impatta la superficie del centro attraente, dà origine a regioni attive più o meno permanenti (“macchie calde” sorgenti di radiazione X), oppure a vere e proprie recrudescenze di natura termonucleare che vengono dalla Terra avvertite come fenomeni di nova o di novoide. Recenti conteggi effettuati all'interno di una sfera di 25 parsec di raggio hanno portato al risultato che su 1574 stelle 428 sono doppie o multiple. Più in particolare, 372 sono doppie, 48 sono triple, 6 sono quadruple, 1 è quintupla e 1 è sestupla. Elaborando questi dati in riferimento alle stelle più distanti dalla Galassia si è arrivati alla conclusione che ca. il 54% di tutte le stelle appartiene a sistemi doppi o multipli. In altre parole, le stelle singole sono in minoranza rispetto a quelle facenti parte di sistemi multipli.

Astronomia: le stelle variabili

Sono variabili tutte quelle stelle la cui luminosità è funzione del tempo; attualmente si impiega il termine per definire quelle stelle per le quali le cause della variabilità sono da ricercarsi in variazioni delle condizioni fisiche e non in eclisse da parte di una compagna come nelle stelle doppie fotometriche. Un dato comune di quasi tutte le stelle variabili, che peraltro esistono in molti tipi diversi, è lo spettro, fortemente anomalo con intense righe di emissione. Numericamente, le stelle variabili sono circa quattro volte superiori alle stelle doppie fotometriche. Decidere se una stella è variabile, oppure no, richiede osservazioni continuate nel tempo, anche per anni, se si tratta di variabili a lungo periodo, in modo da poter giungere a tracciare una curva di luce ed eseguire una prima classificazione orientativa. Il metodo di misurazione della magnitudine della stella consiste nel confronto visuale con una stella vicina di luminosità costante, oppure, se si vuole una maggior precisione, nell'impiego di complesse apparecchiature elettroniche fotorivelatrici, che limitano gli errori di misura a meno di un centesimo di magnitudine. Le classificazioni esistenti delle stelle variabili sono basate principalmente sulla curva di luce e tengono poco conto delle altre caratteristiche fisiche della stella. Solo il 30% ca. delle stelle variabili è stato osservato spettroscopicamente e inoltre non sono disponibili teorie fisiche completamente accettabili sulle cause della variabilità di molte stelle, per cui è comprensibile l'adozione di tale criterio di classificazione. Ogni classe di stelle variabili prende il nome dalla stella prototipo per prima osservata: una prima suddivisione di massima avviene secondo la posizione sul diagramma di H-R; in maggioranza, per il 95% ca., si trovano nella regione delle giganti e supergiganti, mentre le rimanenti si trovano nella regione della sequenza principale o al di sotto di questa. A questa suddivisione corrisponde anche una differenziazione delle curve di luce: le stelle variabili giganti e supergiganti hanno nella quasi totalità curve di luce periodiche, regolari e semiregolari, tali cioè che la forma e l'ampiezza della curva si ripetono regolarmente con periodo di variabilità oscillante in un intervallo di valori piuttosto ristretto; le variabili della sequenza principale sono invece di tipo irregolare, eruttivo, con bruschi aumenti di luminosità irregolari nel tempo, se non addirittura singolari, accompagnati sempre da movimenti di materia. La suddivisione rispecchia anche una differente situazione fisica delle stelle, conseguente a differenti stadi evolutivi: le giganti e supergiganti sono in uno stadio di pulsazione conseguente all'esaurimento dell'idrogeno nel nucleo della stella, mentre le variabili della sequenza principale (novoidi, novae, supernovae) sono stelle giunte al termine della loro esistenza avendo esaurito tutto il combustibile nucleare nel loro