Definizione

sf. [sec. XVI; dal greco geōgraphía, da , terra+-grafia]. Scienza che ha il compito di studiare, interpretare, descrivere e rappresentare la Terra e i diversi organismi spaziali che s'individuano sulla sua superficie, precipuamente in relazione alla presenza e all'opera dell'uomo; per estensione, descrizione di un dato fenomeno secondo la sua distribuzione geografica: geografia della fame.

Oggetto e compiti dell'indagine geografica

La conoscenza umana della Terra è uscita dalla fase di ricognizione e di esplorazione, che poneva alla geografia come compito di primo piano quello della descrizione ragionata delle realtà volta per volta osservate e rilevate. La Terra tutta, anzi la vita tutta della Terra, deve essere studiata e interpretata: ciò propone immediatamente il dilemma se considerare le relazioni tra natura e uomo come rapporti conflittuali o come forme di cooperazione. Nel primo caso l'unità della geografia si spezza e le associazioni di fenomeni naturali e quelle di fenomeni umani sono oggetto di studio rispettivamente della geografia fisica, che utilizza metodi di studio tratti direttamente dall'indagine naturalistica, e della geografia umana, i cui metodi di indagine ricalcano quelli delle scienze storiche. Nel secondo caso, natura e uomo sono realtà compresenti e interagenti nella costruzione della fisionomia territoriale e la geografia non solo si distingue nettamente dalle altre scienze per il suo oggetto di studio, la superficie terrestre intesa come luogo d'incontro dei fatti che ne promuovono l'organizzazione, ma anche per il metodo di studio che le è peculiare e che è metodo squisitamente sintetico. L'itinerario tramite il quale sembra di poter pervenire a tali considerazioni intese a configurare una soddisfacente sistemazione della geografia come scienza, può prendere appunto le mosse dallo stesso oggetto dell'osservazione e dell'esperienza su cui questa scienza esercita da sempre la sua attenzione: la Terra. Tale osservazione coglie l'esistenza di una moltitudine di oggetti e fenomeni alla cui interpretazione si applica la facoltà percettiva e raziocinante dell'uomo. Essi non sono separati e autonomi: si riconosce non solo una semplice coesistenza, ma anche un tessuto di relazioni e di interazioni reciproche che ne condizionano la compresenza nello spazio e ne promuovono l'associazione in gruppi omogenei e costanti come composizione, tendenti al raggiungimento di un sistema di rapporti in equilibrio, più o meno prolungato, tra loro. L'attenzione del geografo, dunque, è essenzialmente attratta dalle combinazioni degli oggetti e dei fenomeni osservabili sulla superficie terrestre. Si tratti di un deserto ovvero di un'area industriale, di una città o di una rete di comunicazioni, ciò che interessa il geografo è il combinarsi tra loro dei vari elementi che compongono e determinano ciascun insieme, assicurandogli un peculiare equilibrio, non necessariamente statico, anzi più spesso dinamico e dunque in continua evoluzione, secondo leggi caratteristiche che gli sono intrinseche e lo differenziano da altri individui geografici. Lo studio dei processi combinati che presiedono all'evoluzione di un territorio è uno degli oggetti della geografia: tra i processi naturali vanno ricordati quelli legati alle forze endogene della Terra e quelli derivanti dalla situazione, dalla configurazione, dalla diversa natura delle varie parti della superficie terrestre. L'azione combinata di queste forze presiede al modellamento del territorio, generando caratteristiche morfologie che la geografia, appunto, studia. Nel farlo, essa riconosce i legami genetici esistenti tra i vari fenomeni e le attuali caratteristiche del territorio: le forme esterne, i suoli, la coltre vegetale, la fauna. Tra i fattori umani di evoluzione di un'area geografica vanno ricordati la tradizione e la cultura dei singoli gruppi umani, il loro livello tecnologico, le loro strutture sociali e istituzionali, il loro sistema economico e il loro ordinamento politico. Tutto ciò è insieme causa ed effetto di una continua evoluzione del modo di vivere degli uomini, non meno che del territorio in cui essi sono insediati. Testimone di tali influenze è l'evoluzione del paesaggio, che ne è appunto la manifestazione concreta in uno spazio territoriale più o meno esteso, in una forma transitoria di coesistenza ed equilibrio tra diversi fenomeni. Allorché tra essi prevalgono quelli naturali, cioè i processi evolutivi cui presiedono leggi di natura (un territorio d'alta montagna, un deserto, una foresta pluviale, ecc.) si identifica un paesaggio naturale, mentre quando si affermano fenomeni e processi di trasformazione essenzialmente umani vien logico parlare di paesaggio umanizzato.

