elefante

Indice

Lessico

sm. (f. -essa) [sec. XIV; dal latino elĕphas-antis, che risale al greco eléphas-antos].

1) Nome di due specie di Mammiferi Proboscidati della famiglia degli Elefantidi: elefante asiatico o indiano (Elephas maximus) ed elefante africano (Loxodonta africana).

2) Fig., persona corpulenta e massiccia: “Aborro in su la scena / un canoro elefante” (Parini). Loc., elefante della strada, grosso autotreno; far di una mosca un elefante, ingigantire un fatto di poco rilievo.

3) Formato carta da stampa di 66×96 cm, detto anche doppio reale; elefante grande, quello in dimensioni 70×110 cm.

4) Anticamente, avorio.

Zoologia

Gli elefanti possono raggiungere l'altezza di 4 m e un peso di 7 t e rappresentano i più grandi Mammiferi terrestri viventi; hanno corporatura molto voluminosa, mostrando tuttavia grande mobilità; la loro testa è massiccia, il collo è molto corto e gli arti sono colonnari e molto lunghi. Fondamentale tratto fisionomico è la lunga e mobilissima proboscide, che serve per la respirazione, come organo tattile, come robustissimo organo prensorio e per l'aspirazione dell'acqua, che viene poi immessa a getto nella cavità boccale. Gli arti hanno estremità pentadattili, con le dita inglobate in una sorta di cuscino elastico e con appoggio digitoplantigrado o subplantigrado. La dentatura comporta solo 6 denti funzionali e ben sviluppati, presenti contemporaneamente: di fatto posseggono 12 denti mascellari, che però spuntano e divengono funzionali in tempi successivi, rimpiazzandosi via via in senso orizzontale postero-anteriore, come nei Sirenii. Quando tutti i denti sono usurati, l'animale si trova in difficoltà per la masticazione, per cui i vecchi (70-80 anni) si portano di solito presso paludi e fiumi, dove dispongono di vegetali più copiosi e teneri. Gli incisivi superiori crescono per tutta la vita e costituiscono le due ben note zanne o difese, ricurve all'insù, che possono arrivare sino a 3,40 m di lunghezza e 117 kg di peso. Le zanne sono più sviluppate nell'elefante africano e sempre di più nei maschi. La gestazione è di 607-641 giorni nell'elefante asiatico e di 660 giorni ca. nell'africano; i piccoli sono uno, molto raramente due, per parto. Gregari, gli elefanti sono esclusivamente vegetariani. L'elefante africano è diffuso in grandi aree a sud del Sahara; l'elefante asiatico nelle dense giungle e nelle piane erbose dell'Asia meridionale in India, Assam, Ceylon, Birmania, Thailandia e Sumatra. Contrariamente all'elefante africano, quello indiano è stato addomesticato e viene comunemente utilizzato come animale da soma. L'elefante africano ha mole maggiore, padiglioni auricolari più grossi, fronte convessa verso l'alto (lobata), estremità della proboscide con due appendici digitiformi; l'elefante asiatico ha la fronte convessa verso il basso (bilobata) e una sola appendice digitiforme all'estremità della proboscide. Secondo molti autori, dall'elefante africano andrebbe distinta una seconda specie, differente per dimensioni ed ecologia: Loxodonta pumilio, l'elefante pigmeo, diffuso nelle foreste pluviali dell'Africa centrale e occidentale, di dimensioni più piccole dell'elefante africano. § Per la paleontologia, vedi Proboscidati.

