Definizione

sm. [sec. XIX; bio-+carburare]. Con tale denominazione si indicano i carburanti ottenuti da materie prime di origine agricola che, essendo rinnovabili e disponibili ovunque, non sono soggette ai rischi di esaurimento o di restrizioni per motivi geopolitici, come accade invece nel caso dei carburanti tradizionali di origine petrolifera. I principali tipi di biocarburanti sono l'etanolo ottenuto per via fermentativa, bioetanolo, e il cosiddetto biodiesel. Anche la valorizzazione energetica dei residui di lavorazioni agro-alimentari tramite digestione anaerobica può dar luogo a prodotti di interesse per l'autotrazione.

Bioetanolo

Viene ottenuto tramite fermentazione di prodotti agricoli (canna da zucchero, barbabietole) o di residui di lavorazioni forestali o agrarie. Per migliorare l'efficienza del processo fermentativo si stanno sperimentando metodi innovativi basati sull'impiego di microrganismi termofili e di reattori a membrana. Quando le materie prime sono costituite da materiali lignocellulosici, la fermentazione deve essere preceduta da un idoneo pre-trattamento: al riguardo notevole interesse sta assumendo l'idrolisi enzimatica della cellulosa preceduta da trattamento meccanico (applicazione di vapor acqueo in pressione e successiva decompressione). Per ottenere l'etanolo praticamente anidro richiesto dall'impiego come carburante è necessario distillare la miscela etanolo-acqua prodotta dalla fermentazione ed eliminare poi l'acqua dalla miscela azeotropica ottenuta dal processo distillativo; quest'ultimo aspetto appare particolarmente critico e sono in corso di sperimentazione sistemi innovativi di disidratazione basati sull'adsorbimento selettivo di acqua su materiali solidi facilmente rigenerabili (per esempio zeoliti). L'etanolo può essere usato in miscela con le benzine fino a percentuali di circa il 10% senza dover provvedere a modifiche motoristiche. È importante sottolineare che l'uso dell'etanolo come carburante in miscela con le benzine migliora la resistenza alla detonazione e, pertanto, elimina l'esigenza di impiegare come additivo il piombotetraetile che è fonte di grave inquinamento. Peraltro l'etanolo è più volatile delle benzine e ciò può dar luogo a qualche inconveniente (perdite per evaporazione, formazione di bolle di vapore nei condotti di alimentazione al motore). Un altro inconveniente legato all'utilizzazione del bioetanolo è l'elevato potere inquinante dei reflui che residuano dalla sua produzione: per t di etanolo prodotto si ottengono circa 12,5 m3 di refluo con un BOD5 di circa 50 g/L; conseguentemente, la produzione di un milione di t di etanolo per via fermentativa (necessaria nel caso in cui si volesse sostituire con etanolo circa il 10% della benzina attualmente consumata in un anno in Italia) genera un inquinamento corrispondente ai liquami ottenuti da una popolazione di circa 30.000.000 di abitanti. Un altro inconveniente da considerare è legato all'elevata estensione di superficie agricola richiesta per la produzione di bioetanolo: così, per ottenere un milione di t di etanolo utilizzando le barbabietole è necessaria una superficie di almeno 350.000 ettari, con le conseguenti implicazioni in termini di degradazione dei terreni e di inquinamento (per esempio eutrofizzazione) a causa dei consumi di fitofarmaci e di fertilizzanti.

