geopolìtica

sf. [sec. XX; geo-+politica]. Area di interesse scientifico, a cavaliere fra la geografia e le scienze politiche, che studia la natura e le vicende delle società umane, statualmente organizzate su determinati territori, in rapporto all'ambiente geografico considerato in tutti i suoi aspetti. Le origini della geopolitica si possono riconoscere nel pensiero di H. Mackinder, che, agli inizi del sec. XX, sottolineò l'importanza della posizione geografica e dei fattori fisici nella potenza di uno Stato, con ciò motivando il ruolo allora egemone della Gran Bretagna nei rapporti commerciali a scala planetaria. Il fondatore della geopolitica, nell'accezione tedesca (Geopolitik) che diverrà dominante fra le due guerre, va riconosciuto in F. Ratzel, il quale, influenzato dalla concezione hegeliana di Stato come unione spirituale trascendente di tutti i membri di una comunità nazionale, vi innestò la sua teoria geografica determinista. L'interpretazione di uno stretto legame biologico fra natura e Stato trovò convinti fautori, negli anni Venti, in R. Kjellen, politologo svedese, e K. Haushofer, geografo tedesco: si consolidò in tal modo, attorno alla rivista Zeitschrift für Geopolitik (1924-44), una scuola di pensiero organicista, strumentalizzato dal nazismo per giustificare l'esasperato nazionalismo, il razzismo e le conseguenti mire espansionistiche, basate sul concetto ratzeliano di Lebensraum (spazio vitale). Oggi il termine geopolitica è usato con diversi significati, che lo avvicinano sempre più alla geografia politica in senso ampio: regionalizzazione politico-economica, rapporti fra aree di influenza, effetti spaziali del potere (anche in termini elettorali) e distribuzione del benessere sociale. Si afferma sempre più, anche in Italia, la tendenza all'identificazione della geopolitica con una geografia politica innovata e adeguata ai nuovi sviluppi della società e del territorio. Ciò avviene nella pubblicistica, con la comparsa (1993) della rivista Limes, mentre altre iniziative editoriali ripropongono saggi di K. Haushofer, G. Roletto ed E. Massi, questi ultimi considerati gli esponenti più significativi della geopolitica italiana nel periodo interbellico. Anche nella stampa quotidiana il termine viene usato con significato generale, per spiegare decisioni ad ampio spettro che vanno dagli equilibri delle relazioni e degli organismi internazionali alle migrazioni, dagli approvvigionamenti di materie prime alle scelte “strategiche” delle grandi manifestazioni sportive. Se al centro dell'attenzione rimane pur sempre lo Stato, nelle sue componenti (territorio, popolazione, sovranità) e articolazioni organizzative, si afferma la tendenza a identificare la geopolitica con la pianificazione e programmazione, nel senso di allocazione spaziale delle risorse, con la politica ambientale e con le relazioni economiche internazionali. Un'interpretazione per molti versi originale è quella data da A. Vallega (1994), il quale, in una approfondita riflessione sul sistema mondo nel sec. XXI, propone il paradigma dello sviluppo sostenibile, fondato, oltre che sulla conservazione dell'ambiente e sull'uso efficiente delle risorse, su una marcata connotazione etica, intesa essenzialmente come equità sociale. Nella geopolitica ricadrebbe, dunque, lo studio dei fattori geografici alla base delle politiche di sviluppo ecocompatibile tendenti al miglioramento della qualità della vita, in opposizione ai modelli di crescita dimensionale (della popolazione, del reddito, dei consumi) che, assumendo tendenze esponenziali, hanno portato – di fatto – alla degradazione del patrimonio naturale e allo squilibrio del territorio, nel suo assetto globale e regionale.

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