Stendhal

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pseudonimo dello scrittore francese Henri Beyle detto anche “Milanese” (Grenoble 1783-Parigi 1842). Figlio di un avvocato, dopo alcuni anni trascorsi all'interno di un ristretto ambiente provinciale e in perenne conflitto con il padre, nel 1799 si trasferì a Parigi dove, invece di iscriversi all'École Polytechnique, andò a vivere presso i cugini Napoleon e Pierre Daru, uno dei quali, Pierre, segretario al Ministero della guerra, gli procurò un impiego. Ansioso di un altro genere di vita, Stendhal intraprese la carriera militare e lasciò Parigi per raggiungere l'Armata d'Italia. A Novara ebbe occasione di assistere al Matrimonio segreto di D. Cimarosa e a Milano fu affascinato dagli spettacoli della Scala, dalle donne, che incominciò a corteggiare con ardore, e dalla letteratura. Poi lasciò l'esercito e l'Italia per trascorrere qualche tempo a Grenoble e a Parigi. Pensò di “scrivere commedie come Molière”, il suo autore preferito prima del folgorante incontro con W. Shakespeare che lesse in inglese. Nel 1806 riprese servizio nell'esercito con l'aiuto del cugino Daru, che accompagnò in missione in Germania. Osservatore attento della società che gli capitò di frequentare, scrisse numerose pagine d'appunti. A Vienna, nel 1809, corteggiò Alexandrine Daru, moglie del cugino e suo protettore. A Parigi, nel 1810, nominato uditore al Consiglio di Guerra, scoprì nella giovane cantante A. Béreyter il suo “piccolo angelo”. Tornò in seguito nell'amata Italia e dall'agosto 1810 al novembre 1811 fu a Milano, Bologna, Firenze e Roma. A Milano, dopo aver conquistato la bella A. Pietragrua Borroni, che nel 1800 gli era parsa inaccessibile, si buttò con passione a preparare una storia della pittura italiana. L'ordine di raggiungere Napoleone a Mosca lo distrasse dagli amori e dall'arte e lo scaraventò nel dramma della guerra. Assistette all'incendio della capitale russa e visse i giorni della terribile ritirata: testimone, come M. de Cervantes, di una vera e propria tragedia umana. Con la caduta di Napoleone la sua nuova carriera militare volse al declino. Nel 1814, in congedo a “mezza paga”, si trasferì a Milano. Qui conobbe Ludovico di Breme, V. Monti, G. Rasori, S. Pellico, scrisse le Vies de Haydn, de Mozart et de Métastase e pubblicò l'Histoire de la peinture en Italie (1814). Con lo pseudonimo Stendhal (dalla cittadina tedesca Stendal, patria di J. J. Winckelmann), uscì nello stesso anno la sua prima opera di maggior valore: Rome, Naple et Florence, un dialogo sottile, intelligente, echeggiante le discussioni letterarie nei circoli delle tre città. Conclusa la tormentata passione per Pietragrua si abbandonò alla passione per Matilde (ch'egli chiamò Métilde) Dembovski Viscontini, che amò per tutta la vita, incantato della sua fierezza, del suo patriottismo, sebbene non ricambiato con pari passione. Alla figura di Métilde, amica di U. Foscolo, di F. Confalonieri, di G. Pecchio, furono ispirate le protagoniste delle sue opere maggiori. La morte del padre, nel 1819, gli tolse l'illusione di poter vivere libero da preoccupazioni economiche: il patrimonio familiare era ormai ridotto a poca cosa. Tre anni dopo uscì De l'amour, analisi delle forme d'amore e confessione delle sue pene di cuore per Métilde. L'opera era stata scritta nel 1820 e nel 1821 Stendhal aveva dovuto lasciare Milano, sospetto agli austriaci per le amicizie coi liberali. Lasciò Milano e dopo un breve soggiorno a Londra si stabilì a Parigi, dove frequentò i salotti letterari, tra cui quello della cantante italiana Giuditta Pasta, stringendo amicizia con l'ideologo A.