Biodiesel

È costituito da miscele di esteri metilici ottenuti da oli vegetali (di colza e, con rese minori, di soia e di girasole) per transesterificazione con metanolo, cioè per conversione dei trigliceridi degli oli in monoesteri del metanolo. Il processo di transesterificazione è relativamente semplice e non richiede condizioni severe; occorre però provvedere a un trattamento finale di purificazione e alla depurazione dei reflui che residuano dal processo (contenenti circa 100 g di glicerina per ogni kg di olio trattato). L'interesse per il biodiesel fu preconizzato da Rudolf Diesel in una conferenza tenuta a New York nel 1912, ma solo a partire dagli anni Ottanta per effetto della nuova politica agricola comunitaria del set-aside (cioè della messa a riposo dei terreni per porre rimedio agli sprechi conseguenti alle sovraproduzioni agricole sovvenzionate) è maturato un reale interesse per l'impiego del biodiesel in sostituzione del gasolio per autotrazione (una miscela contenente il 50% di gasolio e il 50% di biodiesel presenta caratteristiche di flusso e di combustione molto simili a quelle del gasolio). Occorre considerare, infatti, che la politica del set-aside, oltre a garantire un reddito certo alle aziende agricole che mettono a riposo una parte dei loro terreni produttivi, consente agli agricoltori di riconvertire tali terreni a colture mirate all'ambiente (forestazioni) o all'energia (produzione di biomasse da utilizzare per ottenere bioetanolo o biodiesel). Rispetto al gasolio di origine petrolifera il biodiesel, oltre a essere biodegradabile e a provenire da fonti rinnovabili, presenta il vantaggio che la sua produzione comporta un rilascio netto di CO₂ (il principale gas responsabile dell'effetto serra e quindi di un possibile cambiamento climatico) praticamente nullo in ragione della sostanziale equivalenza fra l'assorbimento fotosintetico della CO₂ durante la crescita delle biomasse e l'emissione durante la combustione; al riguardo, occorre considerare tuttavia che le emissioni di protossido di azoto (un altro gas serra) durante la produzione delle piante oleaginose (soprattutto della colza) parzialmente riducono questo beneficio. Un aspetto fortemente negativo legato alla produzione di biodiesel è il costo notevolmente più elevato rispetto al gasolio; di conseguenza il biodiesel risulta competitivo soltanto in presenza di una esenzione fiscale (con un potenziale effetto di distorsione sul mercato). Occorre considerare inoltre che, come nel caso della produzione di bioetanolo, si hanno effetti negativi sull'ambiente legati ai consumi di fitofarmaci e di fertilizzanti. Infine, per quanto riguarda le emissioni dai motori, il biodiesel è preferibile al gasolio a causa della minore produzione di monossido di carbonio e all'assenza di anidride solforosa; tuttavia rimangono delle incognite legate alla maggiore percentuale di aldeidi.

Carburanti tramite digestione anaerobica

Le lavorazioni agro-industriali producono quantità assai rilevanti di residui (in Italia circa 170 milioni di t all'anno, di cui circa 40 milioni di origine vegetale e circa 130 milioni di origine animale). Pertanto, crescente è l'interesse per la valorizzazione energetica di tali residui tramite digestione anaerobica. La degradazione anaerobica delle sostanze organiche con produzione finale di metano (biometanazione) avviene a opera di popolazioni microbiche differenziate in stretta correlazione sintrofica fra loro: i batteri acidogeni operano sia l'idrolisi del substrato organico in composti a più basso peso molecolare sia la successiva conversione di tali sostanze in acidi grassi volatili, i batteri acetogeni convertono gli acidi grassi volatili in acido acetico, i batteri metanigeni producono metano sia tramite decarbossilazione dell'acido acetico sia per riduzione dell'anidride carbonica in presenza di idrogeno. Il ricco in metano ottenuto dal processo di digestione anaerobica può trovare applicazione come carburante dopo adeguato trattamento di purificazione per renderlo idoneo all'impiego motoristico; tale utilizzazione ha, tuttavia, le stesse limitazioni d'impiego presentate dai gas naturali di origine petrolifera (problemi di sicurezza, peso delle bombole, costi inerenti alla predisposizione degli autoveicoli, scarsa diffusione territoriale della rete di distribuzione). In prospettiva molto interessante è la possibilità di produrre additivi alto-ottanici per benzine utilizzando come materie prime gli acidi grassi volatili ottenuti dai batteri acidogeni. Il processo, detto anche bioraffinazione, si basa sulla digestione anaerobica limitata allo stadio iniziale di produzione di acidi grassi volatili (acidogenesi) tramite la soppressione dell'attività metabolica delle componenti microbiche che trasformano tali acidi in metano (metanogenesi); gli acidi grassi così prodotti vengono separati dagli altri componenti del brodo di fermentazione tramite estrazione con solvente organico; gli acidi così estratti possono essere trasformati in esteri (utilizzabili come additivi per carburanti) tramite processi avanzati (adsorbimento degli acidi su carbone attivo e successiva reazione con alcoli; esterificazione in fase organica in presenza di alcoli e di un catalizzatore acido; bioesterificazione con batteri o lieviti specifici). Il processo di bioraffinazione non si è ancora affermato in piena scala, ma è oggetto di numerose ricerche per le interessanti prospettive di sviluppo.

Bibliografia

P.F.Levy, J.E.Sanderson, R.G.Kispert, D.L.Wise: “Biorefining of biomass to liquid fuels and organic chemicals”, Enzyme Microb. Technol., 3, 207-215 (1981); ENI : “Biocombustibili nella CEE”. Roma, Ottobre 1992; L.Tabasso: “Biodiesel”, Ambiente CEEP, 5, 46, 22-29 (1993); C.Bonechi, N.Marchettini, E.Tiezzi: “New fuels: their relationship to the main biological cycles”, La Chimica e l’Industria, 77, 973-977 (1995).

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