Geografia fisica e geografia umana

Nell'indagine geografica si possono dunque distinguere fenomeni e processi di origine naturale e di origine umana, considerandoli oggetto di studio di due tipi di speculazione geografica, diversi tra loro soprattutto sul piano metodologico. Di qui parte la tradizionale, anche se da taluni discussa separazione tra geografia fisica e geografia umana. Pur riconoscendo l'utilità d'ordine didattico di questa separazione, sembra tuttavia preferibile l'opinione di coloro che, in prospettiva rigorosamente scientifica, rifiutano una discriminazione netta dei due ordini di fenomeni, perlomeno in relazione ai territori che da lungo tempo rappresentano il luogo di vita dell'uomo. L'uomo, invero, nella sua opera di insediamento e di organizzazione della superficie terrestre, si pone costantemente in posizione dialettica con l'ambiente naturale e la sua diuturna fatica è costituita appunto dall'incessante sforzo di conoscere, interpretare, adattare, utilizzare per i suoi bisogni o per i suoi fini i fenomeni dell'ambiente naturale in cui è radicato. L'organizzazione territoriale che ne deriva non è né sovrapposizione, né accostamento di elementi naturali e di elementi umani, ma combinazione, intreccio e mutua influenza dei medesimi.

Principi della ricerca geografica

Qualunque fenomeno si manifesti sulla superficie terrestre è significativo per la geografia, sempre nella misura in cui, per se stesso o nel suo associarsi e combinarsi con altri fenomeni, promuove peculiari caratteri dell'insediamento e della vita umana, sia dei singoli individui sia delle collettività; per questo la conoscenza geografica non è di tipo analitico, bensì eminentemente sintetico. La varietà degli elementi da prendere in considerazione e, ancor più, la complessità delle combinazioni con cui essi si associano esigono che si chiariscano anche i principi specifici con cui tale ricerca deve essere condotta. Essi sembrano classicamente riducibili, sulla scorta del pensiero di Humboldt, Ritter, Ratzel e Vidal de La Blache, a tre criteri, o strumenti concettuali. Primo di tali criteri può ritenersi il principio di estensione, secondo il quale la ricerca geografica ha per compito di determinare l'estensione delle combinazioni di gruppi di fenomeni sulla superficie terrestre. Poiché essi sono eminentemente variabili, in virtù della diversa natura e posizione dei territori, nonché della storia umana che essi hanno sperimentato, si tratta di notare ciò che queste stesse associazioni di fenomeni e le loro combinazioni hanno di peculiare in ogni singola area. Il riconoscimento di quanta parte del territorio essi interessino, da soli o in combinazione con altri, è pertanto inseparabile dalla loro descrizione. In diretta connessione con il principio di estensione è il principio di coordinazione, secondo il quale lo studio geografico di un insieme di fenomeni presenti su una determinata area della superficie terrestre deve non solo riconoscere i confini di tale area, ma anche le altre aree del globo dove si ritrovi analoga manifestazione. Ed ecco quindi il terzo criterio della ricerca geografica: il principio di causalità, in forza del quale l'indagine supera lo stadio, pur indispensabile, della descrizione per arrivare alla fase, più avanzata e altrettanto essenziale, della ricerca delle cause e della considerazione delle conseguenze d'ogni insieme di fenomeni esaminati. Ovviamente questo risalire alle cause e questo procedere verso le conseguenze ha dei limiti ai margini dei quali si trova la fascia di indeterminatezza tra la geografia e le altre scienze. Il confine non può essere tracciato a priori, anche perché in taluni casi l'indagine geografica non trova disciplina cui contestare o lasciare spazio di studio, nel senso che illumina settori dove la ricerca specialistica non ha ancora raggiunto sufficiente sviluppo. L'azione surrogata che allora il geografo può esercitare legittimamente nulla toglie al fatto che essa abbia caratteri non propriamente geografici, ma, semmai, meta-geografici. Punto focale dell'indagine geografica resta, infatti, non già il singolo fenomeno naturale o umano, come già s'è detto, bensì la tipica peculiare combinazione di tutti i fenomeni, che conferiscono a un lembo territoriale più o meno esteso della superficie terrestre una fisionomia praticamente irripetibile. Si perviene così a un primo concetto di regione geografica, che può essere definita come il territorio caratterizzato da armonica coesistenza e relazione di paesaggi, anche vari e diversi, ma mai contrastanti e pertanto tra loro interdipendenti: regione alpina, regione padana, regione vulcanica laziale, per riferirci a esempi più direttamente recepibili dalla nostra diretta esperienza.