interno. In una ulteriore suddivisione, vanno distinte, fra le giganti, le variabili cefeidi (dalla stella δ Cephei) dalle altre. Le cefeidi, nelle tre sottoclassi (del tipo di δ Cephei, W Virginis e RR Lyrae), si presentano come le più regolari nella loro variabilità; le altre classi presentano irregolarità più o meno marcate nelle loro variazioni. Lo stretto legame esistente tra il periodo della pulsazione delle cefeidi e la loro luminosità media ha consentito di utilizzarle come indicatrici di distanza; per mezzo del loro studio è stato possibile determinare le dimensioni della galassia nonché la distanza delle galassie più vicine. Tra le variabili eruttive, così dette per andare soggette a fluttuazioni sporadiche di luminosità, più o meno repentine, presumibilmente dovute a interazioni fisiche con astri compagni, si distinguono il tipo R Coronae Borealis (32 stelle) che si mantiene generalmente costante nel tempo ma va soggetto a brusche, ampie ed irregolari flessioni della luminosità; U Geminorum e z Camelopardalis che vanno soggette a incrementi disordinati dello splendore, con salite fotometriche rapide e discese molto più lente e RW Aurigae (1109 stelle) che deve la propria variabilità a interazioni con materia diffusa circostante. L'analisi spettroscopica a volte scorge, in qualche esemplare, la sovrapposizione di uno spettro di tipo avanzato su altro riferibile alle classi B, A: in tal caso si parla di simbiotiche. Il gruppo comprende anche stelle del tipo T Tauri, astri molto giovani, appena entrati in sequenza e ancora avvolti dalla matrice nebulare (da cui il loro nome di variabili nebulari). Seguono, infine, le variabili del tipo UV Ceti e delle stelle a brillamenti: si tratta di nane rosse, minuscoli astri di bassa temperatura e luminosità superficiale, che mostrano repentini incrementi dello splendore – una sorta di folgorazioni – durevoli pochi minuti, o qualche ora. Stelle che presentano un quadro fenomenologico ancor più violento, di tipo cataclismico, sono le cosidette novae ricorrenti, per molti versi associabili alle novae vere e proprie. Si tratta certamente ancora di sistemi binari, in cui un astro molto piccolo e compatto (una nana bianca) riceve materia gassosa dalla compagna (la componente visibile) in modo non diretto – come nel modello di nova – bensì tramite un disco di accrescimento che ne governa lo scarico, a intervalli irregolari, in funzione della propria saturazione. L'incremento fotometrico connesso ai parossismi destati dagli impatti decresce con la frequenza dei parossismi stessi. A causa del loro grande numero, le stelle variabili hanno ricevuto una nomenclatura particolare. Quelle che non possiedono un nome secondo Bayer vengono chiamate con il nome della costellazione (in latino, al genitivo singolare) preceduto da una lettera, a partire da R fino a Z (per esempio R Coronae Borealis), oppure da due lettere secondo la combinazione di ciascuna lettera con la seguente, sempre a partire da R; le successive stelle variabili individuate in una costellazione vengono indicate sempre con lettere maiuscole, dagli abbinamenti a partire da AA, AB ecc. fino a QZ (per esempio CM Orionis); se vengono esaurite tutte le 335 combinazioni possibili, le ulteriori stelle variabili vengono indicate da un numero progressivo, a partire da 336, preceduto da una V (per esempio V 685 Sagittarii); si segue ovviamente l'ordine di scoperta. Tutte le variabili, assieme ai dati più importanti relativi, sono elencate nel catalogo sovietico Obščíí Katalog Peremiennikh Zviezd', pubblicato nel 1958 e aggiornato ogni cinque anni. Tutti gli articoli fino al 1950 sono stati elencati nel Geschichte und Literatur des Lichtwechsels der veränderlichen Sterne (Storia e letteratura delle variazioni di luminosità delle stelle variabili) .