Etologia

L'elefante africano è un animale sociale che presenta organizzazione matriarcale; l'unità di base è infatti formata da una femmina adulta e dai suoi figli di età fino a ca. quattordici anni. Più unità possono riunirsi in branchi e questi a loro volta in mandrie di parecchie centinaia di capi. Ma le mandrie sono meno stabili dei singoli gruppi. Al culmine della scala gerarchica sta in genere la femmina più anziana, che guida gli spostamenti del branco. I maschi più vecchi di quattordici anni si riuniscono in gruppi di un solo sesso, o talvolta in coppie, per lo più separati dalle femmine ma mantenendo spesso il contatto con esse. I vecchi maschi tendono a essere solitari anche se, di solito, sono accompagnati da almeno un maschio giovane. L'attività giornaliera principale degli elefanti è l'alimentazione, che viene interrotta soltanto nelle ore più calde. Gli elefanti mangiano una varietà di vegetali come radici, parti di fusti, rami, germogli, frutti e foglie. Il fusto succulento di alcuni alberi, in particolare i baobab, può essere sfruttato così intensamente che l'albero finisce con il rovinare al suolo. Nelle ore di intensa calura gli elefanti agitano continuamente le orecchie, che fungono da radiatori di calore e aiutano la dispersione del calore in eccesso. L'acqua è molto importante per gli elefanti, che bevono e si bagnano frequentemente. In genere ogni branco ha orari preferiti e costanti per queste operazioni, che avvengono o al tramonto o al mattino o di notte. Nei luoghi di abbeverata convergono in genere branchi diversi e gli individui che si conoscono personalmente si salutano attraverso il contatto delle proboscidi e delle bocche, intrecciando le zanne. Nell'acqua gli elefanti possono immergersi completamente, oppure aspirano acqua con la proboscide e si inondano il capo e la schiena più volte. Per bere, soffiano l'acqua aspirata dentro la bocca. Nella stagione arida gli elefanti riescono a raggiungere l'acqua che scorre sotto il letto prosciugato dei fiumi scavando con le zanne buche profonde fino a un metro. Le zanne, oltre che come strumenti di scavo, sono usate per strappare la corteccia dagli alberi e come armi per la minaccia, la difesa e l'aggressione. La lunghezza delle zanne, maggiore nei maschi che nelle femmine e, fra i primi, negli individui anziani che nei giovani, è un segnale di imposizione e un maschio che perda una zanna perde molta della sua sicurezza. La minaccia, che ha luogo quando l'elefante è infastidito, ha due gradi di intensità: inizialmente è effettuata con lo scuotimento della testa lateralmente, le zanne rivolte in basso, le orecchie allargate e barriti o sbuffi. Se questo comportamento non sortisce effetto, l'elefante può caricare con il capo proteso, le orecchie allargate, le zanne in posizione orizzontale e la proboscide raccolta fra di esse o abbassata. La carica è da considerare un'esibizione di minaccia in quanto, quasi invariabilmente, non è portata a termine. Le femmine vanno in calore circa ogni cinque anni dall'età di quattordici all'età di oltre sessant'anni. Quando sono in calore si separano dal branco seguite da alcuni maschi, che in questo periodo trasudano visibilmente un secreto da ghiandole che si aprono sulle tempie; sia la femmina sia i pretendenti in questo periodo si nutrono pochissimo. I maschi inizialmente si tollerano, ma mentre la femmina si avvicina al culmine dell'estro, essi ingaggiano lotte sempre più violente, spingendosi reciprocamente e assestandosi pericolosi colpi di zanna. Se i maschi fanno parte dello stesso gruppo e conoscono le forze rispettive le lotte finiscono presto e senza conseguenze ma sono persistenti e talvolta fatali se i maschi sono estranei e di forze paragonabili. Al termine della gestazione, le femmine gravide, assistite da una o più compagne, partoriscono un piccolo di oltre un quintale di peso. Questo viene accuratamente ripulito dai residui della placenta, che la madre ingerisce parzialmente, mentre il branco, disposto intorno alla madre, vigila contro eventuali incursioni di predatori. L'elefantino è presto in grado di seguire la madre, della quale resta fra le zampe anteriori, poppando frequentemente e direttamente con la bocca. I piccoli sono molto curati da tutto il branco, aiutati e protetti nei passaggi difficili e in acqua e, se la madre viene a mancare, vengono adottati da una femmina che allatta. La stessa cura viene dedicata agli adulti ammalati o feriti, dimostrando la marcata cooperazione e la tendenza all'aiuto reciproco acquisite dall'elefante africano. Se un piccolo muore, la madre può trasportarne il cadavere per alcuni giorni tenendolo con la proboscide sulle zanne. I cadaveri, sia dei piccoli sia degli adulti, vengono grossolanamente ricoperti di frasche. Gli elefanti basano principalmente sulla mole la protezione dai predatori. Nemmeno i leoni osano attaccarli, ma questi, come altri predatori, non esitano ad attaccare i piccoli occasionalmente indifesi. In presenza di predatori perciò il branco si serra intorno agli individui più giovani. L'elefante ha un ottimo udito e un ottimo fiuto, con i quali saggia continuamente l'ambiente percependo stimoli nuovi da parecchie centinaia di metri. Anche il tatto, specialmente a carico dei sensori posti all'estremità della proboscide, è apparentemente molto sviluppato, come suggerisce l'accurata manipolazione di oggetti praticata dagli elefanti. Tuttavia l'uso della proboscide viene acquisito soltanto alcune settimane dopo la nascita.

Caccia

L'elefante è il maggiore fornitore d'avorio, per questo motivo in passato è stato oggetto di vere e proprie stragi che, avendone fatto rischiare l'estinzione, si è cercato di limitare con leggi di tutela spesso, purtroppo, disattese; inoltre l'elefante fu utilizzato dall'uomo sin dai tempi antichi a scopo militare, sia come mezzo di trasporto sia come arma. Sul dorso dell'elefante era posta una specie di torretta che accoglieva da 4 a 6 arcieri. Furono i popoli asiatici i primi a impiegare l'elefante come strumento bellico suscitando negli ignari eserciti nemici non poco sgomento. I Romani, nel sec. III a. C., furono sconfitti dall'esercito di Pirro che dall'Epiro giunse in Italia con diversi elefanti. Nell'età moderna, la caccia all'elefante mira ad addomesticare l'animale per adibirlo al trasporto di carichi e a battute alla tigre.

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