I moderni orientamenti

Secondo i moderni orientamenti, peraltro, l'oggetto della geografia non è tanto la superficie terrestre, intesa come sede di tutti i fenomeni naturali che vi agiscono in varia forma e misura, condizionandosi vicendevolmente e dando luogo a differenti aspetti regionali, né l'ambiente geografico inteso come teatro della vita umana e dell'antagonismo fra l'uomo e la natura, quanto l'organizzazione sociale ed economica dello spazio terrestre a opera delle comunità umane che insistono sul territorio adeguando le proprie strutture civili (politiche, sociali, economiche, tecnologiche, scientifiche, ecc.) all'esigenza di un sempre più razionale sfruttamento delle risorse e di un sempre più perfezionato uso dei mezzi, delle forze e degli strumenti di produzione economica. Il paesaggio è il risultato visibile di questa organizzazione del territorio, onde lo studio dei paesaggi può essere considerato come il momento descrittivo dell'indagine geografica. Ma il contributo della geografia – a fronte dell'azione sempre più incisiva ed estesa delle comunità organizzate nello spazio terrestre – non può limitarsi alla descrizione, venendo ad assumere, piuttosto, un carattere interpretativo e propositivo. In questo senso, le teorie e metodologie funzionaliste offrono modelli in grado di misurare i fenomeni geografici, specie insediativi ed economici, portando a un nuovo concetto di regione funzionale, trattata come un campo di forze più o meno marcatamente polarizzato da città, agglomerazioni industriali o altre forme di concentrazione dell'attività decisionale esercitata dall'uomo (centri direzionali, di ricerca, ecc.). Le applicazioni modellistiche permettono alla geografia di fornire, così, un apporto più strettamente tecnico alla programmazione e alla pianificazione territoriale, campi nei quali viene a esprimersi il momento operativo e professionale della disciplina, che si affianca in questo compito alle più svariate scienze della Terra e dell'uomo.

Rapporti con le altre scienze

La geografia si avvale, per la conoscenza dei quadri ambientali, dell'apporto conoscitivo delle scienze naturali che si occupano della Terra come corpo celeste (astronomia, geodesia, geografia matematica), della costituzione della crosta terrestre (geologia), dei mari e delle acque (oceanografia, limnologia, glaciologia, idrologia), dei fenomeni atmosferici e dei loro influssi sull'ambiente naturale (meteorologia, climatologia), ecc. Lo studio delle interrelazioni fra i vari aspetti naturali che interessano la superficie terrestre, determinandone la differenziazione in regioni naturali, è tradizionalmente compito della geografia fisica: disciplina strettamente naturalistica, una cui branca importante è la biogeografia che studia la distribuzione delle forme viventi sulla superficie della Terra. L'antropogeografia è stata considerata in passato come un ramo della biogeografia: venute meno, però, le concezioni deterministiche dei rapporti uomo-ambiente, la geografia umana costituisce la branca più vitale della geografia, strettamente legata alle altre discipline dell'uomo e specialmente alla storia e alle scienze sociali ed economiche.