-L. Destutt de Tracy e annotando le sue impressioni in un Journal, pubblicato postumo (1888), fonte preziosissima per i suoi biografi. Pieno di slancio creativo, nel 1822 pubblicò la prima parte di Racine et Shakespeare, manifesto in favore del romanticismo, che non suscitò particolare interesse. La venuta a Parigi di G. Rossini gli suggerì una Vie de Rossini, cui fece subito seguire (1825) la seconda parte di Racine et Shakespeare, ma anche questa volta, nonostante la finezza del suo pensiero, non riuscì a ottenere quell'attenzione che il suo talento meritava. Nel 1827 pubblicò il suo primo romanzo: Armance ou quelques scènes d'un Salon de Paris en 1827, storia d'amore, di sottile indagine psicologica, annuncio di una nuova maniera di scrivere e di analizzare i sentimenti, che tuttavia anche il pubblico più esperto confuse con una satira contro la società della Restaurazione. Stendhal ne fu deluso, ma non sconfortato, e si dedicò a una specie di guida rimasta unica nella storia della letteratura, Promenades dans Rome (1829), dove accanto all'elogio per le belle donne e alla descrizione delle cose d'arte, compare un profilo assai netto del malgoverno papale. Un fatto di cronaca nera gli diede intanto lo spunto per Le rouge et le noir. Chronique du XIX siècle (Il rosso e il nero), che pubblicò sul finire del 1830, analisi della Francia della Restaurazione ostile all'ascesa di un giovane non nobile. L'opera, un autentico capolavoro, colloca di colpo l'autore tra i maggiori scrittori del sec. XIX. La tormentata storia d'amore di J. Sorel, di Madame de Rénal e di Métilde rivela la sua vena di “delizioso autobiografo” e sottolinea in lui un inarrivabile pittore di passioni, un sottile cronista di un complesso momento storico, consacrandolo, secondo il giudizio di H. Taine, come “il maggior psicologo del secolo”. G. Lanson scrisse giustamente di lui che “in cinquecento pagine egli ci dice quanto tutta la Commedia umana (di H. de Balzac) circa i moventi segreti delle azioni e le caratteristiche profonde degli animi nella società nata dalla Rivoluzione”. Nel frattempo, grazie al successo dei suoi amici liberali, andati al potere con la rivoluzione di luglio, Stendhal venne nominato console a Trieste e poté ripartire per l'Italia. Stendhal non risultò però gradito alle autorità austriache, cosa che del resto egli temeva, e nella primavera del 1831 raggiunse la sua nuova destinazione: Civitavecchia. In questo periodo si dedicò a un'altra opera, Souvenirs d'égotisme (1832-35, pubblicata postuma, nel 1892), ricca di pagine autobiografiche, nel ricordo della donna più di ogni altra amata, Métilde. Dal 1834 al 1836 si occupò di un nuovo romanzo, Lucien Leuwen, che rimase incompiuto, storia d'amore tra l'alta borghesia, i cui protagonisti nascondono lo stesso autore e Métilde e ai quali fa da cornice la Francia non amata di Luigi Filippo, vista con un realismo impietoso. Adoratore del passato, realtà di un mondo goduto e irripetibile (concetto antiproustiano, giacché per Stendhal la rievocazione non ha la forza di rinnovare i sentimenti, nascondendo invece il pericolo di guastarli), scrisse e non finì la Vie de Henri Brulard. Interruppe il manoscritto nel 1836, quando tornò a Parigi per tre mesi e restò lontano da Civitavecchia tre anni. A Parigi scrisse i Memoires sur Napoléon e vari racconti pubblicati postumi col nome di Chroniques italiennes: L'abbesse de Castro, Vittoria Accoramboni, Les Cenci, La Duchesse de Palliano. A seguito di un viaggio in provincia scrisse nel 1838 i Memoires d'un touriste, ancora una volta graffiante ritratto della società arrivista uscita dalla monarchia di luglio. Poi d'impeto, in poco più di