Definizione

Struttura ad asse curvilineo mediante la quale viene superato uno spazio vuoto detto “luce”. Più specificamente, nella scienza delle costruzioni si dice arco un solido generato dal movimento di una figura piana di forma qualunque secondo una traiettoria piana e continua normale al piano della figura e passante per il suo baricentro. Alla traiettoria si dà il nome di asse dell'arco, alla figura piana generatrice il nome di sezione normale dell'arco.

Principi generali

"Per il comportamento statico di un arco vedi schema al lemma del 2° volume." Un arco può essere considerato tale quando la sua sezione normale ha dimensioni piccole "Per il comportamento statico di un arco vedi lo schema a pg. 369 del 2° volume." (rispetto alla lunghezza dell'asse e al raggio di curvatura di questo in ogni suo punto) e costanti o variabili lentamente e progressivamente. Secondo tale definizione non esiste, peraltro, sostanziale diversità tra i solidi che comunemente si indicano come arco e trave: quest'ultima non è che un arco ad asse rettilineo. La diversità è invece ben evidente quando si consideri il comportamento statico dei due tipi di solido. Si confronti per esempio una trave semplicemente appoggiata e un arco a tre cerniere, entrambi soggetti a carico uniformemente distribuito. Se tagliassimo a metà la trave, i due tronconi così ottenuti non potrebbero più mantenersi in equilibrio a meno di non applicare alle loro sezioni terminali una coppia di forze uguale a quella che essi si trasmettevano prima del taglio, con conseguente insorgere di sollecitazioni di flessione. Nel caso dell'arco, invece, le due metà si manterrebbero in equilibrio, cioè non ruoterebbero sulla cerniera terminale, con l'applicazione di una semplice forza di compressione che, assieme alla componente orizzontale della reazione di appoggio (R o R), costituisca una coppia capace di equilibrare quella formata dalla risultante dei carichi e dalla componente verticale della reazione d'appoggio. Nota, allora, la distribuzione dei carichi agenti, è possibile dare all'arco la forma opportuna affinché tutte le sezioni risultino compresse. A tale peculiare comportamento statico si deve la diffusione dell'arco per la copertura di grandi ambienti nelle epoche passate, quando si disponeva di materiali resistenti ottimamente solo a compressione (pietra, mattoni). Anche nel caso di strutture soggette a carichi mobili, quali i ponti, non ci si discostava molto dalle accennate condizioni ottimali, data la minore entità di questi rispetto ai carichi fissi (in particolare il peso proprio). Il problema della determinazione dei limiti ammissibili di scostamento da tali condizioni è molto importante, oltre che per l'aumentata entità dei carichi mobili, per la notevole diminuzione di peso propria dell'arco conseguente al perfezionamento dei metodi di calcolo e alle elevate proprietà meccaniche dei materiali in uso (cemento armato, ferro). Questa diversità di comportamento tra trave e arco porta, inoltre, a un'immediata distinzione dei materiali da usarsi (tenendo presente la necessità di un materiale resistente a trazione per la trave) e alla scelta dell'uno o dell'altro tipo strutturale a seconda delle luci da superare (tenendo presente che, quand'anche, per effetto di una variazione del carico, sorgessero tensioni di flessione nell'arco, queste sarebbero sempre inferiori a quelle riscontrabili in una trave a parità di condizioni).