Cenni storici: le origini

La geografia come scienza nasce intorno al sec. VI a. C., sulle sponde dello Ionio, al centro dell'ecumene dell'età classica. Lo stesso nome greco dice quali fossero i compiti e i limiti della geografia di allora. Ecateo e Anassimandro di Mileto illustravano i viaggi dei navigatori intorno al mondo allora conosciuto con opere descrittive e con carte, di cui ci è tramandata la memoria. Ma ben presto, accanto alle descrizioni dei logografi, si posero le prime speculazioni sulla natura dei fenomeni e delle terre conosciute (come le famose Inchieste di Erodoto e l'opera Dell'aria, dell'acqua, delle regioni di Ippocrate) e le osservazioni astronomiche e matematiche della scuola pitagorica (ca. 500 a. C.), che posero le basi della geografia come scienza, scoprendo la sfericità della Terra e postulando induttivamente la divisione della sua superficie in zone climatico-astronomiche. Nei secoli successivi, l'orizzonte geografico si allargò notevolmente, grazie a campagne militari, come quelle di Alessandro il Macedone, che si spinsero oltre il Caspio, alla Persia, all'India e all'Africa nord-orientale. Le teorie pitagoriche furono confermate dalle osservazioni di Aristotele, riguardanti sia l'astronomia (Del cielo), sia gli aspetti fisici della terra, delle acque e dell'atmosfera (Meteorologia). A Eratostene (275-195 a. C.) si devono le prime indagini geodetiche e la prima misura astronomica dell'arco di meridiano terrestre, fra Alessandria e Siene (Assuan). Sempre partendo dalle speculazioni matematiche, Ipparco (190-125 a. C.) elaborò la teoria dei climi, mentre Posidonio (136-91 a. C.) estese la sua osservazione ai fenomeni della crosta terrestre e ai movimenti del mare. La geografia romana non ereditò che in parte l'impostazione scientifico-matematica delle scuole greche, dirigendo la propria attenzione piuttosto alla conoscenza delle terre conquistate e alla loro descrizione (corografia). Polibio (sec. II a. C.) e Strabone (all'epoca di Augusto) descrissero gli aspetti del rilievo e delle acque continentali, le risorse naturali e le caratteristiche dei popoli, viste anche sotto il profilo storico. Mentre l'Impero romano si estendeva su gran parte del mondo conosciuto, allargandone i confini all'Europa settentrionale e orientale e all'Africa nordoccidentale, il compito dei geografi sembrava limitarsi alla descrizione dei luoghi, agli itineraria, sorta di guide per viaggiatori, e alle tabulae pictae, che ne davano l'illustrazione cartografica, trascurando la speculazione rigorosamente scientifica che aveva dato fama alla geografia greca, specie alla scuola alessandrina. A questa si riallaccia la famosa Geografia di Tolomeo (ca. 150 d. C.), la cui importanza consiste nell'aver tramandato alle epoche storiche successive una vera e propria summa, in 8 volumi, delle conoscenze geografiche dell'antichità classica.

Cenni storici: la geografia medievale

Dopo la caduta dell'Impero romano, l'unità del mondo classico si frantumò e il suo patrimonio culturale venne in gran parte disperso o dimenticato, mentre gli stessi confini dell'ecumene si restringevano. La geografia perse la sua individualità, venne spesso confusa con la cosmografia, con l'astrologia, con la fisica (a loro volta prive di ogni validità scientifica e influenzate soprattutto dalle dottrine religiose), mentre continuarono a essere usate e riprodotte le carte itinerarie romane, a uso dei mercanti e dei viaggiatori. L'eredità della geografia classica fu però raccolta dagli Arabi, e per loro tramite penetrò nell'Occidente intorno al sec. XII. Con l'opera di Tolomeo fu soprattutto il pensiero di Aristotele che tornò a giganteggiare nella cultura medievale, mentre la ripresa dei traffici, le crociate, i viaggi di missionari e mercanti (come Giovanni da Pian del Carpine e i Polo) non solo riacquisirono, ma estesero le conoscenze geografiche del mondo antico, specie verso l'Estremo Oriente, verso l'Africa orientale e le coste atlantiche europee e africane.

Cenni storici: l'epoca delle grandi scoperte geografiche

Fu alle rotte atlantiche che si rivolse l'attenzione dei navigatori portoghesi e spagnoli per raggiungere via mare i Paesi delle spezie. Nel 1498 Bartholomeu Diaz giunse a Calicut in India doppiando l'estremità australe dell'Africa, ma già nel 1492 Cristoforo Colombo aveva superato l'Atlantico ed era approdato alle supposte coste orientali delle Indie. In meno di tre secoli (dai viaggi di Colombo a quelli di Cook) le grandi scoperte geografiche rivelarono quasi per intero la superficie del nostro pianeta e la geografia fu chiamata, con la cartografia, a dar conto di queste scoperte, a sintetizzarle in grandi opere descrittive, a valutare a scala planetaria i fenomeni e gli aspetti più vari delle superfici continentali, dei mari, dei fiumi, dell'atmosfera e del clima.

