Descrizione generale

Ottavo pianeta del sistema solare (simbolo ♆), scoperto nel 1846 da J. Galle e H. von Arrest, sulla base dei calcoli compiuti da U. Le Verrier (e parallelamente e indipendentemente da J. C. Adams) sulle osservazioni del pianeta Urano, il cui movimento deviava sistematicamente dall'orbita calcolata. Nettuno si trova a una distanza dal Sole pari a ca. 31 volte quella della Terra; il suo periodo di rivoluzione è di 164,79 anni; la sua orbita, quasi circolare (ha eccentricità 0,0086), è inclinata sull'eclittica di 1º46´. A causa della grande distanza, non è stato mai possibile, con il solo ausilio dei telescopi, osservare dettagli significativi sul disco del pianeta il cui diametro apparente non supera i 2‟,4 d'arco, pur equivalendo a quattro volte quello della Terra. Dal canto loro, le analisi spettroscopiche e fotometriche hanno presto rivelato che il pianeta ruota intorno al proprio asse (inclinato di 29º 36´ sull'eclittica) in circa 16 ore, e che esso è avvolto da uno spesso involucro gassoso consistente essenzialmente in metano, ammoniaca, idrogeno, elio. Tale caratteristica ha consentito, sin dall'inizio, di classificare Nettuno fra i mondi di tipo “gioviano”, ricchi di composti idrogenici esercitanti profonda azione assorbente nelle regioni rosse ed infrarosse dello spettro (in particolare a 2,2 micrometri di lunghezza d'onda). L'azione filtrante ha come risultato di conferire alla luce riflessa una tipica colorazione azzurro-mare, di intensità (albedo) pari a 0,62 quella solare incidente. L'osservazione di un'occultazione stellare consentì, nel 1968, di stimare il diametro planetario in 49.500 km, e la densità media in 1,67 g/cm3 (0,31 volte quella della Terra), valore che allinea perfettamente la natura di quel mondo con quella dei voluminosi e massicci Giove e Saturno. In occasione di occultazioni ulteriori, e in associazione a rilevamenti eseguiti in luce monocromatica, alla fine del 1987 erano state raggiunte, anche per Nettuno, prove dell'esistenza di una cintura anulare di particelle solide. Le conoscenze scientifiche nei riguardi del pianeta sono andate accrescendosi a seguito di alcuni eventi determinanti: la ricognizione che la sonda Voyager 2 ha effettuato nel 1989 nelle sue prossimità, l'entrata in funzione dei grandi telescopi di nuova concezione (fra gli altri, il Keck, sul Mauna Kea nelle Hawaii, e l'Hubble operante dallo spazio) che hanno intrapreso ricerche in banda infrarossa (in particolare, ai 2,2 micrometri di lunghezza d'onda), la più conveniente per lo studio dei pianeti esterni, che sono dotati di atmosfere particolarmente ricche di metano.