Nomenclatura

"Per la nomenclatura dell'arco vedi schema al lemma del 2° volume." Negli elementi costituenti l'arco si osservano le seguenti denominazioni: spalle o piedritti "Per la nomenclatura dell'arco vedi il disegno a pg. 370 del 2° volume." , i sostegni verticali (parti di muri, pilastri, colonne) dell'arco su cui vengono trasmesse azioni di pressione oblique e divergenti verso il basso, le cui componenti orizzontali prendono il nome di “spinte”; corda o luce, la distanza fra i piedritti; intradosso, la superficie curva inferiore dell'arco; estradosso, la superficie superiore dell'arco, generalmente curva, ma che può essere anche piana o a scaloni; archivolti, le facce laterali; linee d'imposta, le linee di confine tra la superficie dell'intradosso e quella dei piedritti; piani d'imposta, i piani che passano per le linee d'imposta e per il centro dell'arco; reni, i tratti vicino alle imposte; chiave, il cuneo centrale con il quale si termina la costruzione dell'arco; freccia o monta, la distanza verticale fra la corda e la sommità dell'intradosso; sesto, il rapporto tra la freccia e la semicorda; spessore, la distanza fra intradosso ed estradosso; larghezza, la distanza tra le fronti; fronte, la superficie su cui giacciono gli archivolti; peducci, i conci che sono sotto il piano d'imposta.

Classificazione e tipologia: in base alla forma

"Per la tipologia dell'arco vedi schema al lemma del 2° volume." Gli archi possono essere classificati secondo la loro forma in base al sesto "Per la tipologia dell'arco vedi lo schema a pg. 370 del 2° volume." . Quando questo è uguale a uno, l'arco dicesi a tutto sesto o a pieno centro; quando è minore di uno a sesto ribassato; quando è maggiore di uno a sesto rialzato. A seconda poi della curva che caratterizza la forma dell'intradosso, si possono avere archi circolari, parabolici, ellittici, policentrici. In particolare, l'arco policentrico, nel quale l'intradosso è composto da raggi di cerchio intersecantisi o raccordati tra loro, può assumere varie forme: acuto, con freccia maggiore della corda e intradosso formato da due curve intersecantisi a cuspide (tipico dell'architettura islamica, specie nel sistema intrecciato, fu ripreso e sviluppato da quella gotica fiammeggiante); inflesso o carenato, che risulta dalla composizione di quattro archi, due con centro all'interno e due con centro all'esterno dell'intradosso tali da comporre un flesso nella parte superiore (presente nell'architettura islamica spagnola e nel gotico fiammeggiante); lobato, con intradosso formato da tratti di cerchio intersecantisi (di origine orientale, fu diffuso dall'architettura islamica e ripreso da quella gotica, specie in Francia); l'arco oltrepassato, con il sesto formato da una o più curve il cui centro è sopra il piano d'imposta (forse originato dalla trasposizione in muratura, nell'antica India, di strutture di bambù; ne è tipico esempio l'arco a ferro di cavallo dell'architettura moresca). Usati con funzioni più strettamente specifiche sono: l'arco ogivale, propriamente il costolone delle volte a crociera dell'architettura romanica, e quindi gotica, che viene anche detto impropriamente arco acuto; l'arco rampante, detto anche arco zoppo e a collo d'oca, arco asimmetrico, con piano d'imposta a livelli diversi, per cui l'intradosso è formato da una curva ellittica oppure è policentrico; ha funzione di controspinta ed è in questo senso molto usato nell'architettura gotica; l'arco di scarico (sordino), struttura di rinforzo costruita al di sopra di aperture o all'interno della muratura, per diminuire il carico sovrastante; l'arco scemo, tipo di arco ribassato, monocentrico e con imposte inclinate secondo piani convergenti sul centro di curvatura; usato in funzione di controspinta soprattutto nell'architettura romana e medievale; la piattabanda, arco adottato solitamente su vani di piccola luce, che si ottiene spingendo al limite il ribassamento dell'arco fino all'annullamento, in pratica, del sesto.