Cenni storici: la geografia moderna

La Geographia generalis del Varenio (1650) restò un tentativo isolato di sintetizzare in un quadro sistematico le conoscenze geografiche della sua epoca, ma furono gli studi dei naturalisti (astronomi, geodeti, geologi, meteorologi, idrologi) dei sec. XVII e XVIII che posero le basi per una geografia fisica intesa come “descrizione ragionata dei grandi fenomeni della Terra e considerazione dei risultati generali dedotti dalle osservazioni locali e particolari, combinate e riunite metodicamente in differenti classi” (così Desmarets nella Grande Encyclopédie). Anche la geografia dell'uomo si avvalse di apporti specifici da parte di storici, etnologi, statistici del “secolo dei lumi”, il quale, come osserva M. Bloch, “non contento di collezionare i fatti e le osservazioni, ha intravisto i problemi essenziali: generi di vita, ripartizione della popolazione, azioni reciproche dell'uomo e dell'ambiente”. Il merito di aver raccolto tutto questo fermento di idee e di acquisizioni scientifiche in un quadro ordinato del mondo, nel quale si integravano la presenza e l'opera dell'uomo, spetta a due studiosi tedeschi, A. von Humboldt (1769-1859) e C. Ritter (1779-1859), unanimemente considerati come i padri della moderna geografia. Naturalista e viaggiatore, Humboldt visitò a lungo l'America Centrale e Meridionale, l'Europa e l'Asia russa e raccolse i risultati delle sue osservazioni e dei suoi studi in una monumentale opera, Kosmos, che lo impegnò per vent'anni. Il suo maggior merito consiste nel metodo con cui impiega i risultati dei suoi studi, applicando i principi di estensione, di causalità e di correlazione ai più diversi fenomeni naturali e anche umani. Mettendo in relazione di causa ed effetto i diversi fatti che si manifestavano in una singola area, egli dava origine alla geografia regionale, mentre, spostando l'attenzione dal fatto locale alle altre regioni dove si riscontravano fatti analoghi, istituiva una geografia generale comparata: necessitate entrambe dal convincimento che nessun luogo della Terra fosse conoscibile prescindendo dalla conoscenza dell'intero globo. L'opera e le idee di Humboldt ebbero larghissima eco in Europa e furono da lui stesso propagandate in Germania, Francia e Gran Bretagna. Anche se di diversa formazione culturale (prevalentemente storico-filosofica) Ritter riprese i principi di Humboldt e li diffuse in 40 anni di insegnamento universitario, dando loro un maggior rigore scientifico e integrandoli con un più vivo interesse verso i problemi delle società e della storia umane. L'eredità dei due fondatori della geografia moderna non fu subito raccolta, forse anche perché il rapido accrescimento delle conoscenze geografiche non consentiva più le grandi sintesi a scala globale, mentre il filone naturalistico e quello storicistico, andavano fatalmente divergendo nell'opera dei loro continuatori.