La struttura interna

La migliorata valutazione della massa e della densità di Nettuno (17 volte la massa terrestre; 1,67 g/cm3) ha fatto comprendere che la costituzione interna del pianeta non può dipendere soltanto da un aggregato di idrogeno e di elio arricchito da contaminazioni di carbonio, ossigeno e azoto (il metano, il cianogeno, l'ammoniaca, le formazioni di cristalli di H₂O, sono combinazioni molecolari perfettamente rilevabili nell'atmosfera del pianeta), bensì che in profondità – sotto la pressione di milioni di atmosfere e a livelli termici di migliaia di gradi – l'accorpamento di rocce e di ghiaccio allo stato solido deve rappresentare la condizione fisica dominante. Un modello, proposto da studiosi russi, prevede che la costituzione interna di Nettuno proceda in modo uniforme, a partire dall'inviluppo gassoso esterno fino alla struttura solida delle regioni centrali, ove regnerebbe una sorta di miscela di acqua, ammoniaca, isopropanolo, allo stato di liquido supercompresso. Il modello alternativo descrive, viceversa, una struttura stratificata delle sostanze costitutive, le quali – in funzione del proprio peso specifico – darebbero luogo ai seguenti strati: un involucro gassoso (idrogeno, elio, cristalli di ghiaccio e composti del carbonio) spesso per 2 decimi del raggio planetario e gravante con la pressione di 0,2 milioni di atmosfere su di un sottostante strato di ghiacci e rocce (silicati) pervaso dei gas superiori (allo stato molecolare metallico) ed esteso in profondità fino a mezza via dal centro, dove (a pressioni dell'ordine dei 4 milioni di atmosfere e temperature di 5000-6000 °C) inizierebbe il nucleo centrale consistente di rocce e di ghiaccio allo stato solido. I valori centrali della temperatura e della pressione, nel modello a strati, raggiungerebbero, rispettivamente, i 7000 °C e gli 8 milioni di atmosfere. Poiché è apparso palese che Nettuno possiede una sua propria magnetosfera (0,2 gauss) avente l'asse del campo inclinato a 47° rispetto all'asse di rotazione), gli esperti ne deducono che all'interno della massa nettuniana deve essersi stabilita una circolazione di cariche elettriche sufficientemente intensa da generare – in associazione alla rapida rotazione del pianeta – quell'“effetto dinamo” che tutti i planetologi considerano il suscitatore per eccellenza del magnetismo planetario. Un interessante esperimento di laboratorio, nel quale del metano è stato portato a pressioni comprese tra 105 e 5x106 atmosfere e a temperature di circa 3000 K, condizioni simili a quelle che si verificano a circa 4000 km di profondità, ha permesso di osservare la produzione di cristalli di carbone. Tali cristalli, una volta formati, tenderebbero a precipitare verso l'interno del pianeta, contribuendo da una parte al campo magnetico del pianeta e dall'altra a produrre energia, che poi potrebbe fluire verso l'esterno. Nel caso di Nettuno (come, peraltro, sembra comune per i grandi pianeti esterni, i nuclei dei quali sono probabilmente privi all'interno, in misura adeguata, di masse metalliche fuse) la sede della circolazione del fluido conduttivo andrebbe ricercata nella regione intermedia, il mantello del pianeta, ove l'H₂O potrebbe appunto circolare allo stato di ioni dissociati. Il fluido conduttore permeerebbe una massa rocciosa porosa e incoerente, abbastanza affine, per consistenza e natura, alle aggregazioni di “neve sporca” che sono caratteristiche dei nuclei cometari. In effetti, dal punto di vista strutturale – sostanzialmente diverso da quello che caratterizza la costituzione di Giove e di Saturno, pianeti assai più ricchi di idrogeno e di elio – Nettuno (e, forse, anche Urano), pur dovendosi annoverare fra i grandi pianeti gassosi, appare tuttavia essere il prodotto di un processo di condensazione mai perfettamente compiuto. Esso starebbe anzi a testimoniare il limite più prossimo al Sole della regione in cui si produsse in origine la formazione di quei planetoidi primitivi, corpi prevalentemente ghiacciati che, sempre più numerosi, si stanno rivelando membri delle cosiddette “cinture di Kuiper”, il serbatoio riconosciuto delle comete di corto periodo.