Classificazione e tipologia: in base al materiale

Un'ulteriore classificazione degli archi può essere fatta in relazione ai materiali impiegati. Si hanno così archi in pietra da taglio, in mattoni, in muratura mista di mattoni e pietra da taglio, in getto di calcestruzzo semplice e armato, in ferro e in legno. L'uso di archi in pietra da taglio è assai raro, data la difficoltà che si incontra nel taglio preciso dei singoli pezzi e nel loro trasporto. In questo tipo di archi l'elemento precipuo di resistenza è dato dall'esatta conformazione dei singoli conci, avendo la malta il solo compito di rendere più piana possibile la superficie di contatto dei giunti. Gli archi in mattoni presentano il duplice vantaggio di una grande praticità nell'esecuzione e di un notevole grado di robustezza. I giunti in malta, disposti radialmente, hanno funzioni contemporaneamente di collegamento e di cuneo. Le norme che regolano la costruzione di archi in mattoni sono analoghe a quelle che si osservano per le normali murature. La forma parallelepipeda dei mattoni, quando non si adottino appositi mattoni trapezoidali, comporta, però, in ogni giunto uno spessore variabile dall'intradosso all'estradosso. Partendo da un minimo di 5 mm di malta, si può tollerare uno spessore dal giunto all'estradosso non superiore a 20 mm. La costruzione avviene simultaneamente a partire dai due piedritti verso il centro, dove l'arco viene chiuso con la chiave. In quasi tutti i casi, salvo per archi molto ribassati, gli elementi che formano le parti curve immediatamente superiori al piano d'imposta possono essere posti in opera senza gravare direttamente sulle centine, il loro equilibrio essendo garantito dal reciproco attrito e dall'adesione della malta. Per quanto riguarda gli archi in calcestruzzo, è interessante notare che la loro armatura, oltre ad assorbire gli eventuali sforzi di trazione, è sempre conveniente dal punto di vista economico, essendo il costo dei tondini di ferro largamente compensato dall'economia di calcestruzzo ottenibile con sezioni più snelle. Per il superamento di luci molto forti può rivelarsi preferibile l'impiego dell'acciaio che, con la sua maggiore resistenza, consente sezioni minori e quindi minor peso proprio. Per la costruzione di un arco è necessario l'uso di un'armatura provvisoria (armatura di servizio), che ha lo scopo di sostenerlo sia nella fase di costruzione sia in quella successiva, di consolidamento, realizzata mediante centine.

Statica

"Per la statica dell'arco vedi schema al lemma del 2° volume." La stabilità dell'arco dipende direttamente dalla posizione della “curva delle pressioni” "Per la statica dell'arco vedi lo schema a pg. 370 del 2° volume." (luogo dei punti di applicazione, detti centri di pressione, delle risultanti degli sforzi su ogni sezione dell'arco e dei piedritti). Essa deve essere tale che ogni sezione dell'arco lavori interamente a compressione e che la risultante complessiva degli sforzi cada entro la sezione dei piedritti; allorché essa cade al di fuori, la stabilità del piedritto al rovesciamento si può garantire con il suo ingrossamento o con l'introduzione di adeguate componenti verticali od orizzontali della risultante. In ogni caso la sollecitazione unitaria massima non dovrà mai superare il valore del carico di sicurezza del materiale di cui l'arco è costituito. Circa il comportamento degli archi sotto l'azione dei carichi, si nota che quelli a tutto sesto, e ancor più quelli ribassati, tendono ad aprirsi in chiave verso l'intradosso e lateralmente verso l'estradosso, per cui è opportuno che abbiano i carichi minori nella parte centrale e i maggiori lateralmente. Il contrario accade per gli archi acuti in maniera tanto maggiore quanto più il sesto è rialzato. Dal punto di vista del comportamento statico gli archi possono distinguersi in: incastrati, a due cerniere, a tre cerniere, a spinta eliminata. L'arco incastrato, tre volte iperstatico, è molto rigido e per la sua progettazione è necessario esaminarne le proprietà elastiche attraverso il teorema dei lavori virtuali, quelli del Castigliano o del Menabrea oppure con il metodo delle linee d'influenza. Il vantaggio della maggiore resistenza degli archi molto rigidi viene però controbilanciato dai problemi che proprio la loro rigidezza crea (specie se la luce è molto forte), allorquando nascano tensioni interne di origine termica o dovute a deformazioni lente nel tempo. Diminuendo la rigidezza si passa all'arco a due cerniere, il quale, appunto perché più deformabile, mantiene tali tensioni entro limiti accettabili, per giungere all'arco a tre cerniere, isostatico, del quale, proprio a causa della sua deformabilità, si rende necessario l'impiego ogniqualvolta si prevedano possibili cedimenti, che, in una struttura iperstatica, provocherebbero la crisi. Gli archi a spinta eliminata, infine, possono considerarsi archi a due cerniere nei quali l'incognita iperstatica è costituita dalla tensione della catena, che ne collega le imposte appunto per assorbire quella spinta che altrimenti sarebbe destinata ai piedritti.