Cenni storici: le specializzazioni della geografia

Furono soprattutto l'insorgere e l'affermarsi di scienze speciali della Terra e dell'uomo (la geologia, la geomorfologia, l'idrologia, la meteorologia, l'antropologia, la sociologia, la statistica, ecc.) che, minando il campo di una geografia onnicomprensiva e unitaria, posero il problema di individuare un oggetto che fosse esclusivamente geografico, non conteso da altre discipline. Tale oggetto fu indicato dal tedesco F. Richthofen (1883) nella “superficie terrestre e nei fenomeni che stanno con essa in mutue relazioni di causalità”. In tal modo venivano esclusi dalla geografia i campi propri dell'astronomia, della geofisica, della geologia e della meteorologia. La concezione di Richthofen fu diffusa da A. Hettner e accolta dalla maggioranza dei geografi del tempo, anche se ben presto apparve chiaro che, pur limitato alla superficie terrestre, il campo della geografia era ancora enormemente esteso. Si riaccesero così le dispute sul contenuto, i fini e i metodi della geografia, alimentate anche dall'affermarsi della geografia antropica come branca autonoma, soprattutto a opera di F. Ratzel. Con l'imporsi delle teorie evoluzionistiche di Darwin, nacque un vivo interesse per i rapporti fra l'uomo e l'ambiente. Se l'ambiente condiziona l'evoluzione delle specie viventi e la stessa storia umana, lo studio dell'ambiente può dare ragione dei processi storici e la geografia trova il suo oggetto ideale nello studio dei rapporti uomo-ambiente. Si formò così una corrente di pensiero che fu detta “determinismo geografico” o “ambientalismo”, anche se ben presto si manifestò contro di essa una viva reazione da parte di storici, sociologi, filosofi e anche geografi. Fra questi ultimi una posizione eminente ebbe il francese Vidal de La Blache, cui si deve una profonda revisione delle teorie ambientalistiche. Al determinismo di Ratzel, de La Blache oppose una teoria che fu detta “possibilismo”: l'ambiente propone numerose possibilità all'uomo e questi sceglie liberamente quelle che più gli si confanno. Ciò oltretutto dà ragione di quei fatti che non possono essere spiegati con una diretta influenza dell'ambiente fisico o naturale (soprattutto fatti storici e culturali). Con questo, tuttavia, non si escludeva il diritto della geografia a porsi come scienza-ponte fra le discipline della natura e quelle dell'uomo: veniva solo a cadere la rigorosa necessità di tale posizione e quindi era nuovamente messa in discussione l'unità dell'oggetto e la stessa validità della geografia come disciplina autonoma. Né tale unità poteva venire da un metodo: perché principi come quelli della localizzazione, della distribuzione, della connessione, dell'evoluzione, ecc., largamente accolti nella geografia fra la fine del sec. XIX e la prima metà del XX, sono propri anche di altre discipline. Tuttavia le correnti ambientalistiche e possibilistiche si diffusero ampiamente in numerosi Paesi, fra cui l'Italia (G. Della Vedova, Giovanni e Olinto Marinelli, R. Biasutti, R. Almagià, A. Sestini, ecc.), anche perché la geografia si era ormai dovunque affermata come disciplina universitaria, mentre prendevano piede rami specialistici, come la geografia storica, la storia della geografia, la geopolitica e si moltiplicavano gli studi di geografia regionale, soprattutto vivaci in Francia e seguiti anche in Italia. È dalla geografia regionale che nasce l'interesse per il paesaggio geografico. Anzi i termini paesaggio e regione spesso sono confusi, specie dai geografi tedeschi, conformemente alla bivalenza semantica del termine Landschaft. A partire dagli inizi del sec. XX gli studi sui paesaggi si moltiplicarono, sia presso i Francesi (Bruhnes, Vidal de La Blache e allievi), sia presso i Tedeschi (Hettner, Passarge, Lautensach, Troll), gli Austriaci (Bobeck), gli Inglesi (Mackinder, Stamp) e gli Italiani (Biasutti e Sestini). Al Congresso Geografico Internazionale di Amsterdam (1938), il paesaggio fu definito come “realtà fisionomica ed estetica, comprendente tutte le relazioni genetiche, dinamiche e funzionali con cui i componenti di ogni parte della superficie terrestre sono tra loro congiunti”. Fu anche ipotizzata una geografia come scienza del paesaggio (la Landschaftskunde del Passarge). Ma come la superficie terrestre era sembrata costituire un campo d'indagine troppo esteso, così sembrò ai più che il paesaggio non potesse esaurire per intero il campo della geografìa e questa continuò a sviluppare le sue indagini nei campi ormai tradizionali, che vedevano una geografia generale (distinta in geografia fisica e geografia umana) e una geografia regionale. La geografia fisica si divide tradizionalmente in branche specifiche, come la geomorfologia, la climatologia, l'oceanografia, la geoidrologia, la biogeografia; la geografia umana si occupa della popolazione, delle sedi umane, della geografia