Astronomia: studi recenti

Soltanto da qualche anno – grazie allo sviluppo delle tecnologie all'infrarosso, sia al suolo (con i grandi telescopi Keck, UKIRT ecc.) che dallo spazio (telescopio spaziale Hubble, satelliti IRAS, ISO) – gli studiosi hanno cominciato a disporre di dati osservativi significativi, sufficienti alla costruzione di un quadro organico, benché preliminare, sui processi fisici che presiedono alla formazione dei corpi stellari.

Astronomia: stelle di piccola massa

I calcoli eseguiti dimostrano che la massa minima indispensabile affinché si costituisca un core termico a T=0,53107 K nell'interno di una condensazione gassosa si aggira su 0,08 Mo. Le stelle di questa massa risplendono debolmente di luce rossa (la loro temperatura fotosferica è di circa 3000-3500 K) sostenute in equilibrio gravitazionale dalla pressione radiativa che si sviluppa dalle reazioni più semplici dell'idrogeno (catena p-p). La durata della loro vita è in grado di prolungarsi anche per miliardi di anni, una durata sufficiente a trasformare l'H del core in He leggero inerte; dopodiché le reazioni si spengono, la luminosità della stella si estingue e la sua massa riprende a contrarsi dissipando energia (prevalentemente in infrarosso) per conversione gravitazionale. Il processo è destinato a procedere finché l'He contenuto nell'ex core termico degenera in elio metallico superfluido. Ricerche spettroscopiche effettuate al telescopio Keck da 10 m (Hawaii) nei confronti di otto astri di tale tipo (nane rosse di classe M estrema) hanno mostrato che essi sono generalmente dotati di rotazione rapida associata a intensa attività magnetica. Quest'ultima è attestata dalla forte emissione nella riga H-alfa dell'idrogeno, indice – come per il Sole – di una fenomenologia cromosferica imputabile a dissipazione di energia magnetica. La quale (a differenza del Sole) troverebbe sorgente, non tanto nella rotazione differenziale degli strati interni, ma esclusivamente dalle correnti convettive che trasportano in fotosfera l'energia prodotta entro il core termico della piccola stella. È opinione diffusa che gli astri del tipo spettrale M estremo siano presenti in grande quantità – nella nostra e nelle galassie esterne – cosicché la loro individuazione riveste molta importanza nella ricerca della materia “occulta” che, pur unanimemente ritenuta presente, si sottrae all'investigazione diretta. La ricerca delle nane rosse costituisce un compito di enorme difficoltà poiché, anche se vicine – causa l'intrinseca debolezza – le loro immagini si confondono con quelle delle stelle, o delle galassie lontane. Un metodo d'approccio è perciò quello di andarle a ricercare non in modo isolato, bensì nella popolazione stellare degli ammassi globulari utilizzando la funzione di luminosità (legge di ripartizione delle stelle a intervalli di magnitudine) onde stabilire il punto, detto di turn over, a partire dal quale la crescita del numero di campioni con la magnitudine si arresta per cominciare a decrescere. Sulla base di considerazioni teoriche, la funzione di luminosità è traducibile in una funzione di massa che consente di valutare statisticamente l'abbondanza di nane rosse nell'ammasso. Ricerche in tal senso sono state effettuate (e sono in atto) con l'ausilio delle ottiche adattive degli strumenti NTT (New Technology Telescopes) dell'ESO (European Southern Observatory), in grado di ridurre drasticamente le turbolenze del seeing e i disturbi intrinsechi agli apparati d'acquisizione. Un risultato (preliminare) riguarda stelle di piccola massa (~0,1 Mo) fino al limite fotometrico di visibilità (26m-27m) che mostra come le nane rosse siano rappresentate almeno nell'80% della popolazione stellare più prossima al Sole. Ciò lascia prevedere che, se la funzione di massa osservata potesse estendersi a masse di un ordine ancora inferiore – andando perciò a comprendere astri così modesti da rivelarsi incapaci di irradiare luce – bisognerebbe ammettere che, nel bilancio della materia “occulta”, le stelle non evolute dovrebbero effettivamente dominare.

Astronomia: le nane brune o scure

Con l'avvento del telescopio spaziale Hubble (TSH) e del satellite ISO per l'infrarosso – coadiuvati dagli apparati osservativi di grande altitudine – la ricerca di questa classe di stelle ha cominciato a dare i suoi frutti. La difficoltà di acquisizione di dati sperimentali di massa e di luminosità adeguati all'identificazione di sorgenti tanto elusive ha condotto nel passato ad alcune incertezze e smentite (vedi il caso Van Biesbroeck 8B); tuttavia l'identificazione di specifiche righe di assorbimento negli spettri ripresi nelle bande dell'estremo rosso e dell'infrarosso compreso fra i 5-20 micrometri (ove è da attendersi il massimo emissivo delle nane brune) ha consentito, negli ultimi tempi, di stabilire un certo insieme di caratteri segnaletici utili alla bisogna. Fra questi si pone il litio (Li) il quale, costituendo un elemento fra i primi a entrare in reazione con i protoni per formare elio, è una sostanza che non compare nelle stelle già entrate in sequenza. Perciò la presenza del Li suggerisce assenza di reazioni di fusione nella sorgente sotto esame, quindi carenza di massa e possibile appartenenza alla categoria delle nane brune. D'altronde, allorché le temperature sono inferiori ai 1000 K, negli strati gassosi superiori dell'astro si formano facilmente composti molecolari (anche quadriatomici) che si manifestano con bande d'assorbimento particolarmente estese nell'infrarosso (H2O, CO, TiO, TiO2, SiO2, CH4). Il Li è stato rintracciato in PPL 15 (nana bruna di 22 m) con il telescopio Keck alle Hawaii, e in LHS 2065, Teide 1, Calar 3 (alle Canarie), tutti astri appartenenti all'ammasso delle Pleiadi; il metano CH4 in Gliese 229 B, sorgente di 20 m nella costellazione della Lepre (a Monte Palomar). La Faint Object Camera costruita dall'ESO per il TSH ha scoperto un buon numero di sorgenti substellari, fra cui Gliese 623 B, Gliese 105 B, Gliese 105 C, delle quali tuttavia solo la prima e la terza mostrano di possedere masse sicuramente al di sotto di 0,08 Mo. In tempi molto recenti (1996) un'ulteriore coppia di nane brune (HD 29587 B nel Perseo e HD 140913 in Corona Boreale, entrambe con masse <0,05 Mo) si è aggiunta al numero, palesandosi attraverso il moto riflesso del membro visibile con il quale esse si trovano gravitazionalmente accoppiate.

Bibliografia (per la struttura e l'evoluzione stellare)

D. D. Clayton, Principles of Stellar Evolution and Nucleosyntesis, New York, 1968; H.-Y. Chiu, J. L. Remo, R. L. Warasila, Stellar Astronomy, New York, 1969; A. H. Batten, Binary and Multiple Systems of Stars, Oxford, 1973; L. N. Mavridis (a cura di), Stars and the Milky Way, Berlino, 1973; L. Rosino, Le stelle variabili, Roma, 1987.

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