Puškin, Aleksandr Sergeevič

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Vita e opere

Poeta, narratore e drammaturgo russo (Mosca 1799-Pietroburgo 1837). Essenzialmente poeta lirico, Puškin è considerato il maggior autore russo, l'innovatore della lingua, il fondatore della letteratura moderna. Educato fin da fanciullo al gusto della letteratura francese, figlio di un nobile decaduto, cultore delle lettere, e di una nipote dell'abissino Abram Hannibal, che la sorte aveva portato alla corte imperiale di Pietro il Grande, Puškin venne educato non dai genitori, assidui frequentatori di salotti, ma dalla nonna materna, dallo zio paterno Vasilij e dalla balia Arina Rodionovna, il cui nome fu reso celebre dalle liriche che il poeta le dedicò negli ultimi anni della sua vita. Lettore accanito, Puškin si formò sui classici, soprattutto francesi: Boileau, Racine, Molière, Parny, Wieland, Ossian, Chénier. Al liceo di Carskoe Selo, fondato da Alessandro I, dove venne iscritto nel 1811, rivelò la sua natura poetica, senza peraltro eccellere negli studi. Qui conobbe il futuro poeta A. A. Delvig, i futuri decabristi. I. Puščin, V. K. Kjuchelbeker, subì l'influsso dell'insegnante di diritto e filosofia A. P. Kunicyn. Nel 1814 pubblicò la sua prima poesia (Ad un amico verseggiatore) nella rivista Il messaggero d'Europa, rivelatrice di una personalità libera e indipendente. Nel 1817, compiuti gli studi liceali, prese servizio al ministero degli Esteri e si dedicò alla vita mondana. Ai salotti, ch'egli amava, alternò tuttavia la partecipazione a società letterarie politiche progressiste, come l'“Arzamas” e la “Lampada verde” tanto che la politica ispirò la sua poesia, rendendolo sospetto alla polizia segreta. Conobbe studiosi, poeti, storici, ai quali il giovane Puškin si avvicinò come a dei maestri: P. De Čaadaev, I. I. Dmitriev, N. M. Karamizin, K. N. Batjuskov. In particolare, il poeta V. A. Žukovskij fu considerato da Puškin come un padre spirituale, tanto che, il giorno in cui scrisse gli ultimi versi dell'Eugenio Oneghin, ricevette un suo ritratto in regalo con la dedica: “Allo scolaro vincitore, il maestro vinto”. Intanto iniziarono a circolare manoscritti ritenuti provocatori, come La libertà, La campagna, Noël, e sferzanti epigrammi, mentre contemporaneamente si dedicava al poemetto Ruslan e Ljudmila che venne pubblicato (1822) a cura degli amici, perché nel 1820 un provvedimento di polizia lo aveva confinato nella Russia meridionale. Il poemetto andò suscitando polemiche: i conservatori lo accusavano di barbarismo, i fautori del romanticismo lo esaltavano, giustamente scoprendovi la forza di un rinnovamento letterario di cui la Russia aveva bisogno. Puškin intanto si appassionava al Sud e ne traeva motivo di ispirazione, viaggiando al seguito del generale N. N. Raevskij, spirito libero, ospite eccellente, che fece del poeta un amico di famiglia, tanto che Puškin si innamorò, sembra senza essere corrisposto, di Maria, una delle figlie del generale. Puškin conobbe la Crimea, il Caucaso, la Bessarabia, spingendosi, libero sulla parola data al suo custode, a Kamenka e a Kišinev. In due anni, dal 1821 al 1823, scrisse le belle liriche A Ovidio, Il canto del saggio Oleg, A Čaadaev, i poemetti byroniani Il prigioniero del Caucaso, I fratelli masnadieri, La fontana di Bachčisarai, Gli zingari, la bellissima lirica Il demone così chiamati per l'influsso del poeta inglese ch'egli lesse su suggerimento dei suoi ospiti. Scrisse anche i primi tre canti del romanzo in versi Eugenio Oneghin, il suo capolavoro. § Trasferito a Odessa, alle dipendenze di S. M. Voroncov, fu, probabilmente su denuncia di questi, nuovamente colpito dai rigori della polizia, che vide in lui un ateo per una frase scritta in una sua lettera. In realtà pare che il conte Voroncov volesse vendicarsi della corte fatta da Puškin, forse con successo, alla moglie Elisabetta. Di questo legame, platonico o no, restano alcune bellissime liriche dedicate alla contessa e pubblicate più tardi, insieme con quelle dedicate ad Amalia Riznič, anch'essa conosciuta a Odessa. Lasciato il servizio, Puškin dovette vivere confinato nella tenuta materna di Michajlovskoe, presso Pskov. Qui la solitudine venne rotta dall'incanto dell'amore per Anna Kern, una bella signora già conosciuta a Pietroburgo nel 1819 e per la quale scrisse la stupenda lirica Ricordo il meraviglioso momento, forse in senso assoluto la più bella poesia d'amore russa, mentre nelle lunghe serate trascorse a discorrere con la balia Arina Rodionovna s'innamorò della favolistica, cui si dedicò più tardi con alcune fiabe: Il pescatore e il pesciolino, La zarevna morta e i sette eroi. Al soggiorno di Michajlovskoe restano legate composizioni come André Chénier, Scena del Faust, Imitazione del Corano, Il profeta e la tragedia Boris Godunov (pubblicata nel 1831) ispiratagli dalla Storia dello Stato Russo di Karamzin. Proprio mentre scriveva (1825) Il Conte Nulni, un poemetto scherzoso, a Pietroburgo scoppiava l'insurrezione dei decabristi, subito repressa dal nuovo imperatore Nicola I. Questi, però, decise di annullare il provvedimento di confino per il poeta e Puškin l'anno dopo era a Mosca, in udienza dal sovrano, il quale gli annunciò ch'egli soltanto da quel momento in avanti sarebbe stato il suo unico censore. In realtà in nome del re la censura venne esercitata dal capo della polizia Benkendorf che rimproverò al poeta una poesia mandata ai decabristi condannati in Siberia (1826) e il poemetto blasfemo Gabrieleide. Dal 1827 al 1829 Puškin scrisse numerose liriche e affrontò la prosa con i primi capitoli del romanzo Il negro di Pietro il Grande e nel 1831, a Boldino, nella tenuta materna, dove si era recato per affari e aveva dovuto trattenersi per un'epidemia di colera, concluse l'Eugenio Oneghin e scrisse le piccole tragedie: Il cavaliere avaro, Mozart e Salieri, Il convitato di pietra, Il festino durante la peste. Questa feconda stagione trovò la sua esaltazione nell'amore per la bellissima Natalja Nikolaevna Gončarova conosciuta l'anno prima e sposata al ritorno da Boldino (1831). Dopo alcuni dissensi su tre liriche politiche, Puškin nel 1831 pubblicò i Racconti di Belkin, passaggio netto dal romanticismo al realismo, già attuato in poesia con l'Oneghin e ora riaffermato in prosa, anche se in successivi racconti come La dama di picche riaffiorò il romanticismo di stampo tedesco, che lasciò subito il posto al desiderio di cimentarsi a fondo nel romanzo storico alla Walter Scott. Con La figlia del capitano (1836) Puškin diede al suo Paese il capolavoro del genere, evocando la storia della rivolta di Pugačëv, cui aveva già dedicato La storia di Pugačëv (1834, più tardi intitolata Storia della rivolta di Pugačëv). Nello stesso anno scrisse anche un poema dedicato alla figura di Pietro il Grande (cui già aveva dedicato il poema Poltava): Il cavaliere di bronzo. Più tardi scrisse ancora per il teatro, ma l'opera (Rusalka) rimase incompiuta. Nel 1836 ottenne di dar vita al giornale Sovremennik (Il contemporaneo), che non ebbe però fortuna.