L'atmosfera

Alla distanza di soli 4500 km dalla sommità dell'atmosfera nettuniana, il 25 agosto 1989, la sonda Voyager 2 ha fornito un quadro abbastanza inatteso e dinamico della meteorologia del pianeta. Gli strati gassosi vi appaiono infatti rimescolati in senso verticale da correnti convettive che vengono indubbiamente attivate dalla dissipazione termica di origine interna. Il pianeta, infatti, disperde nello spazio una quantità di calore che è 2,6 volte maggiore di quanta ne riceve dal Sole, il più alto tasso di irradiazione riscontrabile fra i grandi pianeti gassosi; ciò è dovuto alla conversione in calore di quella parte di energia gravitazionale che si libera nel lento processo di concentrazione al quale il globo di Nettuno è soggetto. Le correnti atmosferiche convettive danno origine a condensazioni di cristalli di metano, formazioni cirriformi che i venti d'alta quota, spiranti lungo i paralleli geografici a velocità comprese fra i 300 e i 1000 km/h, finiscono col disperdere in lunghi, candidi nastri. Tali flussi probabilmente riforniscono gli strati superficiali di etano la cui abbondanza non è altrimenti spiegabile: l'atmosfera di Nettuno, infatti, ha un'abbondanza di etano pari a quella misurata nell'atmosfera gioviana, che riceve radiazione con un'intensità circa 25 volte maggiore, mentre la produzione di questo idrocarburo avviene mediante reazione di due molecole di metile (CH3), che a sua volta viene prodotto per fotodissociazione di molecole di metano (CH4). Dove le correnti convettive si arrestano (e si arresta anche il decremento termico), è stabilito il limite superiore dello strato atmosferico entro il quale avviene il rimescolamento del metano e che può considerarsi, a tutti gli effetti, la regione della tropopausa nettuniana. L'affioramento, in tracce (qualche parte per milione), di alcuni particolari composti molecolari, fra i quali il monossido di carbonio e il cianogeno, nel modello teorico di Nettuno fornisce un indice di valutazione sull'efficienza dei processi termici che ne animano la tropopausa, e che vi portano in vista sostanze essenzialmente prodotte negli strati più interni del pianeta. La regione sovrastante costituisce la stratosfera, le cui violente correnti orizzontali (analoghe alle correnti “a getto” della Terra) spirano con intensità diverse fra i due emisferi – attualmente la velocità appare maggiore nell'emisfero boreale – denunciando con ciò evidentemente un chiaro effetto stagionale. Le formazioni nuvolose, di colore bianco in risalto sul fondo bluastro, si librano al disopra d'un oceano di nebbie che produce una generale luminosità diffusa e che le osservazioni nell'infrarosso, effettuate sia da Terra sia dal telescopio spaziale Hubble – nonché i modelli teorici – rivelano costituite da un aerosol di ammoniaca, idrogeno solforato, polimeri idrocarbonici, sostanze che esercitano forte assorbimento sulle radiazioni luminose di lunghezza d'onda elevata contribuendo alla tipica colorazione che il pianeta offre. L'involucro nebbioso si mostra perforato in qualche zona da regioni più oscure, di forma ovale o rotondeggiante, sovente delimitate al bordo da candidi filamenti nuvolosi, oppure evidenziate all'interno da formazioni vorticose. La GDS (Great Dark Spot, sui 22° di latitudine australe) e la minore DS (Dark Spot, a 54° di latitudine australe) ne forniscono due esempi eminenti; esse vengono comunemente ritenute aree depressionarie, animate da movimenti di tipo ciclonico, del tutto simili alla grande Macchia Rossa di Giove. Ulteriori indagini (in particolare quelle dovute alla Camera Planetaria a gran campo del telescopio Hubble) hanno mostrato che le aree cicloniche di Nettuno, nel corso degli ultimi anni, sono andate incontro a radicali alterazioni. Fra l'altro, la GDS è scomparsa, sostituita da una formazione simile situata nell'emisfero opposto; le aree ricoperte dalle formazioni cirriformi appaiono più estese e hanno contribuito ad accrescere la riflettività generale del pianeta. Poiché l'azione della radiazione solare sulle vicende meteorologiche di Nettuno è ritenuta nettamente minoritaria nei confronti dell'azione endogena espletata dal pianeta stesso, gli esperti, a tale riguardo, ritengono che un elemento determinante nei mutamenti verificatisi sia da ricercarsi negli effetti prodotti per turbolenza da parte della sola dissipazione termica di origine interna.