rurale, della geografia urbana, della geografia politica e della geografia economica (quest'ultima assurta a branca a sé stante in numerosi Paesi, fra cui l'Italia). Ma, a partire dal secondo dopoguerra, hanno preso vigore nuove correnti geografiche, come la geografia culturale (nata già negli anni Trenta del sec. XX negli U.S.A. con C. O. Sauer), la geografia sociale (di cui è esponente il francese P. George), la geografia applicata (scuole francese, sovietica, americana) e la geografia teoretica e quantitativa, che si rifà ai modelli matematici e geometrici (come quello delle “località centrali” di W. Christaller), alla teoria dell'informazione e alla cibernetica. In particolare, l'adozione di tecniche classificatorie (tassonomia) ha segnato, intorno agli anni Cinquanta, il passaggio dal tradizionale approccio descrittivo (idiografico) a quello interpretativo (nomotetico), allo scopo di confrontare tra di loro gli elementi dello spazio geografico, prescindendo dalla posizione assoluta o dall'uniformità del paesaggio contestuale, e di ordinarli poi in gerarchie, misurandone i rispettivi campi di forza. L'affermarsi dei concetti di struttura e di gravitazione (aree di influenza urbana, per la fornitura di servizi, o di polarizzazione industriale, con la relativa creazione di economie esterne e attività indotte) rappresenta la base del “funzionalismo geografico”, che si è affermato sempre più decisamente nella ricerca regionale e operativa, seguendo l'influenza del pensiero di alcuni capiscuola: oltre a Christaller e Lösch, si ricordano Isard, Berry, Chorley e Haggett. Per un ventennio la geografia quantitativa è sembrata favorire la riunificazione disciplinare, superando il dualismo tra componenti fisiche e umane, ugualmente “trattate” nell'analisi spaziale dei dati, venendo entrambe a costituire fattori di coesione o disgregazione dell'assetto regionale. Il carattere statico dei modelli funzionalisti, generalmente sincronici, ha sollecitato (dagli anni Settanta) un'ulteriore evoluzione, dallo strutturalismo alla teoria sistemica: questa, introducendo il concetto di processo orientato, valorizza la dimensione temporale e la capacità dei soggetti decisori di imprimere al sistema – nell'uso del territorio e delle risorse – una traiettoria equilibrata (curva logistica), eventualmente correggendo le tendenze spontanee a una crescita accelerata (curva esponenziale). La geografia ritrovava, in tal modo, un ruolo competitivo nei confronti delle altre e più moderne aree del pensiero scientifico, pur se l'adozione talora acritica di modelli astratti e una sorta di reiterata dipendenza non più dall'ambiente fisico bensì dalla logica numerica, definita da alcuni “neodeterminismo”, accendevano un nuovo dibattito, nel quale esplodevano gli atteggiamenti critici delle correnti di indirizzo marxista e radicale. Si trattava, di fatto, del riemergere di posizioni storiche, talora estremizzate, che tendevano a recuperare i valori qualitativi nella costruzione della teoria geografica e nelle sue applicazioni: fra gli autori maggiormente significativi, si possono ricordare l'italiano L. Gambi, lo statunitense R. J. Peet e il francese A. Reynaud. Successivamente, il venir meno della fiducia assoluta nelle elaborazioni quantitative e il fallimento dei sistemi geoeconomici ispirati al comunismo hanno portato a nuove forme di convergenza disciplinare, fondate su una maggiore considerazione dei problemi sociali, su una lettura del paesaggio in chiave storico-culturale oltre che funzionale e su alcuni schemi di riferimento – come il rapporto centro-periferia o la salvaguardia ambientale – capaci di unificare le diverse metodologie di approccio.

Società geografiche

L'avanzamento delle ricerche geografiche è documentato dai volumi annuali della Bibliographie Géographique Internationale, mentre ogni quattro anni l'Unione Geografica Internazionale, di conserva con l'Associazione Internazionale di Cartografia, organizza congressi ai quali partecipano Paesi di tutto il mondo. Di grande importanza sono state, specie per il passato, le società geografiche nazionali (quella britannica fu fondata nel 1830, l'italiana nel 1868), che hanno promosso, specie a cavallo fra i sec. XIX e XX, spedizioni scientifiche nelle regioni meno conosciute del globo. In Italia, oltre alla Società Geografica Italiana di Roma, opera la Società di Studi Geografici di Firenze. A Firenze è anche la sede dell'Istituto Geografico Militare, che cura la cartografia di base (topografica) del Paese. Fra le realizzazioni più significative dei geografi sono gli atlanti tematici nazionali e regionali che, oltre a essere strumenti di conoscenza degli aspetti naturali e antropici di un Paese, hanno notevole importanza per la pianificazione territoriale.

Trovi questo termine anche in:

Quiz

Mettiti alla prova!

Testa la tua conoscenza e quella dei tuoi amici.

Fai il quiz ora