La critica

In tutta la sua opera Puškin si pone al di sopra delle correnti letterarie che all'inizio del sec. XIX avevano posto di fronte soprattutto i fautori del classicismo e del romanticismo. Classico per purezza di lingua, per vigore e plasticità del verso, romantico per aspirazione al nuovo, realista per spirito di osservazione, per aderenza alla realtà, per forza creatrice, Puškin resta l'indiscusso poeta principe di tutta la letteratura russa. Lirico per eccellenza, nell'Exegi monumentum (1836), ripresa dal celebre motto oraziano, confermò la sua vocazione creativa intesa a dare valore universale all'erompere del sentimento e contro la definizione di chi lo voleva “poeta dell'arte per l'arte” si pose come il “poeta della realtà”. Con questo spirito vanno viste opere come Boris Godunov fondato, come La figlia del capitano e come l'Oneghin, su uno sfondo storico documentato. E non va dimenticato ch'egli fu il primo a immergere i suoi personaggi in una realtà storico-sociale. Enorme fu l'influsso da lui esercitato sulla letteratura russa. Se Dostoevskij scrisse che tutta la letteratura russa dell'Ottocento usciva dal Cappotto di Gogol, in realtà avrebbe anche dovuto dire che quel cappotto era tessuto col filo dei Racconti di Belkin, della Storia del villaggio di Gorjuchino e anche dell'Eugenio Oneghin, perché le radici del realismo trionfante di Gogol erano già lì. E come Gogol, a Puškin furono debitori Lermontov, Turgenev e L. Tolstoj e tutti riconobbero il debito verso quel grande la cui esistenza fu stroncata a soli 39 anni dalla pallottola di un vanesio: Georges D'Anthès, un barone francese, che aveva corteggiato, se non sedotto, la bella moglie del poeta, donna vissuta solo dell'iridescente e crepitante vita dei salotti dove si poteva morire per una frase, un gesto che come conclusione unica aveva il duello. Puškin non volle sottrarsi ai suoi doveri di uomo di mondo e morì per la ferita riportata.

L. Ginzburg, in Scrittori russi, Torino, 1948; P. Rilla, Essay, Berlino, 1955; E. Lo Gatto, Puškin. Storia di un poeta e del suo eroe, Milano, 1959; H. Troyat, Pouchkine. Biographie, Parigi, 1966; J. Bayley, Pushkin's Secret of Distance, Oxford, 1968; M. B. Luporini, Storia e contemporaneità in Puškin, Firenze, 1972; E. Bazzarelli (a cura di), Alessandro Puskin, Milano, 1989.

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