Gli anelli

Gli anelli che recingono Nettuno hanno aspetto marcatamente diverso da quelli di Saturno e di Giove, ma appaiono più somiglianti a quelli di Urano. Si tratta di formazioni corpuscolari diversamente addensate, la cui bassa riflettività indica il consistere di particelle rocciose (grafite e/o ghiaccio?) alterate in superficie dall'incessante bombardamento del vento solare e delle radiazioni penetranti. Il sistema è costituito da sei anelli. Il primo, più esterno – dedicato a J. C. Adams, che insieme a U. Le Verrier scoprì Nettuno – ha un raggio di 63.000 km e uno spessore molto sottile che si riduce irregolarmente a zero e dà origine a una serie di archi, o porzioni di anello, che sono a malapena visibili anche col telescopio spaziale Hubble. Appena più all'interno, si nota un secondo anello, più sottile ed egualmente irregolare, che coorbita con la piccola luna Galatea e della quale sembra rappresentare un antico prodotto di erosione. Seguono poi, fra i 58.000 e i 53.000 km, le successive tre cinture dedicate rispettivamente agli astronomi A.-A. Arago, W. Lassell e U. Le Verrier, le quali appaiono in realtà poco separate l'una dall'altra, bensì formanti una sorta di fascia continua dai bordi (specialmente l'interno) alquanto più marcati. Infine, va menzionato l'anello dedicato a J. Galle (il primo avvistatore del pianeta), una sottile cintura di 42.000 km di raggio, dai bordi evanescenti, che sembra fungere da delimitatore della regione occupata dalle minuscole lune interne Despina, Thalassa, Naiade. Si ritiene che l'origine e la stabilità del sistema di anelli vadano effettivamente connesse all'esistenza di questi satelliti minori, le cui strutture poco coerenti, sottoposte ai processi erosivi provocati dal bombardamento meteoritico, avrebbero col tempo dato luogo a sciami di particelle e di frammenti. Le perturbazioni di natura gravitazionale in risonanza con le orbite avrebbero poi finito per confinare i relitti su un certo numero di orbite stabili. In effetti, il Voyager 2 aveva osservato, nel 1989, degli “archi anulari”, deboli addensamenti di materia, dovuti probabilmente a risonanze con Galatea. Il telescopio spazialie Hubble è riuscito a osservare nuovamente queste evanescenti strutture dopo più di 10 anni, trovandole tuttavia in posizione differente da quella prevista. Il quadro dinamico offerto dagli anelli nettuniani non appare, quindi, esente da ombre. Inoltre, tenendo conto dei meccanismi perturbativi che intervengono inevitabilmente a limitarne l'esistenza, la loro origine non può in verità venire collocata a un'epoca che sia anteriore ai 500 milioni d'anni. Di conseguenza, l'ipotesi che un qualche evento catastrofico abbia segnato nel passato il sistema di Nettuno è un argomento che viene oggi preso in seria considerazione.

I satelliti

Oltre a Despina, Thalassa e Naiade, altri satelliti – egualmente minuscoli – circolano intorno al pianeta, all'esterno degli anelli: Larissa, Proteo e, più lontano fra tutti, Nereide la cui orbita altamente eccentrica varia fra 1,4 e 9,7 milioni di km dal pianeta-madre. Esiste poi Tritone, l'unico satellite di massa cospicua, che circola su un'orbita di 355.000 km di diametro percorrendola singolarmente in senso retrogrado, al contrario di tutti gli altri. L'eccezionalità di tale astro nell'ambito del sistema nettuniano sembra suggerire che la sua collocazione originaria vada ricercata al di fuori, in un'orbita eliocentrica una volta percorsa liberamente. Una sconosciuta azione perturbativa di natura planetaria avrebbe modificato, mezzo miliardo d'anni or sono, la traiettoria di Tritone col risultato di procurarne la cattura entro il campo gravitazionale di Nettuno, ove sarebbe poi seguito lo scompaginamento del sistema dei piccoli satelliti. Alcuni di essi sarebbero andati letteralmente distrutti e i loro relitti dispersi negli sciami destinati a formare le cinture anulari. Un'ipotesi alternativa proposta da alcuni planetologi statunitensi indicherebbe invece in Tritone il prodotto di una condensazione intrusiva prodottasi nella stessa nube preplanetaria dalla quale sorse Nettuno. Il processo assorbì larga parte del materiale primordiale locale e impedì, di conseguenza, la formazione di corpi satellitari più consistenti, comparabili, per esempio, a quelli che circondano Urano. Il sistema satellitare di Nettuno, per distanze crescenti, appare perciò così costituito: Naiade (48.000 km dal centro del pianeta, 60 km di diametro); Thalassa (50.000 km, 80 km); Despina (52.500 km, 150 km); Galatea (62.000 km, 200 km); Larissa (73.600 km, 200 km); Proteo (117.600 km, 415 km); Tritone (355.000 km, 2600 km); Nereide (1,4-9,7x106 km, 340 km). All'inizio del 2003 sono stati scoperti altri tre satelliti. .

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