Storia: generalità

L'arco come struttura architettonica è riscontrabile già in età molto antica presso popoli diversi e lontani (forse i primi esempi si hanno nella necropoli egiziana di Abido del 3500 a. C.); divenne sistematico solo nell'architettura romana, che ne fece uno degli elementi basilari del proprio sistema costruttivo, impiegando generalmente l'arco a tutto sesto e poggiato su pilastri. Con il sec. IV d. C. invalse l'uso, rimasto nella cultura orientale e bizantina, di poggiare l'arco su colonne, spesso in serie (arco rialzato). Nel Medioevo l'uso dell'arco fu riproposto dall'architettura romanica, mentre la sua tipologia, in funzione di più complesse esigenze statico-costruttive, fu rinnovata soprattutto da quella gotica , anche attraverso l'adozione di nuovi tipi (archi acuti, lobati, ecc.) diffusi dall'architettura araba e da questa mutuati da quella indiana. La cultura occidentale, dal Rinascimento al sec. XIX, ne ripropose invece i tipi e gli usi desunti dallo studio degli esempi romani. La pratica architettonica moderna, grazie anche all'impiego di nuovi materiali, tende generalmente a sostituire i sistemi ad archi con sistemi rettilinei.

Storia: arco trionfale

Arco onorario destinato a celebrare le vittorie militari, il cui impiego fu assai diffuso nell'architettura romana a partire dalla tarda età repubblicana. La sua struttura, identica a quella dell'arco onorario (costruito a ricordo di personaggi o avvenimenti particolari), è a forma di parallelepipedo con uno (per esempio Arco di Tito) o tre (per esempio Arco di Costantino) fornici di passaggio. Generalmente presenta nella parte alta (attico) un'iscrizione esplicativa dell'occasione della costruzione e sulle due facce principali una decorazione plastica ispirata al personaggio di cui si celebrano le vittorie. Non di rado è sormontato da statue onorarie. Degli archi trionfali eretti in ogni parte dell'Impero romano si perse l'uso nel Medioevo. Mentre gli archi di trionfo romani ebbero grande importanza nel repertorio formale dell'architettura rinascimentale, questa in pari tempo ne rinnovò la costruzione, quasi esclusivamente in forma di apparati provvisori (tra i moltissimi furono famosi quelli di Bramante per Giulio II e quelli per l'entrata in Roma di Carlo V). L'uso dell'arco trionfale si ridiffuse largamente in epoca neoclassica, di nuovo con struttura stabile (Arco di Trionfo a Parigi), e con particolare riguardo all'inserimento nel complesso urbanistico della città. Nell'architettura cristiana, in particolare quella medievale, il termine indica anche l'arco che, all'incrocio del transetto con le navate, divide la zona presbiteriale dall'aula. Esso era generalmente decorato con temi iconografici alludenti al trionfo della fede.

G. Lugli, La tecnica edilizia romana, Roma, 1957; L. Crema, Architettura romana, Torino, 1959; C. Nylander, P. Pelagatti, Architettura etrusca nel Viterbese, Roma, 1986; S. De Maria, Gli archi onorari di Roma e dell'Italia romana, L'Erma di Bretschneider, “Bibliotheca Archaeologica”, 7, Roma, 1988.

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