due mesi, dettò a un copista il suo secondo capolavoro: La Chartreuse de Parme (La Certosa di Parma). L'intreccio gli venne suggerito da una vecchia cronaca francese, e la storia, pur svolgendosi nel ducato di Parma (vi si narra la sconfitta di un giovane nobile a causa di meccanismi e intrighi politici), adombra il dispotismo della società contemporanea all'autore. Il libro, uscito nel 1839, non suscitò quell'entusiasmo che il suo valore avrebbe meritato; solo H. de Balzac nel 1840 sulla Revue Parisienne definì il nuovo romanzo di Stendhal il “capolavoro della letteratura delle idee”. Molto tempo dopo L. Bigiaretti, chiarendo il concetto balzachiano, scrisse che La Chartreuse de Parme è un “esempio di narrativa pura”, mettendo in evidenza l'arte di un narratore modernissimo, serrato, essenziale, mai pedante, mai minuzioso. I personaggi di Stendhal vivono dall'interno: pensieri, sentimenti, passioni. L'ambiente, pur raffigurato, non è descritto con ampie e coerenti pennellate. La rievocazione della celebre battaglia di Waterloo, all'inizio della Chartreuse, è spezzata in particolari sui quali si arrestano fasci di luce, subito trascorrenti su altre tessere per tornare poi allo stesso particolare in altri accostamenti, come se la narrazione seguisse la sovrapposizione atemporale dei ricordi. I personaggi di questa nuova drammatica storia sono sempre gli stessi: Fabrizio del Dongo (Stendhal), la duchessa Sanseverina (Angela Pietragrua), Clelia Conti (Métilde), ancora una volta protagonisti e testimoni di un fallimento. La finezza dell'analisi psicologica di Stendhal tocca qui il vertice della perfezione. Il giudizio di Balzac avrebbe potuto finalmente consacrare la fama di Stendhal, che tornato a Civitavecchia si stava dedicando a Lamiel, altro romanzo rimasto incompiuto. Agli inizi del 1842 Stendhal firmò un interessante contratto con la Revue des deux mondes, ma la sua salute cominciò ad aggravarsi. Stendhal aveva infatti accusato un primo disturbo cardiaco l'anno precedente e non si era più ripreso: la sera del 22 marzo cadde moribondo sul marciapiede a pochi passi dal Ministero della guerra e spirò nella notte del 23. Il cugino R. Colomb, l'uomo che più si adoperò per la raccolta delle sue opere, si curò delle esequie. Sulla sua tomba, sempre a cura di R. Colomb, venne incisa l'epigrafe che lo scrittore aveva preparato fin dal 1820: “Arrigo Beyle – milanese – visse, scrisse, amò”. Nient'altro. Per trasposizione fu scritto: “amò, visse”. Non lo si accontentò fino in fondo, giacché Stendhal avrebbe desiderato anche le ultime righe: “Quest'uomo adorava Cimarosa, Mozart e Shakespeare”. Stendhal passò senza essere compreso. Lo stesso C.-A. Sainte-Beuve ne intuì la grandezza, ma non lo capì. Stendhal per lui, in fondo, con quel suo stile da “codice civile”, era troppo poco letterato per entrare nel Pantheon dei grandi. Poi, dopo alcuni decenni, incominciarono gli studi stendhaliani, vennero alla luce le tante carte ancora sconosciute. Edizioni, studi, bibliografie sono ormai numerosissimi: gli studiosi hanno addirittura esaminato nelle sue pagine elementi definiti filosoficamente, quali il beylismo e l'egotismo.

Bibliografia

P. P. Trompeo, Incontri di Stendhal, Napoli, 1963; C. Cordié, Ricerche stendhaliane, Napoli, 1967; idem, Divagazioni stendhaliane, Napoli, 1968; M. Tillett, Stendhal, Londra, 1971; S. Maud Walther, La présence de Stendhal aux Ètats-Unis, Aran, 1974; Stendhal et les problèmes de l'autobiographie, Actes du Colloque interuniversitaire (aprile 1974), Grenoble, 1976; M. Crouzet, Stendhal e il mito dell'Italia, Bologna, 1991.

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